Quel che conta non viene scritto nelle biografie” (M. Yourcenar).

Vittoria Doretti è Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Medica, specialista in cardiologia, anestesia e rianimazione è esperta in bioetica, organizzazione dei servizi sanitari di base e scienze forensi (criminologia – security – investigazioni- intelligence), cocente universitaria a contratto.

È inoltre Direttrice di area dipartimentale promozione ed etica della salute Azienda USL Toscana sud est e responsabile rete regionale codice rosa (RT). Collabora a livello nazionale ed internazionale con numerosi ministeri, enti ed istituzioni su politiche di genere, azioni per il contrasto alla violenza sulle donne, minori e crimini d’odio, ricevendo numerosi riconoscimenti ed encomi in Italia e all’estero per il suo indefesso impegno, tanto che la Rete le ha riconosciuto tratti della nota personaggia della Dottoressa Giò interpretata da Barbara d’Urso nella serie TV di Canale 5.

Cara Vittoria, inutile indurre le nostre lettrici e lettori a ritenere che non ci conosciamo. Da anni è noto il tuo impegno sul fronte della salute di genere, della prevenzione del femminicidio e – soprattutto – l’immane lavoro che tu e il tuo team agite in merito al Codice Rosa, riconosciuto e testimoniato costantemente dai media.

Del resto, stiamo assistendo ad un mutamento del paradigma sessista, con inevitabili regressioni che vanno analizzate e a cui rispondere: tanto più in questa congerie. Eppure, non vi è dubbio che negli ultimi 3 decenni molto siamo riuscite a mutare a livello attivo e percettivo. Come e quando è iniziato l’impegno di Vittoria Doretti su questo versante?

A dire il vero, l’interesse per la parità di genere era presente, in nuce, ai tempi del liceo. Fui la prima donna dell’Enea Silvio Piccolomini Presidente della Assemblea: il tema era parte della tradizione familiare, sia da parte di madre che di padre. La svolta – come spesso accade – avvenne dopo una malattia, quando ci si chiede chi siamo e chi vogliamo essere. Furono i Centri Antiviolenza a darmi la misura di cosa avevo davvero di fronte, come medica. Non c’erano libri che descrivessero bene cosa stesse accadendo: ce ne rendevamo conto sul campo, giorno dopo giorno, come mediche e medici del Pronto Soccorso. Per la data: era il 2009. Capii, capimmo che dovevamo agire. Se non allora, quando?

Comprendo bene. Furono anni fondanti per certe consapevolezze… Del resto, nel tuo ambito la presenza delle donne è davvero consistente: il concetto di cura come perimetro del femminile è agito e ancora rivendicato da molto femminile/femminismo, anche se io preferisco il concetto di preoccupazione, cioè attenzione preventiva per il circostante… Eppure, quanta difficoltà fanno ed hanno ancora le donne a raggiungere le vette professionali che meritano nella sanità? E quali strumenti propugneresti per invertire una annosa tendenza?

Le donne che si iscrivono a medicina sono molte, ma non vi è dubbio che la loro presenza si riduce quando si raggiungono posizioni di vertice. Questo aspetto ha molto a che fare anche con la gestione della leadership, di luoghi di apicali e di impegno relativo. È evidente che devi fare continue scelte, come persona prima ancora che come donna. Bisogna davvero propugnare e sostenere, nelle donne, qualità di leadership (sottratte alla cronaca, per favore) affinché alcune scelte siano “quanto più facili possibili” e “quanto più gestibili possibili”, come lo sono ad oggi per gli uomini.

Assolutamente. E non a caso tu rappresenti anche un role model: una delle donne che sono riuscite a realizzare non solo le proprie capacità professionali, ma anche ad aiutare e a sostenere le altre. Le collaboratrici e i collaboratori più giovani vedono in te anche il simbolo di una agency di genere, intesa come superamento dei tratti perimetrali che confinano le soggettività femminili. Come vivi questa responsabilità? Come la agisci? È possibile essere un role model senza essere modellizzante?

La vivo con la giusta consapevolezza. Sono infatti ben conscia di quanto sia importante la squadra, il lavoro di tutte e di tutti: quelli che rendono la visione poi agita, che la mettono a terra e sono tanti e tante: dai volti “storici” e noti del team alle nuove arrivate e arrivati che portano slancio… non cito qui i loro nomi perché sarebbe un elenco lunghissimo ma ognuna ed ognuno avrà sempre un posto speciale ed unico nel mio cuore e soprattutto nella vita di altre e altri. Il fatto è che la leadership è frutto di esperienze vissute, personali e soggettive e non può mai essere un modello. Bisogna riuscire “ad unire i punti”, non selezionare “yes man” o “yes women”, sostenere le diversità, accogliere le critiche, comprendere “ciò che ha un costrutto mentale diverso dal mio”. Incoraggiare ed ascoltare: una squadra deve avere anime diverse. Unire i punti, ecco, quello che provo a fare ogni giorno: unire i punti: talora molto piccoli e all’apparenza insignificanti ma in questo è la sfida.

Unire i punti…Per altro tu hai una intensa vita professionale e molteplici incarichi. Personalmente ritengo le donne debbano colonizzare sempre più lo spazio pubblicosottraendosi dalla dinamica della cura per abbracciare quella della responsabilità. Tu quanto credi nella presenza pubblica del femminile e come pensi sia possibile (con quali strumenti educativi) sostenere altre donne ad essere nel mondo con pervicacia e tenacia?

Parto dall’ultima domanda e sarò categorica: rendere facile la strada giusta per le parità. Rendere difficile la discriminazione. Rispetto invece alla prima questione, le donne hanno ancora grandi difficoltà, non vi è dubbio. E ti rispondo con “la regola delle 3 R” di mio padre: Responsabilità, Rigore, Rispetto. Sono questi gli elementi connessi a qualsiasi politica di genere funzionale. Avere responsabilità del circostante, rigore nel seguire i dettami paritari, rispetto delle specificità di ogni persona.

Come non concordare, cara… Per altro c’è un coté internazionale della tua attività che non va obliato, penso in particolare alla conferenza annuale Victim Support Europe 2022 – L’età della resilienza, che si è tenuta a Malta lo scorso maggio, su iniziativa di Victim Support Europe e Victim Support Malta e con il contributo dell’Unione Europea. A mio avviso esiste e va agita una internazionale di genere, intesa come tratto sovranazionale che tocca l’ontologia del femminile – includendo in questo termine tutti i soggettɘ che vi si identificano. Qual è il tuo ricordo più toccante, rispetto al tuo impegno fuori dai confini? E cosa pensi possa essere utile per rinforzare questo aspetto, per divulgare la necessità di una azione trans-nazionale e trans-identitaria?

Il mio ricordo più toccante…Ero, per la Regione Toscana e il Codice Rosa al confine fra Haiti e la Repubblica Domenicana: quel confine, la chiusura dello stesso era frutto di continue violenze. Le azioni di sanità pubblica erano molto difficili e tutto era demandato alla forza, alla volontà, alla sorellanza delle donne. La luce di intensa sorellanza nello sguardo della giudice Roxanna Reyes Acosta (oggi vice procuratrice generale della Repubblica Dominicana, che per molti anni si è occupata di reati di violenza sulle donne), la stessa luce delle donne delle associazioni femminili che presidiavano il confine. Le stesse scintille che ho visto nello sguardo di Maria Bashir (già Procuratora di Herat), di molte donne nel mondo e che mi accompagna anche nei momenti più oscuri … Ecco quella luce è uno dei ricordi più cari. Se poi mi chiedi cosa pensi possa essere utile, ti dico che è necessario essere sorelle con politiche nette di sostegno. Dobbiamo fiancheggiare le altre, lasciando a tutte la totale libertà decisionale con quella che tu chiami “sospensione epistemologica”.

La penso come te. Tu sai che da oltre un decennio mi occupo di HerPowerment®, cioè di un modello di sostegno cognitivo e pratico dei soggetti minoritari. Sai anche che ritengo il genere la frontiera principe sulla quale si elicitano i diritti e le pensabilità. E questo sia per i soggetti LGBTIQ+ che per ogni tratto minorizzante. Tu da sempre ti occupi di crimini d’odio. Cosa pensi vada fatto su questo versante per tutelare un paradigma di diritto sociale?

Praticare la conoscenza, l’ascolto, non cessare di agire. Un rispetto complessivo per le persone, le loro storie e le necessità che presentano. Non avere pregiudiziali, non avere limiti di pensiero.

Ad epigrafe di questo nostro passo à deux ho messo una frase della Yourcenar che rappresenta anche il tuo pensiero. Dunque, c’è qualcosa che non ti ho chiesto? Qualcosa che vorresti aggiungere? Chi è Vittoria Doretti, la sera, in pantofole, davanti alla TV?

È una donna che ama pensare di avere qualcuno un passo indietro al fianco sinistro nel punto più prezioso perché il più vulnerabile in battaglia e nella vita… Qualcuno pronto, sempre, ad esserci e a vedere là dove il proprio sguardo non arriva.

Sai, quando prima hai detto «vedi, se fossimo nell’arena assieme e ti dicessi “quasiasi cosa esca da quelle buche sii pronta” so che lo saresti» hai toccato, in me, una corda profonda. Avendo fatto entrambe il liceo classico, sappiamo entrambe che la Falange Tebana era composta di uomini che combattevano fianco a fianco, pronti a morire l’uno per l’altro se fosse stato necessario. Vorrei tanto fosse così anche per noi donne. Per quanto mi riguarda sii certa che qualsiasi cosa dovesse uscire da quelle buche io sarò pronta.

Ne sono certa, Eleonora. Anzi: lo so.

Anche io di te, Vittoria. E grazie: per questo. E per tutto.                                

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