DDL Zan, per essere liberi dalla paura: ve lo dico con un libro, ma anche con la mia storia personale
Essere liberi dalla paura è la prima delle libertà, perché senza di questa, tutte le altre non sono fruibili, sono libertà vuote.
Essere liberi dalla paura è la prima delle libertà, perché senza di questa, tutte le altre non sono fruibili, sono libertà vuote.
Mi piacerebbe provare a fare un po’ di chiarezza.
La cosiddetta legge Zan, dal cognome del primo firmatario, in realtà ha un titolo molto più complesso e, in un certo senso, quasi chiarificatore: Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità.
Questa legge quindi, non parla di gestazione per altri, di adozioni, di teoria gender e chi più ne ha più ne metta (se ne sono sentite davvero tante). Parla piuttosto di una cosa molto semplice: contrastare discriminazioni e violenze anche quando compiute in ragione del sesso, del genere, dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere di una persona, come già è previsto dal nostro codice penale per razza, etnia, nazionalità e religione.
Sono sicura che, se letta in questo modo, gran parte delle obiezioni che vengono sollevate avrebbero il fiato corto, ma non è questo il luogo per provare a spiegare, o a capire, perché si sia arrivati a una sorta di muro contro muro che ha fatto slittare la discussione a settembre e che rischia addirittura di vedere affossata una legge che il nostro Paese aspetta da 25 anni.
Siamo consapevoli che i diritti e le libertà non sono affatto tutti uguali, e che i diritti naturali, ovvero la libertà di esistere, essere, vivere e vivere a pieno la propria esistenza senza paura, vengono prima del fatto che ci si possa sentire liberi di esprimersi al punto da minare l’altrui dignità.
La libertà dalla paura è la prima delle libertà, perché senza di questa, tutte le altre non sono fruibili, sono libertà vuote. Già John Locke sosteneva che vi era un limite di tolleranza verso l’intolleranza e che appunto la libertà non è priva di confini.
Non siamo infatti liberi di uccidere, non siamo liberi di rubare, non siamo parimenti liberi, dunque, di minare la serenità e la sicurezza dell’esistenza di un altro essere umano in virtù di un pregiudizio sulla sua natura.
Citare statistiche, lo dico a chi le porta a supporto della tesi che si sta parlando di un non problema, relative al basso numero di casi di violenza specifica denunciati, è fuorviante, anzi direi incorretto, perché sappiamo molto bene che certi tipi di aggressioni e violenze rientrano nella categorie di reati che rispondono a criteri di under-reporting e under-recording, ovvero difficoltà a denunciare ciò che si subisce per quello che oggettivamente è e difficoltà a registrare il reato per quello che oggettivamente è da parte delle forze dell’ordine.
Ci dicono piuttosto altri dati e statistiche, fra cui Eurobarometro, che purtroppo il nostro Paese è messo molto male a livello di tolleranza e rispetto, al punto che molti ritengono che gli omosessuali dovrebbero godere di meno diritti degli eterosessuali.
Inoltre, dai dati della Polizia di Stato si evince infine che l’under-recording potrebbe trarre giovamento qualora venisse colmato il vuoto normativo che identifichi più specificatamente il reato, per cui una norma che ampli i crimini di odio alle categorie oggetto della legge è ritenuta opportuna.
Chi ne è vittima lo è per quello che è e rappresenta con la sua identità di essere umano, non è una vittima per una casualità futile; il motivo dell’odio è legato all’essenza, alla dignità, alla libertà di esistere di quell’individuo e alla comunità che rappresenta.
Perciò è importante formare una società matura ed educata al rispetto, perché non è tollerabile che esistano ancora sacche di discriminazione e razzismo così potenti.
Gli italiani si dicono a maggioranza favorevoli a una legge in materia; i tempi sono dunque maturi e sarebbe perciò grande la sconfitta di un iter legislativo che si rivelasse ancora una volta fallimentare e dove il Parlamento si dimostrasse non all’altezza della società che deve rappresentare e a cui deve dar voce.
Recentemente ho parlato di me, l’ho fatto con una sola frase che però ha significato molto, per me nel momento in cui l’ho pronunciata in pubblico ma anche per molti che mi hanno ascoltata. È una frase che sintetizza lo stato che accompagna la vita di molte persone Lgbtq+ e delle loro famiglie in questo Paese: la paura.
“Quando capì di me mia madre mi disse: ho paura per te”.
Tutti i genitori hanno paura per i propri figli, per il loro futuro, per la loro salute, per un incidente, per una casualità amara del destino, ma non tutti sono costretti ad avere paura per una società immatura che ritiene che tuo figlio o tua figlia possano e debbano essere un soggetto più vulnerabile per quello che è.
A voi tutti auguro di poter guardare negli occhi i vostri cari, quelli di oggi e quelli di domani, anche quelli che un domani magari saranno diversi dai vostri desideri, e poter dire loro: io, nel mio piccolo, ti ho protetto dalla paura.
Io ho deciso di fare la mia parte, votando una legge che si propone di creare tutele, che poteva essere scritta meglio, che poteva cercare più condivisione, ma tant’è questa è e questa non può esser fatta morire.
Avendo parlato di libertà e cercando di riportarla quanto più possibile in sintonia con la realtà, consiglio un libro dove la battaglia tra verità e libertà è descritta magistralmente, e dove il concetto di libertà trova il necessario ridimensionamento quando sconfina nella pretesa del voler essere liberi di ferire i valori fondanti il rispetto tra essere umani. Sto parlando de Il Colibrì di Sandro Veronesi. Buona lettura.