Ovunque è evidente che la depilazione è diventata una questione spinosa, dalle pubblicità, al mondo a rovescio del film Non sono un uomo facile, in cui l’impenitente scapolo Damien, un giorno, si risveglia in una società governata dalle donne.

Una donna in Veet-ta per un mondo depilato sulla lingua si vedeva una striscia di cera collosa asfaltare la natura del suo prato proprio sotto il suo naso e la sua proprietà privata diventava pubblica, un tappeto rosso pronto per la passerella.

Ma donna baffuta non era sempre piaciuta? Come credere all’unico proverbio il cui refuso aveva scambiato baffuta per paffuta confondendo generazioni intere tra battute e amare verità velate? Eppure, le rappresentazioni dei corpi in pubblicità stanno decisamente cambiando. Le belle gambe a V sul marchio fucsia noto a tutte (oggi direi a tutti), spiritose e sbarazzine in una posa da nuoto sincronizzato, già perfettamente lisce stanno, finalmente, cedendo alla verità sconcertante dei cespugli (anche se di solito evidenti solo sotto le ascelle, e talvolta colorati, per risultare più gradevoli).

Depilazione: cura o tortura?

Ma ancora un po’ ci vuole, tanto che i centri estetici continuano ad essere presentati come luoghi di cura, tra oli essenziali, smalti luccicanti e musica zen, in cui il fatidico momento diventa “ritagliato per te“, come se le spatole di cera ardente sguainate su un lettino di tortura fossero il regalo più desiderato: lo strappo fa male, non si nega, ma non farlo anche peggio.

Con peli/senza peli resta ancora associato, nell’immaginario, donna versus femminista (o lesbica), visto che il pelo deve restare simbolo di mascolinità. Eppure molti marchi ci provano, a diventare influencer in fatto di body positivity e cavalcare le frontiere emancipate della gender equality: la campagna pubblicitaria di Veet del 2021, caratterizzata dallo slogan “Your body hair. Your choice. Our products“, incoraggiava le donne a scegliere liberamente se depilarsi o meno.

Che dire, felice per il progresso del messaggio culturale, anche se è particolare che l’azienda che guadagna sui tuoi peli ti dice che puoi non depilarti. Un po’ come se una marca di sci ti dicesse “non usare i guanti mentre scii, sei libero di mettere le mani in tasca o di alitare sulle dita”. Che fai? Ti depili e metti i guanti no?

Però, dai, rispetto allo spot del 1995 di Lycia, in cui lei è offesa con lui perchè l’ha chiamata scimmietta, per via dei suoi peli, siamo avanti, del resto Totti è arrivato a fare la lavatrice, il che è indubbiamente una conquista in termini di gender equality.

Fatto sta che dall’estetista noi donne ci continuiamo ad andare sempre, non per privilegio borghese ma per dovere stacanovista. E’ un impegno extra temporale, atterra in agenda come un buco nero, un po’ come il dolce dopo una mangiata pesante, trova sempre spazio a costo di farti scoppiare. E se invece facessimo rete, con compassione sororale (conoscevate la parola? Lo dice la Crusca)? Cosa succederebbe se da un giorno all’altro ci tuffassimo in quel buco nero, capovolgendo tutto, come nel film Non sono un uomo facile?

Questo film è quello “strappo veloce senza pensare”, inizi a vederlo dalle scuciture dei ruoli. Con simpatia illumina sulla banalità delle pratiche sessiste e patriarcali che condividiamo inconsapevolmente ogni giorno, a partire dai bias sui generi sessuali.

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