Diversità e inclusione sono diventate due parole-simbolo dei cambiamenti socioculturali che hanno interessato l’ultimo decennio, ma faticano ancora a essere i principi ispiratori delle politiche aziendali, e complice di tutto ciò è anche il fattore pandemia. 

L’ago della bilancia è ancora nettamente a favore di un mondo diviso biologicamente tra sesso maschile e femminile, ed a forte appannaggio degli uomini, che detengono gran parte delle posizioni di prestigio e potere. 

Nonostante i passi da gigante fatti dal movimento femminista nel corso del XX – XXI secolo, è inevitabile interrogarsi a che punto siamo arrivati con la gender-inclusion: perché non è ancora una priorità e quali sono gli ostacoli che ci impediscono di superare questo apparentemente invalicabile gap? 

Si allungano i tempi per azzerare
il gender gap 

Secondo il Global Gender Gap Report del marzo 2021 del World Economic Forum, l’impatto del Covid ha peggiorato la già ben radicata disparità di genere: per il raggiungimento della parità mondiale bisognerà aspettare di questo passo altri 135.6 anni (almeno una generazione in più rispetto ai 99.5 anni segnalati nel 2020).

Se accendiamo i riflettori sulla situazione italiana, il Bel Paese non è escluso da questa narrativa, anzi, si colloca (solamente!) su 156 paesi al 63esimo posto e scende al 114esimo se si tiene considerazione la sola partecipazione economica. 

Vittime per eccellenza della crisi pandemica, le donne, che già con difficoltà si ritagliavano i propri spazi nel mondo lavorativo – ed in particolare, nei ruoli manageriali – ora sono costrette a fare (ancora una volta) un passo indietro. Eppure, si presta ancora poca attenzione alla crescita lavorativa femminile. 

Infatti, si riscontrano non solo ingenti discrepanze salariali, ma anche e soprattutto mancanza di rappresentanza in posizioni di leadership: secondo i dati dell’EWB (European Women on Boards), nel nostro Paese il numero di CEO donna è sceso nel 2021 al 3%, mentre per quanto riguarda la presenza di donne a livelli esecutivi, la percentuale si attesta al 17%. Sono circa 15 punti percentuali in meno rispetto alla Norvegia, che domina la classifica con il 32%.

Che cosa impedisce di superare
la gender inequality? 

La società in cui viviamo non fa che confermare che il mondo attorno a noi è ancora saldamente a man’s world, come già cantavano James Brown e Betty Jean Newsome nel lontano 1966.

Persino nei paesi più ricchi del mondo, la gender-inclusion è ancora un miraggio, e le donne con difficoltà riescono a salire la scala lavorativa, in quanto considerate produttivamente inferiori rispetto alle loro controparti maschili: a differenza degli uomini, il loro essere donna le qualifica in primis come madri e mogli, e pertanto, destinate a sottrarre del tempo al lavoro per la cura della casa e della famiglia. 

La maternità è dunque, ancora oggi, fonte di penalizzazione nella crescita professionale delle donne, oltre ad essere spesso oggetto di discriminazioni salariali e motivo di peggioramento della propria posizione lavorativa, a tal punto che è stato coniato in inglese un termine, motherhood penalty

Generi: categorie o gabbie? 

La mancanza di gender inclusion sul posto del lavoro per le donne è da ricollegarsi ad un problema ben più ampio sottostante: la stereotipizzazione legata ai generi, nient’altro che categorie attraverso cui l’essere umano legge la realtà da millenni falsamente scambiate per dati universali e sempre validi. Se, da un lato, la mente umana non può fare a meno di vivere di categorie, dall’altro lato, è importante riconoscerne il loro carattere artefatto

Risulta, pertanto, importante adottare un radicale cambio di mentalità che ci permetta di soverchiare la binarietà del nostro mondo per apprezzare l’unicità e la validità di ciascun punto di vista, permettendoci così di creare in futuro spazi professionali (e non) più accoglienti ed inclusivi. 

La sfida per raggiungere una maggiore parità di genere (di qualsiasi genere!) è proprio questa: l’educazione delle nuove generazioni alla gender diversity. Come evidenziato da una ricerca di McKinsey del 2019 Diversity wins – how inclusion matters, diversità e inclusione viaggiano a braccetto con il successo lavorativo: a tal proposito, se vogliamo dare un dato, un ambiente lavorativo che punta sul proprio fattore umano in ogni sua sfaccettatura ha il 48% di probabilità di successo in più rispetto a realtà con poca diversità. 

Gender-inclusion sì!

Per saperne di più sull’argomento, eccovi alcuni spunti di lettura: Parità in pillole. Impara a combattere le piccole e grandi discriminazioni quotidiane di Irene Facheris, edito da Rizzoli, una guida per costruire (o meglio, ricostruire) rapporti veramente alla pari e porre le basi di una società più inclusiva, e Non adesso, non ancora. La difficile parità di genere tra vita e lavoro di Federica Volpi, edito da Aracne, che offre una riflessione sull’intersezione tra parità di genere e mondo del lavoro, ponendo l’accento, in particolar modo, sull’innata instabilità dei traguardi già raggiunti, costantemente minacciati dal mutamento di condizioni sociali, politiche e sanitarie.

Carolina Ratti

Condividi: