Il quindicesimo film di Ferzan Ozpetek, Diamanti, col suo straordinario cast che ha tra le protagoniste ben 18 note attrici italiane, è terzo in classifica al Box Office e se lo merita. So che tutte e tutti voi avete simpatia per questo bravo regista turco, originale ma di facile lettura, spesso aromatico come un gewürztraminer, che a volte può risultare un vitigno ruffiano.

Ma, vi assicuro, questa volta non uscirete emotivamente soddisfatti, serenamente commossi e divertiti in leggerezza: barcollerete come si barcolla quando si prende una sbronza. Parlo dell’effetto che ci fa un capolavoro, del talento che dà alla testa, dell’estasi che ci rapisce di fronte a un’opera d’arte, soprattutto quando è capace di penetrare orifizi esistenziali vietati alla nostra percezione corticale. E’ in effetti una festa del limbico, quel sistema profondo del cervello deputato alla regolazione dei visceri, del metabolismo e dell’emotività.

“Diamanti”, la trama

Si capisce che mi è piaciuto? Siamo alla fine degli anni ’70, quando la costumista premio Oscar Bianca Vega (Vanessa Scalera) commissiona alle sorelle Alberta e Gabriella Canova (Luisa Ranieri e Jasmine Trinca), proprietarie di una nota sartoria, i costumi per il suo prossimo film: nasce così la storia, che racconta i retroscena dietro a questa importantissima commissione, con le vicende private e collettive di Nina (Paola Minaccioni), la capo sarta, che ha un figlio che oggi si direbbe hikikomori, della ricamatrice Eleonora (Lunetta Savino), vedova con una nipote rivoluzionaria, della tingitrice Carlotta (Nicole Grimaudo), della modista Paolina (Anna Ferzetti) con un figlio piccolo che si nasconde nella stanza dei bottoni (no spoiler quindi taccio), delle sarte Nicoletta (Milena Mancini), picchiata dal marito, e Fausta (Geppi Cucciari), felicemente separata e sessualmente disinibita, fino alla giovane stagista Giuseppina. Su tutte, domina la cuoca che si cura di loro, l’ex ballerina Silvana (una strepitosissimissima Mara Venier), materna, accogliente. Ma nel cast anche Kasia Smutniak, Stefano Accorsi, Luca Barbarossa, Vinicio Marchioni, Elena Sofia Ricci, Milena Vukotic, Carla Signoris.

Una gara di bravura tra questo cast stellare, in cui le attrici sono magistralmente guidate da una regia disinibita e in crescendo, che sorprende con improvvise inversioni delle caratteristiche per cui conosciamo le varie attrici, quasi tutte ampiamente nel cuore delle loro carriere. Una messa in scena corale e polifonica tra finzione e realtà (forse un’autofiction?), in cui si confondono i piani del dentro e fuori dalla sceneggiatura, con tanto di regista in scena. Una narrazione che dà sollievo perchè porta al centro una umanità confermata e accolta nelle sue sfumature, con un registro ampio (dal comico al drammatico) e attraverso luci e ombre che ognuna e ognuno di noi conosce in quanto essere vivente, il tutto senza mai strizzare l’occhio allo spettator*.

I primi piani continui (col montaggio di Pietro Morana) su volti e espressioni entrano nelle emozioni di attrici che, si vede, tutte hanno messo anche qualcosa di sè (mai le occhiaie di Trinca sono risultate tanto funzionali), raggiungendo le persone in sala dritto al cuore: gli sguardi che traboccano di passione e di paura, sofferenza e cura, raccontano di relazioni fra sorelle, fra amanti, fra genitori e figli, fra i bambini e il mondo. Una storia nella storia, un mise en abyme, se parliamo di costumi di scena: si parla di abiti con abiti che diventano davvero i protagonisti: impossibile non sentire quasi di toccare le personegge, proprio grazie ai vestiti che indossano (del grandissimo Stefano Ciammitti). E proprio così, come dicono le sorelle Canova: i costumi per lo spettacolo diventano di ispirazione e rafforzamento al rapporto fra i personaggi e il loro abito di scena, veicolando i movimenti del corpo.

Un film che ama le donne

Un film che ama le donne, con uno sguardo che le circonda di reale affetto, ammirazione e profonda comprensione, in cui si respira empatia, solidarietà, sorellanza, complicità, anche grazie a una sceneggiatura che, insieme a quella del regista, porta la firma di Carlotta Corradi (anche autrice del soggetto) ed Elisa Casseri. Sofisticata soprattutto la lettura delle ambivalenze, come quelle di Bianca Vega, che comanda le donne ma si lascia intimidire davanti all’unico uomo (Stefano Accorsi, nei panni del regista del film per cui Vega crea i costumi), o delle sorelle Canova, l’una limite dell’altra, fino al colpo di scena che disvela l’unica verità valida per tutt*: siamo fatti di di contrasti, conflitti, e sfumature.

E, come per Parthenope, anche qui una colonna sonora che dà dipendenza, a cominciare da Diamanti di Giorgia e L’amore vero di Mina, insieme alle musiche originali di Giuliano Taviani e Carmelo Travia. E poi che belli quei pezzi stranoti con certi silenzi che arrivano improvvisi a zittire la scena.

Dall’Almodovar a cui all’inizio della carriera veniva associato Ozpetek, al Francois Ozon di Otto donne e un mistero, senza personaggi maschili (se non marginali e orribili, in Diamanti), o al Leo McCarey di Un amore splendido, credo che la critica potrebbe smettere di cercare nessi e similitudini, perchè qui, adesso, siamo davanti a un capolavoro unico: questo non è grande cinema, ma una vera e propria opera d’arte.

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