Hikikomori: uno studio e un graphic novel per comprendere l’isolamento volontario dei ragazzi
Secondo uno studio sono circa 55mila gli studenti vittime di isolamento volontario. "Hikikomori: il re escluso" è il graphic novel che indaga il fenomeno.
Secondo uno studio sono circa 55mila gli studenti vittime di isolamento volontario. "Hikikomori: il re escluso" è il graphic novel che indaga il fenomeno.
Stare in disparte. Questo significa letteralmente il termine giapponese Hikikomori, una scelta drastica che porta i giovanissimi al (quasi) totale isolamento volontario e che sta raggiungendo, purtroppo, numeri allarmanti anche in Italia.
Lo abbiamo già detto: nel corso della crisi pandemica quelli che sono stati lasciati più indietro di altri sono senza dubbio i bambini e i ragazzi, ai quali è stata tolta, senza troppa cautela, ogni forma di socialità, senza preoccuparsi di sostituirla con qualcosa che riempisse le loro vite e così, loro, ci hanno pensato da soli. Rintanati sempre più spesso nelle loro camerette, tra videogiochi e social network, hanno messo in standby la propria realtà reale per vivere una realtà virtuale in cui, però, sono molto soli.
In Italia il fenomeno sta assumendo contorni pericolosi. Pur non esistendo ancora dati ufficiali, l’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) ha realizzato, su impulso del Gruppo Abele in collaborazione con l’Università della Strada, Vite in disparte: uno studio su un campione di 12.000 studenti e studentesse, rappresentativo della popolazione scolastica italiana fra i 15 e i 19 anni, che ha dimostrato come il 2,1% del campione attribuisce a sé stesso la definizione di Hikikomori.
Se proiettiamo il dato su base nazionale considerando il numero totale di studenti (secondo l’ultima stima ISTAT disponibile del 2018) si stima che sono circa 55mila gli studenti vittime dell’isolamento volontario.
Stessi risultati sono emersi dall’indagine dell’ISS sulla Generazione Z che ha analizzato tutti i rischi per la salute mentale e non degli adolescenti e, con un campione di 8.700 studenti tra gli 11 e i 17 anni, di cui il 3,4% ha dichiarato di essere isolato.
La tendenza è quella di confondere i cosiddetti ritirati sociali con i dipendenti da internet. In realtà, il mondo virtuale più che una causa è una conseguenza di un fenomeno di isolamento scatenato dalle situazioni più diverse – un’eccessiva sensibilità, una famiglia più o meno disfunzionale, episodi di bullismo a scuola, eccessive pressioni o aspettative, eccetera – che portano i ragazzi ad avere sempre maggiori difficoltà nel confrontarsi con la vita sociale e ad esserne estremamente demotivati tanto da arrivare a rifiutarla completamente.
È innegabile che la pandemia da Covid19 abbia accentuato questo senso di isolamento, ma sarebbe sbagliatissimo ricondurre il fenomeno solo a quella motivazione. Il lockdown ha semplicemente, e mi viene da dire anche finalmente, portato alla luce situazioni già esistenti di cui però non si riusciva a prendere coscienza.
Basti pensare che l’Associazione Hikikomori Italia, fondata dallo psicologo Marco Crepaldi, per sensibilizzare sul tema, è nata nel 2013, decisamente prima della crisi che ha portato l’intero mondo all’isolamento sociale, per quanto temporaneo.
Questo tipo di atteggiamento quindi, più che tra le conseguenze di uno dei maggiori stravolgimenti della vita umana e sociale degli ultimi decenni, va annoverato tra i sempre più diffusi disturbi mentali tra i giovanissimi.
L’Italia, probabilmente non solo ma io sono abituata a parlare di ciò che conosco, vive una profonda crisi socio-educativa. Lo scollamento tra le famiglie, la scuola, le istituzioni e le varie agenzie sociali è ormai così profondo da non riuscire neppure a capire da che parte cominciare per riannodare i fili e gli ultimi eventi di cronaca ce lo dimostrano.
Eppure c’è una colpa diffusa in tutti questi episodi drammatici: i ragazzi sono lasciati soli da tutti. La superficialità con cui noi adulti ci occupiamo di loro e dei loro problemi è tale da non sentirci neppure responsabili di fronte a certe tragedie o a certi atteggiamenti. È sempre colpa di qualcun altro. Per i figli è colpa dei genitori, per i genitori della scuola, per la scuola dello Stato, per lo Stato è colpa delle nuove generazioni e via così.
E allora proviamo a partire da qui, da questo spazio piccolo e insignificante, proviamo a dare qualche strumento per non scaricare le responsabilità sempre su altri e per non relegare il tutto a un gap generazionali. Di seguito quattro consigli per approfondire, conoscere, comprendere e intervenire sul tema.