Mùm: la band islandese che riscrive l’immaginario con suoni indefinibili
Vi presento i Mùm, un gruppo anti-etichette, fuori dai cammini prestabiliti. Perturbanti e unici. Un incastro perfetto di elementi distanti tra loro.
Vi presento i Mùm, un gruppo anti-etichette, fuori dai cammini prestabiliti. Perturbanti e unici. Un incastro perfetto di elementi distanti tra loro.
È l’estate più calda di sempre, l’aria pesa addosso e il sole cuoce forte. La sofferenza fisica che comportano tali condizioni atmosferiche porta la mente a cercare scappatoie, a pensare a situazioni più fresche. Si cerca di applicare quel famoso esercizio mentale che viene spesso consigliato ai bambini quando soffrono per la sabbia bollente sotto ai piedi: “pensa che sia una lastra di ghiaccio, pensa che il calore in sé non esiste e che lo governi tu”. Così la nostra mente, in questo ingestibile forno estivo, cerca di scappare verso immaginari lidi più freschi.
Ovviamente si tratta di un tentativo di fuga molto precario, perché questo calore, per quanto si possa provare a gestire con stratagemmi mentali, si sente forte e si vede chiaramente anche nelle ripercussioni che sta avendo sull’ambiente. Il tentare di alienarsi da una situazione così spiacevole, non va letto come una lavata di mani alla Ponzio Pilato, un guardare dall’altra parte, in quanto dobbiamo tutti essere ben consapevoli della nostra responsabilità, ma si tratta piuttosto di un cercare di starci dentro senza soffocare.
A tal proposito, vorrei proporre un gruppo islandese che fa della musica a mio avviso gelida, come colonna sonora per quest’alienazione temporanea. Si tratta dei Mùm e più li sento più mi convinco che se dovessi descriverli con una parola direi “ghiaccio”.
La loro peculiarità sta nell’incastro perfetto di elementi parecchio distanti fra loro e nel non seguire mai un percorso prestabilito, ma nel rinnovare la propria musica sperimentando di traccia in traccia seguendo il flow e stando sul presente.
Non hanno un genere definito, ma forse ne hanno istituzionalizzato uno nuovo, che però cambia spesso forma: alcuni li definiscono indietronici, altri folktronici, per me c’è anche molta ambient nelle loro sonorità. Sono un girotondo di chitarre, sintetizzatori, tamburi, fiati, trombe, fisarmoniche e chi più ne ha più ne metta. Attingono al folk e alle canzoni popolari islandesi, modificandoli con strumenti elettronici.
Uno dei fondatori, Örvar Smàrason, afferma di non poter definire il suono che producono, quasi che nel concettualizzarlo gli sembri di mentire.
I Mùm si incontrano la prima volta nel 1997 a Reykjavik, in occasione di uno spettacolo teatrale a cui i quattro futuri membri lavorano. Smàrason e Gunnar Tynes lavorano alla colonna sonora e le gemelle Gyöa e Kristín Anna Valtýsdóttir sono allestitrici e parte della compagnia di attori.
Nel 2000 il disco d’esordio Yesterday Was Dramatic – Today Is OK incontra subito il favore della critica specializzata e del pubblico. Nei tre anni precedenti, il gruppo aveva già iniziato a farsi strada tramite collaborazioni importanti, come quella col musicista techno-industrial Musikvatur, celebre in Islanda.
La forza e la particolarità del gruppo stanno nella coesione di quattro tipi di esperienze di studio differenti: Tynes, polistrumentista, ha un passato nell’hardcore e nel punk, Smàrason componeva musiche per videogiochi e le gemelle Valtýsdóttir vengono da studi classici, una pianoforte e l’altra violoncello. Mescolati gli ingredienti, il risultato è straordinario!
“Il nome Mùm non voleva avere alcun significato particolare” dichiara Kristín Anna in un’intervista per la rivista svedese Fókus, se non la rappresentazione grafica di due elefanti speculari che si tengono per le proboscidi. Questo non definirsi pervade ogni aspetto del gruppo, dai suoni che producono a ciò che (non) vogliono rappresentare. I Mùm sono. Cosa? Non importa.
Già il loro primo album, maturato su un impianto folk, modificato da un approccio vintage e scotolato dalle sonorità elettroniche, è un esempio di fuga da ogni concettualizzazione e razionalizzazione. Danny Boyle, famoso regista britannico, ci fece un documentario intitolato “Don’t Tell Mùm”, in cui viene spiegata meglio la loro vocazione.
Il secondo album Finally We Are No One è del 2002 e lo hanno composto in totale isolamento in un vecchio faro abbandonato sulla costa islandese. A seguire ci furono diverse dipartite dal gruppo e nuovi membri di passaggio. I Mùm sono una realtà musicale aperta alle novità. Hanno partecipato alla composizione di Unrest, album d’esordio di Erlend Øye, dei Kings of Convenience.
Nel 2006 la band è stravolta: perse le gemelle Valtýsdóttir, restano Smàrason e Tynes e si aggiungono Hildur Gudnadòttir (voce e violoncello), Olof Arnalds (archi e chitarra) e Samuli Kosminen (percussioni).
Nel 2013 c’è il grande ritorno di Gyöa Valtýsdóttir dopo dieci anni e viene pubblicato dalla Morr Music il sesto ed ultimo album, Smilewound.
I Mùm sono un gruppo anti-etichette, fuori dai cammini prestabiliti, in grado di osare musicalmente, quasi fino a provocare inquietudine. Sono diversi, perturbanti e unici. Sono anche loro, con il loro linguaggio, dei Rewriters, riscrittori dell’immaginario.
Qualcuno definì la loro musica da terraformazione, quasi una ninnananna per la nascita del mondo. La trovo una descrizione molto azzeccata, ma aggiungerei alla sensazione l’aggettivo freddo, quasi fossimo in un turbinio di arie gelide, o di acque fredde e frizzanti, che nel loro vorticare ci reindirizzano verso la terra, verso queste terra calda, bollente, in cui ci troviamo.