Sono grass*= sono malat*. È l’equazione che dovremmo tenere bene in mente, senza alcun tipo di stigma, quando ci relazioniamo con le persone obese. La consapevolezza che l’obesità sia una malattia è ormai acclarata nella comunità scientifica internazionale, lo è meno invece per chi ne è affetto o in ambito sociale. A differenza di quanto si possa comunemente pensare, un eccesso di peso non è conseguenza solamente di un’alimentazione errata, può essere causato anche da una disfunzione patologica (alterazioni ormonali o metaboliche) o avere addirittura un’origine genetica. L’obesità è una patologia eterogenea e multifattoriale influenzata da fattori genetici, ambientali, psicologici e anche invalidante. Il contesto sociale, familiare e medico specialistico è di fondamentale importanza per comprendere quanto l’obesità sia una vera e propria malattia a sé stante.

Una malattia che colpisce sempre più persone e non solo in Italia. Secondo i dati diffusi dalla World Obesity Federation l’obesità interessa 800 milioni di persone nel mondo. Nel nostro Paese riguarda 1 adulto su 10 e 1 bambino su 3 nella fascia di età fino a 8 anni (Dati Istat). L’obesità, inoltre, rappresenta un importante fattore di rischio per diverse malattie non trasmissibili: si stima che il 44 % dei casi di diabete tipo 2, il 23% di cardiopatia ischemica e fino al 41% di alcuni tumori siano attribuibili all’eccesso di peso. Una malattia che aumenta la probabilità di sviluppare una vasta gamma di malattie croniche. Così come essere obesi accresce anche l’eventualità che le malattie infettive portino a gravi conseguenze.

Nei giorni scorsi la World Obesity Federation ha pubblicato il rapporto COVID-19 and Obesity: The 2021 Atlas. The cost of not addressing the global obesity crisis – March 2021 in cui, attraverso una dettagliata analisi di dati sottoposti a peer review (nel mondo scientifico e accademico è una valutazione critica di un lavoro da parte di un’autorità centrale in materia), si mostra come l’eccesso di peso sia un fattore predittore altamente significativo dello sviluppo di complicanze da COVID-19, inclusa la necessità di ricovero, di terapia intensiva e di ventilazione meccanica. Bisogna anche considerare che il COVID-19 non è la prima infezione virale respiratoria aggravata dalla condizione di eccesso di sovrappeso e obesità. I ricercatori hanno evidenziato come i dati degli ultimi due decenni sull’impatto della sindrome respiratoria mediorientale MERS (Middle East respiratory syndrome), dell’influenza H1N1 e di altre infezioni correlate all’influenza diano esiti peggiori quando si è in presenza di eccesso di peso.

A delineare con precisione il contesto in cui in cui si muove la persona obesa è il prof. Luca Busetto, Co-chair Obesity Management Task Force della European Association for the Study of Obesity – EASO, “In molti casi, purtroppo, la persona con obesità è vittima anche di uno stigma clinico che la discrimina nell’accesso alle cure e ai trattamenti. A livello globale molti sistemi sanitari non offrono per il paziente con obesità lo stesso livello di assistenza che viene erogato per altre malattie croniche, come il cancro, il diabete, le malattie cardiovascolari e le malattie reumatiche. In Italia, l’accesso all’educazione terapeutica e a programmi intensivi di modificazione dello stile di vita è limitato nel sistema sanitario nazionale per il paziente con obesità, scarsa è l’offerta pubblica di programmi di terapia cognitivo-comportamentale, nessuno dei farmaci disponibili con specifica indicazione nella terapia dell’obesità è rimborsato dal sistema sanitario nazionale, e infine l’accesso alla terapia chirurgica bariatrica, secondo percorsi terapeutici che garantiscono un follow-up multidisciplinare, è molto difficile soprattutto in alcune aree del paese”. O come sottolinea il prof. Ferruccio Santini, presidente della Sio (Società Italiana dell’Obesità) le persone con obesità sono costantemente discriminate per la loro malattia, questo perché molti, compreso le autorità sanitarie, i medici, i media e l’opinione pubblica non comprendono che l’obesità è una malattia cronica, considerandola semplicemente come una mancanza di volontà delle persone che ne sono affette. È necessario che venga superato il paradigma della responsabilità personale e deve essere fatto a tutti i livelli”.

Ci sono ancora troppe barriere per una gestione efficace di questa malattia tra cui: l’esclusione nei corsi di studio di Medicina di un insegnamento specifico, l’influenza dell’industria alimentare, lo stigma, la carenza di centri specializzati, la non rimborsabilità di molti trattamenti. Riconoscere la complessità del problema significa dover affrontare una svolta culturale: dove l’informazione, la formazione e l’educazione diventano elementi indispensabili per facilitare il percorso di cura della persona obesa. Persona che deve essere conscia di avere una malattia e quindi di doversi rivolgere a un professionista. L’opinione pubblica e anche parte del mondo sanitario hanno ancora una visione superficiale del problema. E lo dimostra, per esempio, l’organizzazione dei servizi, dove la maggior parte delle sale di attesa non sono dotate di sedie adatte a sostenere i grandi obesi così come sono inadeguati i letti delle degenze o i sedili dell’autobus. È di fondamentale importanza che chi opera nella salute sia formato adeguatamente e che non sottovaluti le cause del problema e non ne minimizzi le conseguenze. È dunque evidente come sia sempre più rilevante che i governi adottino misure di prevenzione dell’obesità e di promozione di stili di vita salutari con un approccio integrato, equo, completo e centrato sulla persona. Perché le persone malate di obesità possano avere un percorso di cura adeguato.

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