Dedicato alla mia amica Paola e al suo Gechi
Ci sono delle vite che, per quanto sia lo sforzo che uno ci metta, resteranno sempre rotte. Tra i cagnari (parola che prediligo all’abbarrante cinofili) si dice che quando un cane è rotto non si può più aggiustare.

Questa in apparenza sembra davvero una brutta espressione: il cane paragonato a una vecchia macchina scassata deve rimanere così come è: mancano i pezzi di ricambio oppure nessuno sa mettere mano su quel modello.

Io, invece, sono molto affezionata a questa espressione essere rotti.

Sì, perché in alcune vite accadono fatti per cui il vaso contenete la nostra anima si infrange e, per quanto si tenti di rincollarlo, non tornerà mai come prima, non somiglierà più a quello degli altri.

Quando si “diventa” rotti

Il mondo cambia volto, i nostri occhi cambiano sguardo: si concentrano su particolari diversi, percorrono strade inusitate, spesso solitarie. Siamo tutti soli nel dolore e, per quanto forte possa essere il nostro desiderio di essere normali, esso fa come da schermo al mondo, quello di chi ha la fortuna di essere gettato nella normalità.

Le guardo spesso quelle persone in pace fischiettano mentre lavorano, si divertono con gli amici al bar, vanno al mare, collezionano francobolli… vivono la vita come va vissuta, per quel che è: senza cercare un senso. Abitano l’esistenza senza quella rabbia che ti si muove costantemente dentro per riuscire ad avere quel riscatto alla tua pena.

Una condanna che può essere evidente ed esplicita, oppure rimanere rinchiusa dentro l’anima (perché ci sono cose talmente brutte che non si possono neanche dire) per continuare ad alimentare una rabbia che non troverà mai un luogo né un tempo per essere espressa.

I cani “rotti”

Li vedi subito i cani rotti perché sono quelli che non sanno fare pace con il passato e, la maggior parte delle volte, sarà un passato che tu, umano, potrai solo immaginare perché nessuno potrà dirtelo. I cani rotti sono i più affascinanti in quanto si percepisce con quanta grinta provino anche loro ad essere nella normalità, eppure quanta fatica: un altro cane, una persona, un corridore, tutto può riaccendere il trauma e riportarli là in quel luogo buio dove qualcosa o qualcuno ha fatto loro del male, in quel tempo in cui qualcosa è andato rotto e si è rotto per rimanere rotto. E allora quanti sforzi, quanto lavoro per riuscire solo ad essere come tutti gli altri perché se non ce la fai, se non normalizzi ogni parte di te, se non sei funzionale al sistema allora non sei resiliente. Ma cosa vuol dire essere resilienti?

Tigre triste

Credo che ogni uno porti delle ferite nel cuore, ma che quelle insanabili, quelle che rompono abbiano un sapore differente. È proprio circa il concetto di resilienza che si domanda Neige Sinno a conclusione del suo libro dal titolo Tigre triste.

È un romanzo e al contempo una biografia in cui lei narra degli abusi che ha ripetutamente subito da bambina da parte del suo patrigno. Venire allo scoperto, raccontare, denunciare: quando tutti sanno ecco che non verrai più guardata nello stesso modo. Quando tutti apprendono anche il dolore che costudivi dentro assume una forma diversa. Essere rotti, questo è il punto, tuttavia mi stupisce ciò che scrive l’autrice circa la resilienza:

Ecco cosa trovo insopportabile della resilienza, l’idea che tutta quella sofferenza porti alla fine solo ad essere normali; accettare che quello che gli altri hanno senza sforzo, senza nemmeno coglierne il valore, a noi venga dato al prezzo di una doppia pena: prima il martirio e poi la via crucis della guarigione. Bisognerebbe piuttosto augurarsi che la resilienza in quanto superamento permettesse anche di andare oltre ciò che è normale, a mo’ di superamento dell’essere. Invece no (…)

La resilienza

Su questo punto mi trovo in forte disappunto con l’autrice che, secondo la mia sensibilità, non ha ancora fatto pace con quanto le è accaduto e che, in un certo senso, credo, conservi ancora una rabbia viva e grezza nel suo animo per quanto le è capitato (e come biasimarla: il libro descrive senza mezzi termini cosa da bambina ella ho dovuto subire).

E questo lo dico perché li ho visti i cani rotti quando erano ancora arrabbiati, quando erano ancora delle tigri tristi: è come vedere un animale in costante allarme, che non trova mai pace, che non conosce cosa sia e dove sia casa. Una tigre triste, perché si deve difendere anche se non gli è del tutto chiaro da cosa… perché quando la vita ha ferito e si era bambini, cuccioli, non si riesce più a lasciarsi andare, ad avere fiducia, a credere, a vivere…

Resilienza. Mi verrebbe da dire che questa parola esplichi come la vita non si faccia con i se e con i ma bensì attraverso i nonostante. Nonostante tutto sono qui, rotta, ferita, instabile, infelice, spaventata ma sono qui. Ho riscritto quello che gli altri hanno voluto scrivere di me: sono diventata il poeta della mia vita. Resilienza non è quindi normalizzazione.

Cosa un cane può dirci del dolore

Questo mondo ai cani rotti fa paura. Questo mondo alle persone rotte fa paura.

I miei amati cani rotti, il mio amato cane rotto (considerato un livello 3 il più alto come morsicatore), quello da cui ho imparato di più: un pastore tedesco dolcissimo con uno sguardo talmente profondo che ti scava nell’anima e io, la prima volta che lo vidi sentii immediatamente cosa mi stesse chiedendo: ti prego non farmi male.

E allora con Naso e la sua umana abbiamo iniziato ad avere meno paura, tutti e tre insieme abbiamo scoperto il NONOSTANTE. Questo è stato il nostro modo. E quel nonostante, quella resilienza ci ha resi diversi, ci ha lasciati rotti, ma non ci ha abbandonati a un dolore indissolubile e irrevocabile. Naso ha salvato me salvandosi e ha salvato noi. Senza Naso non avrei mai saputo in profondità di che pasta fosse fatta la vera resilienza.  

La vita è fatta di nonostante. Ce ne sono di più grandi e di più piccoli, ma sono quei nonostante a far risplendere certi occhi.

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