Sono passati 53 anni dai moti di Stonewall, da quel 1969 in cui la comunità LGBT+, grazie a Sylvia Rivera e a tant* altr*, prende forma e comincia ad assumere la consapevolezza di sé, a rivendicare i propri diritti e a uscire allo scoperto con coscienza politica.

Anche in Italia, con qualche anno di ritardo, iniziò il cammino nostrano di omosessuali e transessuali, soprattutto ad opera del Fuori!, associazione fondata da Angelo Pezzana e altri attivisti nel 1971.

Apice della coesione del movimento fu il World Pride 2000, organizzato per la prima e unica (sinora) volta a Roma, proprio nello stesso anno del Giubileo indetto da papa Giovanni Paolo II.

A 9 anni di distanza, nel 2009 un infame episodio di aggressione omofoba a Roma, fa scaturire la reazione indignata di gay, lesbiche e transessuali in tutt’Italia. Nascono spontanei i cortei, i raduni per le strade e le piazze delle città. Tra le voci, un collettivo inedito, apartitico, che prende il nome di WHAD (acronimo di We Have A Dream) che organizza partecipatissime fiaccolate scandite dalle voci appassionate di tanti membri della comunità LGBT+ che salivano spontaneamente per raccontare se stess* sui palchi improvvisati.

Roger Nicotera, artista romano da molti anni attivo nella comunità LGBT, era parte del collettivo WHAD che rimase attivo per alcuni degli anni in cui fu dibattuto il primo disegno di legge contro l’omotransfobia.

Autoritratto di Roger Nicotera, artista romano, nato nel 1974.

Dopo il 2016, anno di emanazione della legge Cirinnà sulle unioni civili, il movimento LGBT+ sembra faticare a ritrovare una propria centratura e una coesione che gli consenta di formulare una proposta politica efficace ad abbattere le prossime barriere, tra cui l’assenza di una legge contro l’omotransfobia, l’introduzione del matrimonio egualitario.

Può iniziare un processo di riscrittura dell’identità della comunità LGBT+?
Da Roger Nicotera ci arriva un segnale forte con la sua collana di ritratti “FAG!” che, già nel titolo evoca una provocazione che rimanda allo stigma ancora oggi sofferto da gay, lesbiche, bisessuali e transessuali nel mondo. Abbiamo l’opportunità di parlarne in anteprima.

Faggot, infatti, traducibile in “frocio, checca o finocchio”, spesso abbreviato in FAG, è un termine inglese dispregiativo per riferirsi alle persone omosessuali.
In Italia il numero di violenze e discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e identità di genere è ancora elevato e in aumento, complice l’assenza di una legge contro l’omotransfobia.

I dati sono preoccupanti se si pensa che, sempre più spesso, sono coinvolti gli adolescenti, laddove l’esclusione e la discriminazione parte proprio dalla famiglia.
FAG! è un progetto che nasce dall’esigenza di sostenere la comunità LGBT+ nella lotta per i diritti fondamentali, e sottolinea la differenza di ogni essere umano come valore imprescindibile, e mai come stigma, contribuendo così alla realizzazione di progetti di inclusione e sostegno per le persone più vulnerabili.

Per la creazione di questo progetto a lungo termine sono stati chiamati a raccolta diversi esponenti del Movimento LGBT+, dalle realtà Transgender alle Famiglie Arcobaleno, dalla comunità Drag sino a quella Leather&Fetish, per poi coinvolgere anche artisti, scrittori e tutte quelle figure che hanno dato il loro contributo in rappresentanza di coloro che, ancora oggi, restano costretti nella loro invisibilità.
Nel lavoro di Roger, ogni protagonista racconta qualcosa di sé, della sua storia e di quel Movimento che da cinquant’anni combatte per la libertà e l’uguaglianza.

Tra le tante storie, c’è anche la nostra, attraverso i ritratti di Artemisia, Cloe e Jacopo, i nostri figli, che raccontano come ancora oggi esistano bambini, i figli delle Famiglie Arcobaleno, con una cittadinanza a metà, quella di Gioele, attivista trans FtM, che sostiene giovani ragazzi e ragazze nel percorso di transizione e di orientamento, passando poi per l’immenso Andrea Berardicurti, artista Drag Queen e storico militante del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, in arte La Karl Du Pigné, divenuto indiscusso punto di riferimento per tutta la Comunità LGBT+.

FAG! narra quindi delle sconfitte e delle vittorie, delle ferite passate e delle battaglie vinte, di ostacoli che sembravano insormontabili e dell’inesorabile corso della storia. Parla di tutto ciò che ha reso queste persone coraggiose e orgogliose di ciò che sono e saranno, senza vergogna e senza giustificazioni.

Ho incontrato Roger Nicotera con cui abbiamo parlato del suo lavoro e dello stato di salute della comunità LGBT+ nel 2021.

Come è nata l’idea di un viaggio attraverso i ritratti di persone appartenenti al movimento LGBT?
Negli anni ho sempre cercato di essere presente quanto più possibile sul fronte della lotta ai diritti nel Movimento LGBT anche se poi nel tempo, per tutta una serie di motivi, ho dovuto in qualche modo “allentare la presa” rinunciando così ad esserne una parte attiva.
Tuttavia mi son reso conto di avere a disposizione uno strumento, la fotografia, che comunque mi avrebbe permesso di veicolare dei messaggi e di poter in qualche modo tornare a fare luce sulle questioni per me importanti.
Essendo poi un fotografo prettamente ritrattista, perché non coinvolgere quindi una parte del Movimento in sua rappresentanza per sensibilizzare e puntare il riflettore su alcune tematiche? Da qui nasce appunto il progetto “FAG!”

Quali sono stati i criteri di stile e di senso che ti sei dato per raccontare le persone LGBT+?
Il riferimento più forte in questo lavoro è sicuramente quello dato dai ritratti nella pittura fiamminga del ‘600, dove l’utilizzo del fondo scuro focalizzava l’attenzione sul soggetto eliminando così ogni elemento di distrazione, permettendo di porre maggiore attenzione sulle preziose diversità di ogni individuo.

Qui siamo su rewriters.it, gruppo di riscrittori dell’immaginario collettivo. Come si sta riscrivendo l’immaginario lgbt?
Rispetto al passato, dove l’immaginario e l’espressione della cultura LGBT era veicolata con grande potenza attraverso la forza delle arti visive e della letteratura, oggi invece nell’era della rete, dove tutto scorre veloce e la memoria ed il tempo vengono schiacciati, questo aspetto si è in qualche modo “standardizzato” incanalandosi in un percorso quasi obbligato, fatto spesso di una trasgressione fine a se stessa, quasi che l’urlo di quella che una volta era una vera e propria protesta sia stato sostituito da una sterile ricerca di attenzione e protagonismo.
Chiaramente la trasgressione è sempre stata parte della cultura LGBT, tuttavia, se prima aveva un suo valore imprescindibile che portava ad una rottura e di conseguenza ad una riflessione, oggi ne diviene perlopiù una rappresentazione patinata fine a se stessa e spesso priva dei contenuti che hanno permesso la creazione proprio di quella che è a tutti gli effetti una cultura LGBT e della quale dobbiamo ritrovarne la reale essenza per tornare a riscrivere in maniera contemporanea tutti quei contenuti di cui ancora abbiamo assolutamente bisogno.

Le storie che hai raccontato quanto parlano ancora di stigma, pregiudizio?
Quasi tutte le storie raccontate in “FAG!” parlano di stigma e pregiudizio.
Il progetto nasce proprio da questo.
Sono i due aspetti che da sempre condannano la comunità LGBT in una costante e faticosa salita verso il rispetto e l’uguaglianza.

Pensi ci sia ancora del potenziale inespresso dentro la comunità LGBT?
Più che potenziale inespresso, credo che in qualche modo abbiamo perso l’obiettivo primario, ovvero quello di essere concretamente una comunità.
Essere consapevoli di un reciproco sostegno e di considerarci a tutti gli effetti una famiglia nella quale poterci rifugiare nel momento in cui le difficoltà ci impediscono di rialzarci da soli. Infatti come tale avremmo sicuramente più forza e potremmo essere più incisivi nella lotta ai diritti.
Trovo che oggi si stia vivendo forse la pagina peggiore della storia del Movimento, quasi si fosse smarrita la memoria dell’importanza di un’unione e delle piazze come primo punto di riferimento per far ascoltare la propria voce. Oggi più che mai ho la percezione che ci si sia incasellati in singoli compartimenti in cui ognuno ponga attenzione prevalentemente ai propri obiettivi ed interessi, dimenticandosi spesso di chi sta vicino e con il quale, tal volta si entra anche in conflitto.
Naturalmente questo pensiero non vuole gettare un ombra su tutto il Movimento, ci sono diverse realtà che ancora operano con questi valori, tuttavia non è sufficiente ed è indispensabile che si rivedano le connessioni affinché si possa tornare ad avere quella forza e quell’unione di cui abbiamo assolutamente bisogno, specialmente in questi ultimi anni dove lo scenario politico e sociale sta vivendo una preoccupante regressione culturale, e per il quale ho timore che possa portarci a rivivere frangenti bui del nostro passato.

Chi sono i più FAG tra i FAG? Esiste una categoria LGBT+ che più delle altre è in sofferenza?
Le famiglie arcobaleno sono tra quelle che oggi indubbiamente a livello sociale stanno vivendo forti attacchi, ma c’è una categoria tra tutte, che vive da sempre una forte discriminazione, ovvero quella transgender, in particolare quella MtF.
Essere transgender, è ancora una condizione estremamente difficile poiché la discriminazione e la violenza sono a 360 gradi.
Parte spesso dalla famiglia, passando per il mondo del lavoro e delle relazioni sociali, senza contare poi, che il fattore discriminante è presente talvolta anche all’interno della stessa comunità LGBT. Eppure è grazie a loro che abbiamo dato inizio alla nostra rivoluzione oltre mezzo secolo fa.

“FAG!” è un lavoro che è stato immaginato per essere una mostra all’interno degli spazi espositivi del Roma Pride 2020 che, per la pandemia, è stato annullato.
In attesa di poterla vedere, possiamo ripercorrere la storia del movimento LGBT+ in Italia con il libro, uscito da pochi mesi, We will survive! Storia del Movimento LGBTIQ+ in Italia, una raccolta di saggi a cura di Nicoletta Poidimani e Paolo Pedote, edito da Mimemis, che raccoglie la memoria di oltre 40 anni di battaglie attraverso il racconto di alcuni dei protagonisti. Così magari cominciamo ad uscire da questa sindrome da Bella Addormentata e iniziamo la riscrittura. Che ne dite?

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