Essendo io una millennial, ho visto Mrs. Doubtfire un’infinità di volte durante l’infanzia, nonostante l’agghiacciante italianizzazione del titolo in Mammo per sempre e l’ancor più inquietante rilettura in chiave adulta dell’occulta onnipresenza del protagonista nella vita dell’ex moglie, che non riesce a ricostruirsi una vita fino a convincersi che esista un unico lieto fine possibile. Contraddizioni delle commedie degli anni Novanta, che spesso non riescono a trovare un confine tra percezione e rappresentazione. 

Per chi non conoscesse questo particolare soggetto, Mrs. Doubtfire è un film incentrato sul personaggio di Daniel, doppiatore dal lavoro incerto, marito e padre di tre figli, incapace di farsi carico delle proprie responsabilità tanto da finire in tribunale per la notifica del proprio divorzio. Da questa battuta d’arresto si apre per lui una fase di apprendimento e crescita emotiva (forse), resa godibile dall’interpretazione di un brillantissimo Robin Williams, che ovviamente culminerà con l’atteso lieto fine di ri-unione familiare.

Perché parlare di un film tanto ordinario e, a conti fatti, sorpassato? Se per il tema del convincimento indotto potremmo non trovare una soluzione per anni, l’italianizzazione del titolo ci offre uno spunto difficilmente ignorabile: quel mammo che spiega meglio di un saggio da cento pagine il divario di genere, o gender gap. Non una semplice trovata ironica di un titolista, ma una svalutazione cercata del ruolo di cura, da sempre declinato al femminile e considerato di secondaria importanza, oltre che un giudizio negativo sull’uomo che sceglie di occuparsene. 

Daniel, che rivendica con orgoglio e tenacia la sua legittima presenza nella vita dei figli che ha contribuito a generare, che non si piega agli stereotipi che vorrebbero un personaggio maschile di tutt’altra caratterizzazione, non è un padre, ma solo un mammo. 

Sono passati poco meno di trent’anni, e quel mammo comincia ad essere indigesto anche a chi non si occupa di attivismo di genere, o comunque pone sempre più attenzione su dati che anche solo pochi anni fa potevano essere liquidati senza doverose analisi. 

Proprio durante la mattina del 19 dicembre si è svolto l’evento di presentazione del Gender Policies Report 2022, presso l’Auditorium INAPP di Roma. Un report il cui sottotitolo “Intercettare il cambiamento e investire nella parità: nuove policy, vecchie e nuove sfide” svela già molto del contenuto: possibilità lavorative contrapposte a esigenze familiari. Scelte personali che influenzano l’accesso al mondo del lavoro. Percorsi professionali penalizzati da elementi ancora troppo spesso ingiustamente influenti, come il genere di appartenenza o l’età.

L’analisi è parte del Rapporto INAPP 2022, appuntamento annuale dedicato a lavoro e formazione, e delinea una situazione chiara: la strada da percorrere è ancora molto lunga. In particolare, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche pone l’accento sul divario di genere, che tocca i quasi 18 punti percentuali nel nostro Paese e rimane pressoché invariato rispetto ai dati divulgati lo scorso anno. 

Anche il tasso di disoccupazione mostra una differenza non trascurabile: quello femminile è globalmente stimato al 9,2%, contro il 6,8% di quello maschile; analizzando il dato per fasce d’età emerge anche che siano i giovani i più penalizzati, con il 32,8% per le ragazze e il 27,7% per i ragazzi nella fascia d’età 15-24.

Infine, il dato di non partecipazione all’attività lavorativa vede ancora una volta penalizzato pesantemente il femminile, che arriva ad tasso di inattività del 43,3%, contro il 25,3% attribuito agli uomini.

I dati di occupazione del Rapporto INAPP

Nemmeno i dati globali relativi all’occupazione mostrano ancora ampi margini di crescita. Come commenta la stessa INAPP:

A seguito dell’emergenza sanitaria, che ha stravolto il sistema economico e sociale del nostro Paese, riaffiorano gli scogli di un mercato del lavoro in cui l’occupazione sembra essersi incagliata da anni. Malgrado la spinta delle nuove tecnologie e delle nuove modalità organizzative, restano i nodi di un’occupazione sempre più atipica e con sofferenze retributive. 

Oltre ad un’analisi dettagliata, il Report propone alcune considerazioni in merito a politiche e interventi attuabili orientati a contribuire, in un’ottica di efficienza, efficacia ed equità, il superamento di alcune arretratezze del nostro Paese rispetto al contesto europeo, anche attraverso il contributo del PNRR.

Dati che arrivano dopo un 2022 carico di incertezze da parte delle istituzioni e delle aziende, contrapposte a una presa di coscienza sempre più marcata da parte dei lavoratori circa le proprie aspettative e che confermano quanto sia ormai urgente occuparsi del sistema lavorativo italiano con investimenti in infrastrutture, digitalizzazione e formazione, per allinearsi alla media europea.

Chissà se rimarrà un buon proposito per il 2023 in arrivo, oppure se sarà davvero l’inizio di una seria ristrutturazione del sistema di valori che ci portiamo appresso e che, sempre più spesso, si rivela tanto arretrato.

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