Nel 1821 il medico francese Charles Pierre-Louis de Gardanne, nella prefazione della sua opera dedicata all’età critica delle donne propose, per descriverla, di usare la parola menopausa e la inserisce nel titolo del libro Sulla menopausa o sull’età critica delle donne.

E’ così che nasce la famigerata parola, é così che si comincia a fare attenzione ad una fase della vita delle donne che fino a quel momento era stata quasi inesistente.
Nell’antichità, infatti,  le donne non vivevano abbastanza a lungo da arrivare alla menopausa, sovente si moriva ancora in età fertile, spesso di parto. 

Prima del 1821 non si parla esplicitamente di menopausa ma comunque,  tutto quello che si scrive rispetto a questa fase e alle donne che la raggiungono è una tragedia

Come mai? Il primo dato é culturale, come sempre.
Dalla notte dei tempi il genere femminile è stato esaltato per le sue funzioni riproduttive, ed è questo il ruolo in cui le donne si sono spesso rifugiate per la necessità di essere rispettate e di sopravvivere. Diventare mogli e madri era il modo migliore in cui una donna potesse essere considerata, un’alternativa sostenibile rispetto all’entrare a far parte dell’esercito di diavolesse e streghe che si associano a un certo tipo di femminilità fin dalla cacciata di Adamo ed Eva dall’Eden. Perciò la perdita delle mestruazioni, e quindi della funzione riproduttiva, culturalmente, simboleggia la perdita dell’identità femminile e della sua funzione principale.

Quando non ci riproduciamo più diventiamo inutili come donne e dall’inutilità alla malattia il passo é brevissimo, non a caso la menopausa é stata ed é ancora l’unica fase della vita di una donna ad essere trattata come una malattia. Quando se ne parla si parla di sintomi e di cure.

Vediamo adesso cosa si é detto dal punto di vista medico e scientifico prima del 1821. 

Ippocrate  basò la sua teoria degli umori, la prima teoria medica di cui abbiamo conoscenza, sul fatto che l’essere umano in salute deve  mantenere in equilibrio 4 tipi di umore: sangue, bile nera, bile gialla e flegma.

Se questi quattro tipi di umore  fossero stati squilibrati avrebbero prodotto disagi e malattie. L’equilibrio veniva mantenuto espellendo gli umori in eccesso attraverso  salassi e purghe. Le donne con le mestruazioni potevano espellere il sangue in eccesso mensilmente e mantenersi così in salute, ma quando il sangue non c’era più, chiaramente si formava un disequilibrio e di conseguenza ci si ammalava. Quindi non mestruata era uguale a malata.

 Aristotele, dal canto suo, affermava che l’essenza della vita dipendesse da quanto calore ed umidità il corpo è in grado di contenere; la vecchiaia non è che un progressivo raffreddamento di questi umori. Si comprende dunque perché scomparsa dei flussi e vecchiaia coincidano, escludendo di fatto la donna dal circuito vitale. 

Il Medioevo visse nel solco di Aristotele e così Gregorio Magno, nel VI secolo, si affretta a spiegarci che l’occhio, organo passivo, raccoglie il flusso mestruale, alterando quindi l’aria che trasmette con questo vapore nocivo. Triste, logica, conseguenza: cessate le mestruazioni la donna diventa estremamente pericolosa, dal momento che tutto il nocivo non ha più esito e può essere integralmente assorbito e trasmesso dallo sguardo.  Riprendendo quanto Aristotele aveva detto sulla nocività di sguardi femminili, ci si convince addirittura che lo sguardo delle vecchie trasmetta veleno ai bimbi in culla.

Nel XIII secolo  l’opera De secretis mulierum attribuita al frate domenicano Alberto Magno, un testo diffuso per secoli in tutta Europa, riportava quanto segue: “la ritenzione del sangue mestruale comporta molti cattivi umori e  quelle donne ormai anziane non hanno quasi più quel calore naturale che permette loro di consumarlo e digerirlo e soprattutto ciò riguarda le donne povere che consumando solo carne di cattiva qualità ne sono danneggiate: queste sono più velenose delle altre”. 

Fino al XVIII secolo il registro che viene tenuto è più o meno lo stesso: senza mestruazioni, malate, vecchie e velenose. E’ con questo fardello che si arriva al 1821 quando la menopausa acquista un nome e diventa una malattia: l’età critica delle donne.  

Con il passare del tempo abbiamo smesso di avvelenare i bambini con lo sguardo e abbiamo rivolto il nostro potere malefico verso noi stesse: vampate, insonnia, osteoporosi, incontinenza, calo della libido, aumento di peso e chi più ne ha più ne metta. Sembra una maledizione, e invece queste sono le possibili manifestazioni della menopausa, che scientificamente è solo la fine delle mestruazioni, quindi dell’attività ovarica con conseguente fine del periodo fertile.

Un’altra fase della vita, e come tale diversa da donna a donna, esattamente come é già accaduto nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, dall’adolescenza all’età adulta. I nostri corpi sono cambiati: abbiamo avuto l’acne oppure no, il naso ha cambiato forma e ci sono cresciuti i peli, siamo ingrassate o dimagrite, diventate più alte o rimaste piccole, mestruazioni a 10 anni oppure a 15, seno grande o medio, o piccolo… Alcune ne hanno fatto una tragedia, altre l’hanno vissuta benissimo. Ma nessuna di queste fasi è una malattia, neppure la menopausa.

Questo non vuol dire che io disconosca che possono esserci dei fastidi. So che le vampate esistono davvero e che alcune donne stanno molto male.

A tal proposito però vorrei citare  Rossella Nappi che nel suo libro Sulla cresta dell’onda  dice  che “la lettura dei sintomi dipende dal contesto” e “ognuna ha la sua menopausa” influenzata da variabili quali il patrimonio genetico, lo stile di vita, l’esperienza e il contesto culturale. Solo per fare un esempio relativo al contesto: in Cina l’espressione usata per indicare la menopausa significa seconda primavera.

Insomma punti di vista decisamente diversi da quello di Frate Alberto Magno e di de Gardanne, che ci trasportano repentinamente  verso un presente e un futuro in cui le donne occidentali in media entrano in menopausa a 52 anni, e hanno un’aspettativa di vita intorno agli 85 anni. Ancora circa 35 anni… in menopausa. 
Un’altra vita davanti a sé.

Pensate a quanti anni avevate 35 anni fa. Quante cose avete fatto nella vita? Quante esperienze? Quante relazioni? Quante scoperte?  Trentacinque anni sono tantissimi, e quelli della menopausa possono essere vissuti in una condizione di maggiore libertà di quanta ne abbiate mai avuta prima, maggiore indipendenza personale, economica, culturale, intellettuale di quanta ne abbiano mai avuta le donne nei secoli passati.

Abbiamo cominciato a controllare la fertilità per avere delle nuove priorità, non più solo mogli e madri, ma persone con desideri, interessi, progetti, aspirazioni, a tutte le età.

Possiamo decidere se dare alla menopausa il valore di una malattia o di una opportunità, scegliere se farla diventare la fase della malinconia e del rimpianto, o la fase della pienezza, della progettazione, delle nuove scoperte, di nuovi ruoli da interpretare, della soddisfazione.

Sapete cosa significa avere quei 35 anni davanti a noi? Significa che possiamo progettare un nuovo futuro come lo desideriamo. A partire da ora.

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