Torna dal 7 al 15 Gennaio al Teatro Cometa Off di Roma Caso, mai, un testo coraggioso che affronta il tema della Sla, incontrando a più riprese successo di pubblico e critica. Scritto da Simone Guarany, con Simone GuaranyMarco GiustiniLicia AmendolaMaria SessaGiulia Bornacin. Ne parliamo con la regista e interprete Licia Amendola.

Caso, Mai ha una storia che è spettacolare di per sé: vuoi riassumerla per Rewriters? La storia è quella di due ragazzi, Massimiliano e Giuseppe, ciascuno con la propria vita, entrambi fidanzati e conviventi – rispettivamente di Flaminia e di Paola – ai quali all’improvviso viene diagnosticata la SLA. S’incontreranno per la prima volta in ospedale, dove saranno seguiti dal Dottor Giomberti e da un’infermiera/suora, Suor Lucia. È uno spettacolo che parla ovviamente della Sclerosi Laterale Amiotrofica, che ne è protagonista silenziosa. Ma è soprattutto uno squarcio sulle vite di sei personaggi, che da un certo momento in avanti della propria vita, chi per un motivo chi per un altro, dovranno inevitabilmente gettare la maschera per mettersi a nudo di fronte alla morte e al significato della vita stessa.

Come spiega Licia Amendola il grande successo di pubblico e critica su un tema così apparentemente scomodo?
“Caso, mai” mette in scena personaggi diversi che rappresentano modi diversi di approcciare alla vita e alle situazioni. Lo spettacolo non si propone di dare un unico punto di vista, non fornisce risposte, né giudizi. Parla della SLA, toccando anche il tema dell’eutanasia, senza però mai prendere una posizione al riguardo, anzi: il suo scopo è quello di aprire a domande, dando la possibilità allo spettatore di potersi mettere nei panni di uno o dell’altro personaggio, di identificarsi in uno o nell’altro carattere, di simpatizzare per una o per l’altra reazione. “Cosa farei io se mi ritrovassi in una situazione simile?” è una domanda che nella vita spesso viene da porci e alla quale difficilmente si riesce a dare una risposta certa, soprattutto in circostanze così delicate. Attraverso la SLA e i personaggi che ruotano intorno a questa terribile malattia che potrebbe colpire chiunque, raccontiamo le vite di tutti. Ed il modo in cui lo facciamo, leggero, divertente, profondo, dà modo a tutti di sentirsi coinvolti.

Quali sono state le chiavi drammaturgiche, registiche e recitative scelte da Licia Amendola per affrontare il tema della malattia e della cura?
La recitazione e parte della scrittura drammaturgica sono frutto di un lavoro approfondito sulla malattia durato diversi mesi. La collaborazione con l’AISLA e con il Centro Clinico NeMO nella figura del Dott. Mario Sabatelli è stata fondamentale per andare a fondo su dettagli e sfumature psicologiche non solo di chi si ritrova coinvolto in prima persona, ma anche di coloro che gravitano intorno alla malattia, come i familiari e i medici. Non solo: abbiamo studiato nel dettaglio tutta una serie di documenti, di leggi e codici deontologici, in modo da essere totalmente veritieri e da dare informazioni reali rispetto una malattia ancora poco dibattuta. La scelta registica vede invece lo spettacolo svilupparsi in due parti ben delineate: la prima ha il sapore di una commedia e alterna scene di vita quotidiana delle due coppie in stile cinematografico, mettendo di volta in volta in luce prima l’uno e poi l’altro appartamento (disposti ai due lati del proscenio). La seconda parte va più in profondità, ma senza smettere mai di far sorridere: fino alla fine lo spettacolo riesce infatti ad essere leggero e delicato, nonostante tocchi determinati temi e scenda nel profondo del dolore personale di ciascuno. Di cura, purtroppo, non si parla. Non esiste cura per la SLA. Esiste solo un “avere cura” dei pazienti malati di SLA. E questo è il lato più tremendo ma paradossalmente quello più pieno di amore della malattia.

Avete voluto creare una trama di speranza: in che senso? E quanto la censura su alcuni temi aiuta invece la disperazione?
La speranza è la cura di ogni male. Con la speranza gli esseri umani possono affrontare qualsiasi difficoltà, la storia insegna. Al contrario, i tabù della società contribuiscono a creare ignoranza, solitudine, angoscia, dolore. I tabù sono l’opposto della speranza. Parlare di tematiche come il dolore, il suicidio e la malattia, è un modo per capire e comprendere la nostra stessa Vita.

Due parole sulla collaborazione tra gli artisti della compagnia e sul sostegno delle associazioni
Una cosa che accomuna tutti gli attori della compagnia e le associazioni che ci supportano è l’aver aderito immediatamente e con grande entusiasmo al progetto, donandosi anima e corpo nella realizzazione dello spettacolo. Tutti gli attori si sono fin da subito messi in gioco, mossi dal desiderio di essere testimoni consapevoli e al tempo stesso farsi tramite di verità assolute e profonde. Ciascuno ha portato la propria professionalità e la propria umanità a disposizione del tema trattato e dei personaggi interpretati in maniera strabiliante. Le associazioni che ci supportano – AISLA, Centro Clinico NeMO e Nazionale Italiana Poeti – sono state preziose e fondamentali fin dal principio. Attraverso incontri, conference call, email e telefonate, ci hanno aiutato a creare uno spaccato quanto più realistico di questa terribile malattia. Abbiamo conosciuto persone meravigliose, dal cuore enorme. Persone che muovono i propri passi unicamente verso l’amore, nonostante siano continuamente a contatto con realtà totalmente destabilizzanti. Vorrei ricordarne una per tutte: Emiliano Scorzoni, vicepresidente e allenatore della Nazionale Italiana Poeti, un poeta, un uomo immenso che purtroppo, proprio a causa della SLA, è venuto a mancare la notte di Capodanno dopo soli tre anni dalla diagnosi. Non dimenticheremo mai le sue risate e i suoi occhi pieni di gratitudine durante una delle nostre repliche.

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