“Grande festa alla corte di Francia, c’è nel regno una bimba in più
Biondi capelli e rosa di guancia, Oscar ti chiamerai tu
Il buon padre voleva un maschietto ma ahimè sei nata tu
Nella culla ti han messo un fioretto, lady dal fiocco blu”

Cominciava così la sigla di Lady Oscar, il nome scelto per la trasposizione anime (serie animata) del manga Le Rose di Versailles (in lingua originale Berusaiyu no bara) scritto e disegnato dalla grande autrice giapponese Riyoko Ikeda e pubblicato in Giappone nel 1972.

La sigla italiana di “Lady Oscar”

Lady Oscar, la serie tv

La serie è andata in onda nel nostro paese per la prima volta nel 1982 su Italia 1 e per gli/le adolescenti italiane/i fu la prima occasione di confrontarsi con un personaggio inedito: Oscar François de Jarjayes, Lady Oscar appunto, una donna che, per volontà del padre, sin dalla nascita è cresciuta come un maschio e, che quindi, a quattordici anni, dopo aver studiato alla scuola militare regale a Parigi, decide di seguire la volontà del padre e diventa capitano delle guardie reali di Versailles, divenendo amica fidata della regina Maria Antonietta.

Lady Oscar compare nelle tv degli adolescenti italiani anni ’80 come un fulmine, rompendo la consolidata raffigurazione iconica della ragazza fragile e bisognosa di salvezza da parte di un uomo: la classica principessa insomma. Per scelta della sua autrice è androgina. Infatti la Ikeda per immaginarla si ispirò alle fattezze di Björn Andrésen, l’attore che, adolescente, fu scelto da Luchino Visconti per interpretare Tazio ne La morte a Venezia.

Björn Andrésen in “La morte a Venezia”

Il suo essere raffigurata come androgina e impegnata in arti militari non le impedisce però di esprimere il suo essere donna e, infatti, la serie (spoiler) si conclude con Lady Oscar morente nelle braccia del suo amato André Grandier, un popolano più grande di un anno, che il padre di Oscar le aveva affiancato sin da bambina.

Ruoli sociali e pari opportunità

Nello scrivere Le rose di Versailles, Riyoko Ikeda realizza un’opera rivoluzionaria dal punto di vista sia della giustizia sia da quello dei ruoli sociali e delle pari opportunità. Il parallelo che compie è tra la Francia pre-rivoluzionaria e il Giappone degli anni ’70, entrambi i contesti caratterizzati da costrizioni e ingiustizie sociali e da ruoli di genere predeterminati. Nel momento in cui la Ikeda immagina Lady Oscar il Giappone è attraversato, infatti, dalla seconda ondata di femminismo. L’autrice stessa in tutta la sua carriera si soffermerà sulla descrizione di ruoli femminili forti e che hanno contribuito, in diversi modi, a ridescrivere l’immaginario legato alle donne; da Lady Oscar a Maria Antonietta, da Elisabetta I a Barbara Cartland.

Le rose di Versailles è quindi molto più di una serie televisiva o di un manga: è un invito a ripensare i ruoli sociali, quelli di genere e le dinamiche di classe.

Per spiegare la portata rivoluzionaria di questa opera, esce oggi per Cronache ribelli La Rivoluzione di Lady Oscar. Questione di genere e lotta di classe ne Le Rose di Versailles scritto da Matteo Minelli e Fabio Pennacchi.

Ho colto l’opportunità di rivolgere alcune domande agli autori per entrare nel vivo della loro analisi.

Da cosa è nato il vostro interesse per l’opera di Riyoko Ikeda? Siete stati lettori della prima ora o è stata una scoperta tardiva?
A dire il vero sono cresciuto con altri capisaldi per quanto riguarda l’animazione giapponese e i manga: la mia personale triade è formata da Go Nagai, Rumiko Takahashi e Leiji Matsumoto. Quest’ultimo è stato, con Capitan Harlock, protagonista dapprima della mia tesi di laurea e poi, sempre grazie ai ragazzi di Cronache Ribelli, del mio primo libro in questo ambito. Naturalmente seguivo Lady Oscar in tv ma per quanto mi riguarda devo ammettere che sia il prodotto editoriale che l’autrice sono una riscoperta in età adulta.

Riyoko Ikeda può secondo voi definirsi una autrice femminista?
L’impegno politico e sociale di Ikeda parlano per lei e ritengo difficile negare che sia un’autrice femminista. Potremmo discutere sulle singole opere magari e avere opinioni differenti sui vari personaggi ma sulla persona “Riyoko Ikeda” non vedo come si possano avere dubbi a riguardo.

Da cosa deriva, secondo la vostra ricerca, l’interessa di Ikeda per le figure femminili? Ne ha scritto moltissimo, anche partendo da profili come quello di Barbara Cartland, la famosa autrice di romanzi rosa.
Credo sia da ricercare proprio nell’impegno al servizio della causa femminista: la valorizzazione delle autrici passa attraverso la diffusione delle loro opere a prescindere poi dall’impegno profuso dalle stesse autrici per la causa mdesima. Ritengo che, nello specifico, si sia interessata a Barbara Cartland proprio per dimostrare a chi non la conoscesse o nutrisse dubbi a riguardo, che la creatività di una donna non ha niente da invidiare a quella di un uomo, né per qualità né per quantità.

La scelta di ispirarsi a Björn Andrésen, il famoso Tazio in “Morte a Venezia” di Visconti per rappresentare Lady Oscar secondo voi è stata una scelta precisa per esprimere una fluidità di genere?
Con ragionevole certezza sì, ci sono diverse fonti che lo affermano ma, in tutta sincerità, più che di fluidità di genere parlerei di aspetto androgino di Oscar, un aspetto che confonde molti a prima vista ma che è anche legato al suo ruolo e all’uniforme che indossa. Quando si presenta al ballo vestita da donna, infatti, nessuno ha dubbi riguardo al suo genere, ma allo stesso tempo faticano a riconoscere la persona che sono abituati a vedere in tutt’altro abbigliamento.

Che parallelo avete individuato tra la società giapponese degli anni ’70 e l’antico regime francese descritto ne “Le rose di Versailles”?
Nel libro questo aspetto non è stato approfondito in modo rilevante, certo è possibile notare delle interessanti coincidenze come una condizione femminile generalmente svantaggiosa e una divisione della popolazione in classi sociali. Questo contesto si è incastrato, magari in modo fortuito, con il desiderio di Riyoko Ikeda di raccontare la vita di Maria Antonietta, scintilla da cui nasce l’idea dell’opera.

Riyoko Ikeda ha voluto realizzare un’opera femminista con “Le rose di Versailles”?
Penso proprio di sì, nonostante l’ispirazione sia partita da presupposti diversi il risultato finale è decisamente un’opera che mette al centro la questione femminile, rivolgendosi in primis alle stesse donne ma avendo al tempo stesso la capacità di catturare una platea più ampia.

E’ molto interessante quanto evidenziate, nell’opera di Ikeda, circa le contaminazioni tra lotta di classe e gender gap. Che legami avete trovato?
In generale penso che l’opera contribuisca a dimostrare che le varie forme di oppressione all’interno di ogni società si intersecano e tendano ad alimentarsi vicendevolmente. Per questo è importante analizzarle e combatterle insieme. Anche perché, come ci dimostra Capitan Harlock, non basta costruire una società che abbia, apparentemente, risolto una forma di discriminazione per far sì che essa cessi di essere ingiusta e
oppressiva.

In conclusione: Lady Oscar è un personaggio rivoluzionario e perché?
Sicuramente Oscar è un personaggio rivoluzionario. Essa rappresenta un nuovo modello di donna forgiato all’interno di un’esperienza rivoluzionaria: libera dalle convenzioni, indipendente, autonoma nelle decisioni, essa è in grado di costruire una relazione sentimentale paritaria e di combattere negli ideali in cui crede.

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