Dopo la prima edizione del 1990, me lo sono chiesto tante volte. Può rischiare di essere un esercizio inutile, esattamente come chiedersi se il Festival di Sanremo ha un futuro e arrovellarsi sulla questione. Certe volte, la risposta è stata un pensiero lungo, articolato; altre volte silenzio, per cui vi consiglio di ascoltare 4’33″ di John Cage, un ottimo commento.


Questa volta la domanda l’ho posta a Piero Grazioli, che per 10 anni per conto della CGIL ha contribuito a ideare e ha organizzato il Concerto del 1° maggio in Piazza San Giovanni a Roma. Ovviamente siamo reduci da un’edizione singolare del Concertone, condizionata dall’emergenza sanitaria, ma conoscendo la ricorrenza annuale, nella speranza che l’emergenza finisca, è lecito riflettere e interrogarsi. ll Concertone dopo 30 anni di vita, ha ancora ragione di esistere così com’è?

Per rispondere a questa domanda, bisogna andare indietro, raccontare in breve la storia del cosiddetto concertone. Alla fine degli anni ‘80 il Sindacato era un sicuro e forte punto di riferimento per il Paese, ma non altrettanto per i giovani con i loro sogni e le loro speranze. Riflettendo su quest’aspetto, soprattutto grazie a Ottaviano Del Turco (Segretario Generale Aggiunto della CGIL), si cominciò a ipotizzare di creare un’occasione d’incontro tra il Sindacato e i giovani attraverso la musica. Così nacque l’idea di organizzare un concerto gratuito, attraverso il quale puntare a valorizzare la musica italiana e particolarmente quella musica che sapesse rompere gli schemi tradizionali: per questo si individuò il rock quale base sulla quale innestare altri generi musicali. La prima edizione avvenne nel 1990 e, stranamente, trovò l’ostilità, tutta ideologica, di alcuni giornali dell’estrema sinistra quali il Manifesto e altri, che parlarono di tentativo da parte del Sindacato di strumentalizzare sia i giovani sia la musica. Va considerato inoltre che CISL e UIL non avevano la stessa grande spinta della CGIL.


Gli operatori del settore e gli artisti, però, capirono che si stava creando una grande occasione di rinnovamento musicale e di dialogo tra giovani, istituzioni, politica e musica. Infatti, parallelamente al concerto, si tentò di dare vita a una piattaforma permanente d’incontro tra gli operatori, i critici musicali e soprattutto gli artisti. Per questo organizzammo tante riunioni in CGIL e a febbraio del 1991 realizzammo anche un convegno a Sanremo, per analizzare lo stato dell’arte in questo difficile settore e per capire cosa si poteva fare. Ne conseguì il tentativo di Francesco Fracassi e Diego Grazioli di dare vita ad un Sindacato Unitario della Musica, tentativo che si scontrò con i troppi interessi e le troppe gelosie che caratterizzavano (e purtroppo ancora caratterizzano) questo settore.

Una cosa che apparve chiara a tutti fu che il concerto avrebbe potuto avere uno sviluppo e diventare un reale supporto per la musica, solo se fosse riuscito a essere vivo per tutto l’anno e non solo nei giorni della sua manifestazione. Per questo, con tutti gli operatori che si riunivano in CGIL, si lavorò per creare un collegamento stabile tra il concerto e le principali manifestazioni che allora puntavano ad aprire nuove frontiere per la musica italiana. Particolarmente si avviò un confronto col Premio Tenco, il Premio Recanati, il Premio Ciampi, Arezzo Wave, con alcune organizzazioni quali Anagrumba di Luca Fornari, l’ARCI e la CNI di Paolo Dossena, il Comune di Roma, con alcune testate del settore e con i giornalisti di alcuni importanti quotidiani italiani che appoggiavano questi nostri tentativi.

Ma presto, anche in seguito ai rilevanti costi organizzativi, tra gli organizzatori e su pressione della RAI e delle case discografiche, prevalse la scelta di aprire il Concerto al mercato e alle case discografiche che dovevano valorizzare gli artisti che vi prendevano parte. Iniziò così un inarrestabile cambiamento delle scelte artistiche e il concerto diventò una cosa assai grande e anche pregevole per certi versi, ma che vide azzerare le spinte innovative sulla base delle quali era nato. Finirono allora tutti gli sforzi di fare del concerto un sistema organico alla musica italiana e ai suoi operatori e così morì anche il tentativo di creare un Sindacato Unitario della Musica, che di questi tempi, a causa dell’emergenza sanitaria e lavorativa, torna di grande attualità, per accrescere il rispetto e le tutele dei lavoratori.

Il Coronavirus ha obbligato il concerto a scegliere per il 2020 una diversa modalità di proposta al pubblico, occasione gestita con intelligenza da Massimo Bonelli (organizzatore con iCompany) in una maniera che, come sempre accade, ha raccolto critiche positive e negative, fino alla richiesta estrema di un significativo silenzio musicale per l’edizione 2020, come per la Festa della Musica del 21 giugno. La scelta operata ha in ogni caso aperto un’interessante riflessione su cosa potrebbe essere il concertone dei prossimi anni.

Perché non collegare stabilmente lo spettacolo live a quello che ha caratterizzato quest’ultima edizione? Perché non cercare di dare più spazio e maggiore sostegno lungo tutto l’arco dell’anno a Primo Maggio NEXT, il contest per musicisti emergenti, se si ritiene opportuno continuare a organizzarlo e a non inserire i nuovi artisti direttamente nel programma principale? Perché non tentare di saldare questo nuovo possibile modulo al problema dei diritti per tutti coloro che svolgono i mille mestieri della musica? Perché non tentare di collegare questa nuova tipologia di concerto agli altri settori dello spettacolo: cinema, tv, radio, teatro, ecc., a tutte le piattaforme multimediali che oggi sono disponibili, nonché ai supporti cartacei interessati? Perché non chiedere alla Rai, cioè al servizio pubblico, tra le sue molteplici produzioni e programmi che coinvolgono tanti settori, di progettare e programmare una finestra in qualche suo programma, una finestra che faccia dialogare quotidianamente il concerto con l’intero mondo della musica, coi giovani, con la politica, gli addetti ai lavori, con i media che seguono questo settore, per farla diventare un’occasione stabile di tutela e rafforzamento dei diritti sindacali e sociali di coloro che operano in tutti i settori dello spettacolo? Perché non ipotizzare di collegare questo progetto annuale di concerto con la fase preparatoria del Festival di Sanremo nella quale si selezionano le nuove proposte?

Io penso che un rinnovamento del concerto sia a questo punto, dopo 30 anni, necessario e possibile. Per avviare una solida riflessione, forse, dovremo cominciare tutti insieme a tentare di dare risposte a questi interrogativi.

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