Dopo 2 anni di lavoro, è uscito il mio Transdisciplinary Case Studies on Design for Food and Sustainability, un libro che ho avuto l’onore di pubblicare e che mi ha permesso di collaborare con grandi esperti e professionisti del cibo e del design, provenienti da tutto il Mondo.

Nato come libro rivolto a studenti ed accademici, fa parte della collana Consumer Science and Strategic Marketing  della nota casa editrice Elsevier. Questo libro analizza l’interconnessione tra sostenibilità, cibo e design, dimostrando la presenza del food design in vari campi di studio. Diviso in sei parti, il libro inizia con la teoria sulla trans-disciplinarietà che collega il cibo al design. Seguono cinque sezioni specifiche,  che includono diversi casi di studio e mettono in luce le diverse forme e applicazioni del food design, compreso l’uso del food design nella filiera agro-alimentare, nelle imprese e nella ristorazione, nella creazione delle identità e dei territori, nella circolarità del cibo e nelle interazioni sociali collettive.

I casi di studio contenuti in questo libro sono volutamente narrazioni di soluzioni di successo provenienti da campi disciplinari diversi. Sono casi provenienti da diverse parti del mondo, e spesso nello stesso racconto troviamo collaborazioni tra esperti di settori disciplinari anche molto distanti l’uno dall’altro. Tra questi ci sono anche alcune eccellenze italiane.

Come ad esempio il Systemic Food Design, una applicazione web per la sostenibilità delle filiere agroalimentari, raccontata nel libro dal professore Franco Fassio e nata dalla collaborazione dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche e Comieco, il Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli Imballaggi; oppure lOsservatorio sul Dialogo nell’Agroalimentare, un processo di co-partecipazione basato sul design thinking, come racconta il professore Andrea Sonnino nel libro, lanciato da FIDAF, Associazione Passinsieme, rete del Festival Cerealia e da un gruppo di ricercatori, docenti e operatori con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo sostenibile dei sistemi agroalimentari mediante il dialogo tra i suoi attori e proporre una serie di obiettivi specifici e azioni necessarie.  

Il valore del design nei progetti raccontati in questo libro non deriva solo dall’efficacia nella formazione, con ricadute e impatti positivi sulla realtà, ma soprattutto nella creazione di competenze trasversali e di capacità nella gestione dell’innovazione e nella trasformazione degli scenari attuali dell’agri-food.  I casi presentati sono esempi concreti del ruolo metabolico che il design può avere nell’agroalimentare.

Cosa si intende per ruolo metabolico?

Nel 2014 mi sono appassionata al lavoro di ricerca di Marc Tuters e Denisa Kera, e alla loro idea di Metabolic Interaction. Ho sempre pensato che questo approccio  fosse facilmente adattabile al design nell’agroalimentare, perché può aiutare gli utenti ad entrare a pieno titolo nella progettazione del nuovo e a far propri i valori che contraddistinguono scenari alimentari innovativi, più sani e sostenibili.

E’ il concetto di metabolismo del design nel settore agroalimentare, ovvero della necessità di progettare innovazioni in grado di esaltare i sistemi di esperienze cibo degli esseri umani, perché il sistema Terra, cosi come il sistema corporeo umano, ha sempre più bisogno di un nuovo metabolismo culturale e cognitivo. In parole semplici, con il design possiamo costruire e progettare strumenti, servizi, prodotti e sistemi che portino a vivere esperienze cibo più sane e sostenibili, ma queste funzioneranno a lungo termine solo se saranno anche facilmente metabolizzabili dalle persone e dalle comunità.  Per far questo, le novità non dovranno essere solo assimilabili dagli utenti, ma dovranno diventare dei loro strumenti, rituali e regolari, ovvero i loro strumenti di cambiamento quotidiano.

Chi sono i nativi sostenibili?

Vorrei riproporre qui un concetto che ho già raccontato nel mio blog e che espongo sempre ai miei studenti, quando spiego l’obbligo morale di progettare un  mondo per i nativi sostenibili. I nativi sostenibili sono quelli che nascono e crescono in un mondo dove gli artefatti culturali ( fisici e cognitivi) sono progettati per sostenere comportamenti più sani per noi e per il nostro Pianeta. Essere sostenibili deve diventare facile e questo può avvenire solo innescando meccanismi educativi e metabolici a tutti i livelli. Non mi stupisce che stiano nascendo dei corsi dedicati a questo, come quello su Education for Sustainability citato da Danilo Casertano nel suo blog.

Il design si sta rivelando una metodologia vincente capace di aiutare nel processo di innovazione culturale e portare valore che non deriva tanto dalla capacità tecnologica (che non manca anche a livello avanzato), quanto dalla capacità di reale innovazione portata dai giovani, che vanno visti come semi, da diffondere per poter progettare il nostro futuro sostenibile.

Come si legge anche nel bellissimo Mag-Book sul cibo curato dalla chef Cristina Bowerman:

“esiste una nuova narrazione sul cibo, più inclusiva, pluralista, intersezionale, responsabile, sostenibile”.

Secondo me, scelte e consumo tenderanno in futuro, a basarsi su diversi immaginari: non saranno i prodotti di per sé a favorire la scelta, ma il loro codice di significato, l’esperienza culturale che forniranno. Mi piace intravedere un approccio diverso all’innovazione, soprattutto attraverso la cultura della sostenibilità. 

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