Un enorme cesto riempito di dieci vasi di gardenie bianche: questa per me è l’immagine del lusso. Trovargli un posto, sulla scrivania, a terra, lato porta, in ingresso, non fu facile, ma in fondo, avere lo spazio e il tempo per prendersi cura di un profumo, può a tutti gli effetti essere considerato un lusso. Fu un regalo, va detto, inviato dal rappresentante italiano di Tyler Brûlé, che aveva letto una mia inchiesta sul nuovo lusso per un noto magazine nell’anno 2000, e in cui mi capitò, non per caso, di citare l’allora direttore di Wallpaper, bibbia indiscussa del luxury lifestyle degli anni Novanta e primi Duemila. Citai Brûlé, che dalle sue pagine genuflesse verso ogni prodotto ed esperienza che fosse a edizione limitata e sfacciatamente cara, predicava che il vero lusso era in realtà il tempo… 

Ora, del lusso ognuno di noi ha un’idea piuttosto precisa. E, passata l’euforia degli anni Ottanta e Novanta, dopo alcuni nuovi lussi che si sono succeduti nel tempo, siamo forse meno disposti a farci stupire dalle sempre mirabolanti trasformazioni dei consumi di alta gamma. Eppure, neppure il lusso è uscito indenne dal famigerato 2020. Secondo l’Altagamma-Bain Worldwide Market Monitor, a causa della pandemia mondiale, nell’ultimo anno il calo del mercato globale del lusso è stato del 20-22%; quello dei beni di lusso personali (moda, gioielleria, accessori, cosmetica), del 23%, mentre la ripresa prevista per il 2021, sarebbe solo del 14%. Come ci ricorda Stefano Sacchi, consulente commerciale e di marketing, nel libro appena pubblicato da Franco Angeli, Evoluxion, le diverse e canoniche classificazioni degli aspetti del lusso, abbracciate da altrettante tipologie di adepti del lusso, non sono più sufficienti. Meglio ancora, non lo erano già prima del Covid-19, ma ora, correre ai ripari, adeguarsi con urgenza alla nuova percezione del lusso, darsi una definizione e quindi un’identità più conforme possibile al nuovo lusso, è una strada obbligatoria. 

Sempre per le ragioni di cui sopra, appare piuttosto noioso ripetere che voci come sostenibilità e impegno sociale sono ormai un prerequisito di ogni oggetto che voglia entrare nel mercato del lusso e quindi del lusso tout court. Persino la storia del marchio, quella con la S maiuscola, che fino a poco tempo fa sembrava un capitale inesauribile, oggi non lo è. Non è più sufficiente per creare plus-valore, per rappresentare quello stile di vita percepito come lusso. In attesa quindi che, come dicono tutti i report, il lusso diventi un affare per la Generazione Z (le previsioni dicono che guideranno la crescita del mercato fino ad arrivare a coprirne il 55% nel 2025 e l’80% nel 2035), guardiamo all’oggi. E alla borsa che Alexandria Ocasio-Cortez ha indossato, e instagrammato, davanti Capitol Hill: è la shopping bag di Telfar e, secondo l’ultimo LYST Index, una settimana dopo il suo post, la richiesta era aumentata del 167%, candidandola come il simbolo di quello che è percepito come nuovo lusso.

Si tratta di un accessorio alla portata di tutti, un lusso democratico, la cui esclusività dipende più dal grado di conoscenza e di identificazione con i valori espressi da quel gesto, che non dal costo. In altre parole, l’appartenenza all’élite in questo caso si gioca più sul terreno dell’inclusione e della condivisione dei valori, che non sul distanziamento socioeconomico. Riflessione analoga si può fare con la possibilità di riparare il vecchio oggetto, rinunciando così a uno dei lussi della moda, ovvero rinnovare continuamente l’oggetto status. Un lusso longevo, e quindi valoriale, che si oppone al lusso effimero. Brunello Cucinelli ha il suo laboratorio di riparazione da molti anni, ma con una lettera di febbraio scorso ha descritto la riparazione come un’arte, mentre i rammendi richiesti dalla sua clientela sono aumentati di migliaia. E se per un maglione di cachemire la riparazione sembra scontata, che dire del restauro garantito dai jeans di culto Nudie, dalle camicerie di lusso che come Turnbull & Asser ricostruiscono colletti e polsini, o dal vero e proprio restauro offerto da calzolerie su misura come JM Weston?

La verità è che il lusso che verrà, o meglio i lussi, per essere tali, dovranno essere in grado di rispondere meglio e più velocemente alle istanze del pubblico. Non bastano slogan sulla sostenibilità o annunci facili che immediatamente cadono nel green washing.
Il lusso dell’indifferenza verso le cose del mondo, per chi il lusso lo fa, non è contemplato. Non a caso, molti grandi gruppi della moda del lusso, da Bulgari ad Armani, durante la pandemia hanno mostrato la loro solidarietà verso enti ed associazioni che si occupavano di salute pubblica. Certo, qualcuno, potrebbe obiettare che mentre con una mano facevano buone azioni, con l’altra aumentavano i prezzi per tamponare le perdite. Lo hanno fatto Chanel, Gucci, Louis Vuitton, Ferragamo e Prada. Vedremo se ne pagheranno il conto.

Intanto, la via per arginare le perdite sembra già indicata. Per il lusso infatti, il mobile è da tempo la principale fonte di informazioni e di consumo dei contenuti. Per gli acquisti, c’è voluta la spinta pandemica. I dati dicono infatti che negli ultimi mesi l’acquisto online è raddoppiato, fino a diventare il 23% della quota di mercato. Il primo ad ammettere che l’e-commerce aveva superato il venduto dei negozi monomarca è stato Hermès. Amazon dal canto suo ha lanciato i suoi Luxury Stores con Oscar de la Renta, mentre Armani ha stretto un accordo con Yoox fino al 2025. Cosa ci dice tutto questo? Nulla, a dire il vero. Con ogni probabilità fra qualche mese saremo qui a scrivere le stesse cose o tutto il contrario, che il vero lusso sta nel poter cambiare idea.

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