C’è un famoso brano degli Area, storico gruppo progressive, in cui Demetrio Stratos canta “giocare col mondo / facendolo a pezzi”. È una bellissima frase, che rimane in testa: giocare col mondo, cioè abbracciare la conoscenza delle cose standoci dentro; chiedere di far parte del tutto, e giocare con tutto, smontando le cose per capire come funzionano.

Abito il mondo del gioco. Sono autore, formatore, organizzatore, giornalista, giocatore.

Amo il gioco perché è un’esperienza, perché ti chiede di imparare immergendoti nelle cose; perché ti impedisce di prenderti troppo sul serio; perché ti mette davanti agli occhi i percorsi di tutti gli altri giocatori e giocatrici, ed è un luogo di inclusione naturale – quando giochiamo, siamo tutti diversi, ma abbiamo le stesse possibilità. Soprattutto: abbiamo nuove possibilità.

Un manifesto sul gioco
come riscrittura del mondo

Il gioco è uno degli strumenti naturali che abbiamo da sempre per riscrivere il mondo. Con questo blog cercherò di mostrarvelo, mostrandovi situazioni, luoghi, scritti, immagini, eventi, dove questa possibilità viene realizzata, nel concreto.

Come nell’immagine di copertina, che riprendo dal Manifesto Rosa del Gioco, redatto di recente dalla Gilda del Cassero, un progetto di laboratorio ludico nato per creare uno spazio sicuro in cui chiunque può divertirsi, socializzare e conoscere nuovi giochi.

Nell’immagine compaiono un dado, una pedina e un controller, di colore rosa: nel manifesto si parla di ogni tipo di gioco, e di ogni tipo di giocatorə; nelle loro parole: “noi siamo persone LGBTQIA+ appassionate di giochi e che promuovono il valore del gioco come strumento di impatto sociale e politico”.

Un manifesto, come è giusto che sia, pone problemi e presenta soluzioni: aggrega, cioè da una parte fa capire come alcuni disagi non siano individuali ma abbiano una dimensione collettiva; dall’altra spinge all’azione, perché propone soluzioni che riguardano tuttə, che cioè si estendono dalla comunità LGBTQIA+ a quella del mondo del gioco.

Guardate meglio il dado, il controller, la pedina: sono insieme e in marcia. Problematizziamo, allora; ecco i punti principali del manifesto:

Vogliamo più giochi in cui poterci riconoscere. 
Vogliamo spazi più sicuri in cui poter giocare. 
Vogliamo una comunità giocante più aperta e accogliente. 
Vogliamo essere noi a raccontare le nostre storie. 
Vogliamo una maggiore diversificazione delle voci nel game design. 
Vogliamo la Rivoluzione Rosa per tuttə. 

Vi dà fastidio quel vogliamo? Io lo trovo bellissimo: è doppiamente politico, perché da una parte dice chiaramente le istanze, le rivendicazioni; dall’altra sposta il piano della discussione da quello del potere a quello del piacere. Volere è potere. Anzi, volare è potare: chi si stacca da terra vede chiaramente i rami secchi.

Ci sono molte soluzioni concrete: si va dall’attenzione al linguaggio nei regolamenti di gioco alla possibilità di creare nell’immaginario ludico delle possibilità di rappresentazione (e autorappresentazione). Sono cose belle, e complesse: andate e leggete.

Il gioco, gli adulti e il piacere

C’è però qualcosa che ci riguarda in senso più ampio, e che racconta la centralità del gioco: “Per una persona adulta giocare significa anche riappropriarsi del diritto al piacere in una società che ci spinge verso il dovere”.

Parlare di piacere è parlare di cambiamento, almeno come lo sta facendo la Gilda (e chi la sta accompagnando): perché nel documento si parla per esempio anche di spazi sicuri. Anche questa è una pratica rivoluzionaria: mettere insieme sicurezza e piacere, riprendendosi alcune parole importanti.

Ovviamente tutto questo, e lo ribadisce anche lo stesso Manifesto, non riguarda solo la propria identità sessuale o di genere, ma ogni forma di differenza e di possibilità di inclusione. Ci torneremo sopra: intanto, andate, leggete, giocate. Divertitevi: niente è più rivoluzionario.

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