Basta affacciarsi sui quotidiani per trovare, quasi ogni giorno, un articolo, un elzeviro, un fondo, un’intervista inseriti in un supposto dibattito sul linguaggio inclusivo che, a mio avviso, proprio un dibattito non è, dato che le voci che si dichiarano a vario titolo contrarie sono infinitamente più numerose di quelle a favore. Non ho intenzione di analizzare una o più uscite in particolare, ma piuttosto, fedele allo spazio che mi ospita, fornire spunti per percorsi alternativi, per narrazioni differenti; per dare, a chi ne avesse voglia, la possibilità di guardare dal buco della serratura.

Prima di vedere alcune delle obiezioni che si incontrano più spesso, una premessa: personalmente, da quando ho letto gli studi di Fabrizio Acanfora, cerco di non usare il termine inclusività e l’aggettivo inclusivo perché, come argomenta lo studioso,

“il concetto di inclusione è discriminatorio in quanto suppone che il gruppo che include sia più potente o migliore di quello che viene incluso. È un atto che viene concesso e quindi può anche essere interrotto o revocato, sottolineando che il potere di accogliere le minoranze (e le condizioni a cui vengono eventualmente accolte) è nelle mani di chi include” .

Proprio seguendo Acanfora preferisco quindi parlare di convivenza delle differenze e di linguaggio ampio (espressione usata dall’attivista Ethan Eretico Bonali e dalla linguista Manuela Manera).

1. “I problemi (delle donne, delle minoranze, ecc.) sono ben altri, la lingua non ha rilevanza!”

Io penso che tra lingua, società e realtà si possano innescare dei circoli virtuosi (o viziosi), e consiglio il TED Talk del 2017 di Lera Boroditsky, professoressa associata di scienze cognitive alla University of California, San Diego, intitolato “La nostra lingua influenza il modo in cui pensiamo” (in inglese, con sottotitoli in italiano).

2. “Basta con questo politicamente corretto!”

Una buona controdomanda è “che cosa intendi per politicamente corretto?”; sono molte, infatti, le persone che usano questa espressione a mo’ di clava conversazionale, per chiudere bruscamente il discorso, di fatto sottraendosi al confronto. Consiglio la lettura di un saggio del linguista Federico Faloppa, intitolato “PC or not PC? Some reflections upon political correctness and its influence on the Italian language”, liberamente leggibile su Academia.edu, che spiega con dovizia di particolari cosa sia il politicamente corretto e quanto oggi questa espressione venga usata a sproposito.

3. “Possiamo continuare a usare il maschile sovraesteso perché fa egregiamente le veci del neutro!”

Molte persone che studiano la lingua dal punto di vista cognitivo ritengono che non sia affatto così. Segnalo i lavori dello psicolinguista Pascal Gygax, che ha scritto molti saggi argomentando che il maschile viene percepito dal nostro cervello come maschile, per l’appunto, e non come neutro, con tutte le conseguenze del caso (per esempio, bambine che pensano di non poter fare lavori definiti tradizionalmente al maschile). Qui una sua bellissima conferenza.

4. “Il linguaggio inclusivo vuole portare a una semplificazione e uniformizzazione del linguaggio!”

Di solito, chi dice questo cita la famosa neolingua di George Orwell, quella che lo scrittore crea per il suo romanzo distopico 1984. Ma “la Neolingua era intesa non a estendere, ma a diminuire le possibilità del pensiero; si veniva incontro a questo fine appunto, indirettamente, col ridurre al minimo la scelta delle parole”; chi invece ragiona sulla possibilità da parte di tutte le soggettività di abitare felicemente la propria o le proprie lingue cerca di aggiungere nuovi mezzi d’espressione, non di cancellarne di vecchi; di ampliare il lessico, non di ridurlo. Consiglio di leggere I principi della neolingua, stilati dallo stesso Orwell, che si trovano anche in un bel libriccino curato da Massimo Birattari La neolingua della politica.

5. “Di questo passo, ci vieteranno di dire Buon Natale!”

Forse, per rendersi conto delle manipolazioni alle quali prestano il fianco i media nel dare notizie che riguardano il linguaggio ampio, conviene leggere direttamente le famose Guidelines for inclusive communications stilate dalla Commissione per l’uguaglianza dell’Unione Europea, guidata dalla maltese Helena Dalli e rivolte agli uffici dell’Unione, che tanto scalpore hanno destato con titoli acchiappaclick sui nostri quotidiani, provocandone il momentaneo ritiro. Su questo stesso argomento, consiglio anche il lavoro di approfondimento fatto da Licia Corbolante, competente terminologa, sul suo blog.

6. “Asterischi, schwa e simili rendono incomprensibile il testo, soprattutto a chi è dislessico!”

Questa motivazione viene spesso usata come una vera e propria foglia di fico da chi contrasta gli esperimenti di linguaggio ampio; eppure, in un’ottica intersezionale, sarebbe meglio ricordarsi che non si deve disputare una gara tra diversità. Per cui, mentre si lavora a una soluzione che possa accontentare tuttə, penso che non serva mettersi unə contro ə altrə. Andando più sullo scientifico, in italiano non abbiamo ancora studi sull’effettiva diminuzione di leggibilità di testi con l’asterisco o lo schwa, ma Alexandra Kruppa e altre sue colleghe della Università di Friburgo in Brisgovia hanno recentemente presentato i risultati di un primo studio sulla leggibilità dell’asterisco in tedesco, con risultati incoraggianti.

7. “Che bisogno c’è di cambiare la lingua in anticipo rispetto alla realtà?”

La lingua non sta anticipando alcunché, perché il cambiamento è già in corso nella nostra società: è proprio quest’ultimo ad aver dato adito a tutti i ragionamenti linguistici che si stanno facendo in questi anni. A molte persone, le cose stanno bene così come sono; a molte altre no. Trovo che sia importante relativizzare il proprio punto di vista, laddove abbiamo l’abitudine di pensare che il nostro modo di vedere il mondo possa essere in qualche modo elevato a visione universale, peccando così di una certa tracotanza. Sull’argomento, consiglio la lettura del bellissimo Lingua e essere di Kübra Gümüsay.

8. “Non ci si capisce più niente, è tutto troppo difficile!”

L’ultimo consiglio di lettura è dedicato a chi si sente soverchiare da tutte queste novità linguistiche e vorrebbe invece capirne di più, soprattutto rispetto alle istanze legate al genere, al sesso, all’orientamento sessuale eccetera: Questioni di un certo genere, secondo volume della collana del post Cose spiegate bene, con testi di una varietà di autorə che affrontano questi argomenti da angolazioni, per l’appunto, multiple.

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