La fotografia contemporanea torna ad essere protagonista nello Spazio Fondazione Negri di Brescia con l’esposizione personale di Antonella Gandini che interpreta il concetto di naturalità.

In-Naturale, inaugurata alla Fondazione Negri Onlus in Via Calatafimi, 12/14 sabato 4 Febbraio 2023 alle ore 18.00 PM rimarrà visibile fino a sabato 25 Marzo 2023.

Troverete esposti lavori fotografici, anche di grande formato, parte della serie analogica,
ma anche stampe vintage, realizzate dall’autrice dagli anni 2000, e una più recente
selezione di immagini in dialogo con il disegno.

L’esposizione è accompagnata da un’edizione di recente pubblicazione, curata da Manuela De Leonardis presentata a Mantova a Palazzo Te e al Macof di Brescia e che sarà ripresentata il 7 Febbraio 2023 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di
Roma.

Nel testo è evidenziato l’aspetto metamorfico del lavoro dell’autrice che si dedica alla fotografia dopo una lunga sperimentazione dei procedimenti pittorici e calcografici, rimettendo incessantemente in discussione il potenziale di ogni mezzo.

Antonella Gandini, In-Naturale, 2022, stampa su carta fotografica fine art Hahnemuhle, Al. 30 x La. 40 cm.

L’interesse di Antonella Gandini per la fotografia, interpretata in maniera intimistica e personale, mette in discussione il rapporto immagine-rappresentazione indagando le nuove tecnologie alla luce della tradizione delle arti visive, da cui deriva la sua formazione.

Le costanti rintracciabili nel suo eclettico lavoro sono accompagnate da una consolidata capacità tecnica e da uno spirito interpretativo di matrice surreale, totalmente indipendente dallo strumento utilizzato.

Un video realizzato per l’esposizione rivela, attraverso un lento progressivo movimento, l’aspetto corporeo e seduttivo delle forme naturali.

In-Naturale, organizzata dall’ Archivio Fondazione Negri, rientra negli appuntamenti promossi per le celebrazioni di Brescia – Bergamo, Capitali della cultura 2023
Il ricavato dalla vendita del libro (bilingue italiano-inglese), disponibile in galleria e realizzato con il contributo di Luisa Roberta Barbiani e Carlo Leo consulenti finanziari, sarà devoluto all’Associazione Casa Delle Donne Centro Antiviolenza CaD-Brescia OdV.

Antonella Gandini, Il sogno di Artemisia, 2023, Al. 40 x La. 35 cm.

Ho intervistato per ReWriters Antonella Gandini.

Ciao Antonella, grazie anzitutto per la possibilità di raccontare del tuo lavoro e per aver proposto un’esposizione che con un libro è d’aiuto alla Casa delle Donne CaD di Brescia. Che cosa ti ha spinto a occuparti di fotografia e più in generale di arte? 
La curiosità verso le cose, la necessità di andare oltre la loro apparenza. Sono interessata a indagare il mio immaginario interiore alla luce di un rapporto costante con la realtà, non isolandomi, ma accogliendo gli stimoli emotivi che mi arrivano dall’esterno, dalle relazioni e dal paesaggio naturale che vivo costantemente abitando in campagna.

La mia formazione è pittorica ma progressivamente mi sono avvicinata alla fotografia. Ho esplorato ambiti differenti, scultura, video art, ma ho sempre trovato un filo comune che li univa. Sono vie parallele che talvolta si fondono attraverso curiose mescolanze e ibridazioni. 

Il mio approccio è spesso mediato dalla manualità. Ho iniziato a occuparmi di fotografia analogica perché mi interessava manipolare l’immagine attraverso la stampa in camera oscura, disegnare con la luce e attendere l’esito delle sue metamorfosi. Ora spesso uso la tecnica digitale, con un approccio più diretto al progetto e alla narrazione.

Come pensi sia cambiata la fotografia?  
Forse è cambiato il modo in cui la proponiamo. Per esempio, ora, prediligo l’installazione che  tiene conto dello spazio nel quale l’opera è collocata. Trovo stimolante assecondare i luoghi e la casualità di alcune situazioni. Il pubblico aggiunge una dimensione ulteriore all’opera quando la può fruire in uno spazio suggestivo. Se ne appropria, percepisce che un elemento può divenire parte della sua storia personale. 

Credi che l’arte abbia un significato e svolga ancora un ruolo nella nostra società?
Se per arte s’intende un pensiero che proviene dall’essere umano e ne segue le vicissitudini e l’evoluzione, certo è importante che ci sia, è un elemento della vita che ci può consolare, irritare, commuovere, serve a porci delle domande. Desidererei che l’arte apparisse più spesso nella vita quotidiana, che si potesse incontrare non solo nei musei, ma in modo più casuale e forse anche più inatteso, in strada, ad esempio. L’arte possiede una forte funzione comunicativa ma è stata intesa, in maniera a mio avviso riduttiva, come manifesto politico, la così detta arte impegnata. Ora si mostra in una nuova forma, la street art. L’identità che trova spazio e si manifesta nella strada, dove normalmente sono veicolati messaggi di consumo, pubblicità, che mettono in contraddizione la cruda condizione sociale di certe periferie e i canoni comunicativi della seduzione e della bellezza. Ogni progetto d’arte è frutto di una dinamica relazionale, è auspicabile che sia anche un processo educativo, capace di costruire e negoziare significati.

Antonella Gandini, Altre Nature, 2018, stampa ai sali d’argento disegno e collage, Al. 40 x La. 30 cm.

Come ti poni di fronte a queste problematiche? 
La mia ricerca non è vincolata al concetto di oggettività, raramente eseguo fotografie di reportage, prevalentemente prediligo un punto di vista personale, filtrato attraverso la riflessione. Certamente non sono indifferente a temi d’attualità. Faccio parte dell’Associazione Donne Fotografe Italiane, condivido progetti sulle problematiche di genere. Siamo sparse su tutto il territorio dalla Sicilia al Piemonte, questo ci consente di spaziare in luoghi diversi e conoscere realtà molto differenti. Non è semplice coordinarci, ma è una sfida alla complessità e alla collaborazione fra donne. Siamo riuscite a creare una rete di progetti interessanti sul piano culturale e sociale, ad esempio una raccolta fondi per le donne afgane e la promozione di fotografe iraniane che vivono con coraggio realtà molto difficili. La fotografia ha la capacità di documentare, ma con l’avvento della tecnica digitale e la possibilità di manipolazione dei dati la sua credibilità è venuta meno: è controversa l’oggettività del dato. L’uso e consumo dell’immagine è veloce, effimero, lo stesso concetto di rappresentazione è di difficile definizione. Sono consapevole di utilizzare un punto di vista soggettivo, talvolta intimo, uno sguardo privato che non ha bisogno di documentare una presunta verità, ma scava nell’inconscio esplorando aspetti del visibile e dell’invisibile.

Talvolta, i mezzi tecnologici, ci espropriano della nostra personalità.

Ci sono abitudini visive attraverso le quali siamo indotti a giudicare e a vedere ciò che altri hanno visto, ad approvare senza aver modo di  partecipare, in cui  la nostra identità diviene parte di un insieme di riti e credenze, usi e costumi ritenuti indispensabili alla vita di relazione ma sempre più alienanti per l’individuo. Penso sia necessario riscattare la dimensione personale, l’arte mi aiuta a farlo.   

Antonella Gandini, Ipotesi di paesaggio, 2019

In che modo pensi possa avvenire?
Il lavoro del fotografo presuppone una riflessione, poiché l’immagine non solo documenta la realtà ma ne mostra le contraddizioni. Ogni immagine rappresenta un mondo, una vita vera che non siamo certe di poter distinguere da modelli di rappresentazione suggeriti o imposti. Il reale e il virtuale spesso coincidono o sono difficilmente distinguibili.

Quando isoliamo particolari del campo visivo siamo indotti a riflettere sulle variabili del contesto e la nostra condizione di osservatori o di operatori presuppone un punto di vista sulle cose. Si può lavorare per esempio, tenendo presente il tema dei ruoli, la condizione delle donne che si presenta in modi diversi. La denuncia dell’immagine più o meno esplicita giunge a destinazione, anche attraverso l’ironia. 

L’immagine scuote l’ignoranza, l’indifferenza, l’abitudine. 

Il lavoro che aspetta ognuno di noi è diventare consapevoli del nostro sguardo.

Antonella Gandini, Architetture, 2004, carta fotografica su alluminio, Al. 100 x La. 100 cm.


Come scegli le tematiche che affronti e cosa ti lega ad esse? 
Mi sorprendono alcune visioni del paesaggio. Come ti ho detto vivendo in campagna ho un legame particolare con la natura. Cerco il limite del riconoscibile, ambigue prospettive, l’aspetto surreale di alcuni eventi. Non ho un approccio documentarista preferisco cogliere dettagli o aspetti apparentemente marginali della realtà. Lo scatto è un po’ come un objet trouvè. 

Come è nato il lavoro che Antonella Gandini presenta allo Spazio Fondazione Negri di Brescia?
E’ frutto di un incontro nel mio studio con il fotografo Giorgio FinadriMauro Negri, quest’ultimo erede di una dinastia di fotografi che hanno documentato la realtà bresciana e non solo, dai primi anni del Novecento. La Fondazione ha valorizzato un immenso archivio ma ha anche aperto uno spazio per il contemporaneo.

I miei scatti sono legati alla natura, ridotti a segno per il contrasto netto e i giochi di sovrapposizione dei negativi, stampe uniche, per la mia necessità di cogliere elementi di suggestione irripetibili. L’intenzione è quella di offrire scorci di realtà, immagini che  rimangono in bilico fra la riconoscibilità dell’oggetto e l’invenzione. Sono spesso metamorfosi che sfidano le convenzioni del visibile e individuano uno spazio della mente, dove gli oggetti sono ridotti al minimo, diventano tracce, elementi apparentemente irriconoscibili. Il mio lavoro procede per tentativi alcune volte per casualità. L’assunzione d’immagini per così dire “trovate” e il legame con il momento istantaneo ed effimero dello scatto fotografico sono elementi essenziali della ricerca. 

Antonella Gandini

In che modo la tua vita quotidiana influenza il tuo lavoro e viceversa?
Osservo, leggo, mi prendo pause di riflessione nonostante, come sappiamo, la vita delle donne sia costellata d’impegni e la capacità di conservare la concentrazione sia spesso messa a dura prova. Abbiamo una lunga esperienza in tal senso, riesco a seguire molti interessi di ordine teorico e pratico. Mi sento fortunatamente libera di utilizzare approcci diversi, tecniche differenti adatte a esprimere al meglio la percezione che ho delle cose. L’aspetto più complesso è trovare dei canali utili di comunicazione. Vorrei che in Italia, come in altre parti del mondo, si potesse vivere del lavoro d’artista. 

Ma chi è Antonella Gandini? Ecco una breve sintesi.
Nata nel 1958, Antonella Gandini, vive a Monzambano-Mantova. La sua formazione all’Accademia di Belle Arti G.B.Cignaroli di Verona è stata prevalentemente indirizzata alla pittura e alle tecniche grafiche, per le quali ottiene immediati riconoscimenti. Interessata agli studi filosofici si laurea all’Università di Verona con una tesi in Estetica. Selezionata per il Corso Internazionale di disegno della Fondazione Ratti, tenuto da Gerhard Ricther, la
pratica disegnativa accompagnerà costantemente la sua ricerca. Dopo aver utilizzato la pittura richiamandosi a certi procedimenti surrealisti, si dedica alla fotografia utilizzando principalmente il metodo analogico. Numerose le partecipazioni a mostre collettive e personali, la più recente allo Spazio Te, Palazzo Te, Mantova, 2022.
Fa parte dell’Associazione Donne Fotografe Italiane con la quale promuove diverse iniziative riguardanti le questioni di genere, come la recente esposizione Scolpite, Palazzo Reale, Milano, 2021. www.antonellagandini.it

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