Lunedì mattina, mentre la neve fioccava un po’ su tutta la penisola e le storie di Instagram si riempivano di bianchi racconti, con una tazza di tè nero tra le mani ho avuto il piacere di intervistare Paolo Zagari a proposito del suo ultimo romanzo Soli, bastardi e sentimentali (pubblicato da Mds nel 2019 e quest’anno in ristampa). 

Qualche coordinata prima di condividere con voi quello che ci siamo detti al telefono: Soli, bastardi e sentimentali è una commedia, anche se l’elemento drammatico affiora in più di qualche occasione. Nel romanzo si alternano 16 voci per 16 personaggi: vite come tante, fatte di matrimoni, tradimenti, carriere e licenziamenti, apericene e alberghi vicino alla stazione.

copertina Soli, bastardi e sentimentali

Il romanzo usa una tecnica tipica del cinema, la soggettiva, per cui ogni personaggio si racconta e lo fa dal proprio punto di vista nell’istante in cui vive quel momento: chi è nato prima, i personaggi o la storia?
A dire il vero è nato prima uno dei personaggi, Paolo Nibali, poi, mentre scrivevo e Paolo entrava in contatto con gli altri personaggi è nata l’idea di fare questa composizione: all’inizio sembrano tutti monadi impazzite che vanno per conto loro, ma alla fine il puzzle si ricompone, diventa un quadro composito, un affresco della società contemporanea.  Ho voluto creare dei personaggi con una componente emotiva molto forte e ho voluto vederli dal di dentro, coglierli sul fatto, e per questo l’uso della soggettiva era fondamentale. Quando c’è la terza persona, invece, gli avvenimenti si vedono dall’alto.

E infatti emerge nelle pagine del romanzo la sua non-presa di posizione: non c’è giudizio verso i personaggi che popolano quell’ambiente di giornalisti, autori e registi, non c’è un buono o un cattivo. Riesce a vedere le cose così anche quando quell’ambiente non è più solo descritto in un romanzo, ma vissuto in prima persona?
In realtà sì, questo stile mi rappresenta. Infatti non è corretto parlare di personaggi positivi e negativi, non sono io a stabilire la loro morale. Il romanzo vuole essere una sorta di backstage di tutto questo mondo che il pubblico non vede. Quando guardiamo qualcuno in tv o ascoltiamo una voce alla radio, non riflettiamo mai sul fatto che quella persona stia pensando agli affari suoi, ai suoi figli, ai problemi. Ho cercato di raccontare quello che succede a questi personaggi: alcuni sono idolatrati e invidiati, ma in realtà sono essere umani come gli altri. Nel nostro cervello ci sono tantissime sinapsi, ho voluto ricomporre quello che succede all’interno di una persona mentre compie tutte le azioni del quotidiano.

Una cosa che mi ha colpito è che i personaggi nel corso del romanzo si tradiscono, si innamorano, si fidanzano e si lasciano, fanno figli eppure quello che conta alla fine non sono le cose che accadono, ma ciò che loro raccontano di se stessi.
Esatto, ci sono intrecci molto arditi e arzigogolati, ma alla fine, a distanza di un anno, e nonostante i drammi che hanno vissuto, i personaggi, più che cambiati, sembrano adattati al cambiamento. Dopo tutti gli stravolgimenti, sono lì a cena, apparentemente stravolti, in realtà conformati alla  loro nuova esistenza, quella che loro stessi hanno creato e hanno subito. 

Non c’è buono o cattivo, ma il personaggio che più mi è piaciuto è Simona, l’unica ragazzina che compare nel romanzo: c’è un personaggio che ha amato di più durante la scrittura?
Simona mi piace molto: è una ragazzina che sta un po’ col padre e un po’ con la madre, e a un certo punto riesce a elaborare una propria visione del mondo e a trovare la propria identità, anche sessuale. Cresce e lo fa aprendosi una strada attraverso quei due monoliti che sono i genitori. Senza fare troppi spoiler, verso la fine del romanzo Simona è chiusa in un convitto, un posto chiuso, eppure questo non le impedisce di ottenere quello che vuole.

A proposito dei personaggi: una cosa che colpisce fin dai primi capitoli sono i nomi (Mario Silla, Albino Leffe…): è un gioco dell’autore o c’è altro che non dobbiamo farci sfuggire?
Entrambi. Da un lato è un gioco, dall’altro dai loro nomi possiamo ricavare i percorsi psicologici di ciascun personaggio: ad esempio Emma Vobyra è l’anagramma di Madame Bovary e questo ci dice qualcosa in più su di lei.  Ci sono dei piccoli riferimenti, che però lascio al lettore trovare. È un gioco letterario, ma con delle sottigliezze enigmistiche.

Quando si legge il romanzo emerge la mano del regista, sembra di vedere un film. Ha immaginato un film di questo romanzo?
Me lo immagino e si era presentata l’occasione di metterlo in scena anche a teatro, ma in questo periodo  è stato impossibile riuscire a realizzarlo. Quindi per il momento è tutto sospeso.

A proposito di film, nel romanzo lei fa riferimento ad alcuni espedienti che registi e sceneggiatori usano: la felicità nelle commedie italiane è cantare tutti insieme una canzone famosa a bocche spalancate oppure correre insieme verso il mare. Questa piattezza espressiva è  responsabilità di chi fa i film o nostra, che quei film li guardiamo e ci commuoviamo? 
Beh, questa è una bella domanda, perché è un cane che si morde la coda. A volte davanti ad alcuni programmi ci si chiede “ma come fanno tutti a vedere queste trasmissioni?”. Il pubblico chiede e chi fa i film va verso ciò che vuole il pubblico. È anche vero che a volte in un certo tipo di cinema si potrebbe cercare di superare questi luoghi comuni e di trovare delle forme alternative. Quando mai a 13 o 14 anni si canta tutti insieme per manifestare la massima felicità? Non succede mai, al massimo si può stare in silenzio oppure ascoltare la partita alla radio. Forse proprio perché nessuno lo fa mai tutti si commuovono, forse è desiderio di molti cantare in macchina a squarciagola.

Queste settimane saranno piene di interviste e recensioni: c’è qualcosa che nessuno le ha chiesto, ma lei avrebbe avuto voglia di raccontare?
Questa è una domanda marzulliana. In realtà nessuno mi chiede del mio lavoro o fa  riferimenti alla mia vita lavorativa, ma in realtà sono contento così, preferisco parlare del romanzo. Sono soddisfatto delle vostre interviste. 

Ci sarà un prossimo romanzo?
Sto scrivendo. Non vorrei dare troppe anticipazioni: sarà una commedia aristotelica, per sintetizzare giornalisticamente. Il romanzo sarà diverso da questo, ma ci sarà una certa continuità espressiva e anche qui ci sono più personaggi. Tutti vedono la stessa scena, ma da diversi punti di vista.

Paolo Zagari mi ha un po’ raccontato la trama del suo nuovo romanzo, ma ha più volte ribadito che la scrittura è ancora in fase di elaborazione e allora tengo per me quei pochi indizi che mi ha dato e aspetto la prossima pubblicazione: magari gli strappo un’altra intervista. 

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