Continua la mia indagine con gli operatori culturali milanesi. Tempo fa credevo che la società per evolversi e migliorare avesse bisogno solo di promotori e promotrici di cultura, oggi invece sono convinto che abbiamo bisogno di persone che amano il proprio lavoro. La cura, la dedizione, la passione, il desiderio di fare bene per sé stessi e per gli altri è una forma di cultura che migliora tutti noi. In questa mia indagine, sono gli operatori e le operatrici culturali i protagonisti di questo lavoro che parte dal teatro ma va a finire nei pensieri e nei gesti delle spettatrici e degli spettatori. Ecco cosa ne pensa Renzo Martinelli, regista e codirettore del Teatro I di Milano.

Cosa significa per una comunità non poter avere un servizio pubblico come il Teatro?
È qualcosa che fa sentire alla fine di un ciclo, di un’era. “La comunità che viene sarà la comunità di coloro che non hanno più comunità.” Racconta un destino brutto. Una cattiva sensazione che abbiamo avuto per tutti questi mesi. È in atto una mutazione totale, veicolata da un’informazione che ha contribuito a fomentare la paura, più ancora che a informare. Il teatro è stato messo ai margini. Si era già in crisi, ora siamo “pazienti” a tempo indeterminato. Il teatro serve a far valere una profondità di pensiero, ad amplificare le visioni e a moltiplicare le possibilità. Tutto quello che è successo mi preoccupa molto.

Cosa manca in Italia affinché la Cultura venga considerata un bene primario di ogni cittadino/a?
Manca il fatto che la cultura venga riconosciuta nel suo valore etico, un contributo sostanziale per accrescere la sensibilità collettiva. La cultura non può prescindere dall’essere in relazione con la comunità a cui si riferisce. Tutto è cultura: da cedere il posto all’anziano al rispetto delle diverse opinioni. Bisognerebbe anche accorgersi di quanto la cultura sia importante per sviluppare un senso critico e non essere solo un tubo che digerisce tutto quello che ti raccontano i mezzi di informazione.

Come sta rispondendo a questa assenza di Teatro il direttore artistico del Teatro i ?
Con Francesca Garolla e Federica Fracassi abbiamo messo in campo delle azioni per fronteggiare questa fase. Avevamo delle idee diverse ma abbiamo trovato una sintesi. È in corso una stagione atipica, l’abbiamo chiamata PUBBLICazione, perché anche le parole e i pensieri sono azioni pubbliche. Federica sta portando avanti questa iniziativa che si chiama Emersioni – Dialoghi tra Attrici in cui venti attrici, di cui dieci emergenti e dieci affermate, si confrontano a partire dalla loro esperienza e da temi della contemporaneità. E poi il progetto Pubblicazioni iniziato a dicembre, con una call rivolta ad autori emergenti che ha avuto una risposta straordinaria: 230 testi ricevuti da tutta Italia, 170 le autrici e gli autori che hanno risposto alla call. Abbiamo messo insieme un Comitato di Lettori esperti – composto da noi direttori di Teatro i e da altri professionisti del settore quali Magdalena Barile, Federico Bellini, Valentina Diana, Claudia Di Giacomo e Valentina De Simone di PAV (Fabulamundi – Playwriting Europe), Omar Elerian, Chiara Lagani, Pier Lorenzo Pisano, Michelangelo Zeno – che ha selezionato oltre 120 testi destinati a inaugurare la Biblioteca Virtuale di drammaturgia contemporanea disponibile sul sito di Teatro i. Lo stesso Comitato ha poi identificato una rosa più ristretta di 45 testi che sono stati letti dal Comitato di Spettatori-lettori, composto da ben 100 cittadini e ha portato ad una ulteriore selezione di 5 testi su cui adesso sto lavorando per trasformarli in podcast: Phoenicopteridae – La verità del fenicottero di Collettivo Inciampo, Hound Dog di Fabio Marson, La vespa celiaca di Pietro Sanclemente, Market di Irene Canale, Balena 52-Hertz di Jacopo Panizza.

Il regista Renzo Martinelli come ha reagito alla chiusura?
Studiando, immaginando, discutendo, per rimanere vivo. Facciamo un lavoro fortunato, che ci interroga costantemente. Mi sono confrontato con gli altri, parte di quella collettività del prima, per capire dove stiamo andando.

Cosa vorresti lasciare ai tuoi nipoti per il loro futuro?
Spero che i miei nipoti abbiamo strumenti per continuare a camminare dentro questo cambiamento e dentro agli altri che ci saranno. Mi auguro che ci sia una collettività più attenta, meno furba, meno timorosa, una comunità che sappia affrontare anche le proprie paure. Se Teatro i può lasciare qualcosa è un invito al pensiero critico.  

Cosa vorrebbe vedere Renzo Martinelli a Teatro ora che hanno riaperto?
Vorrei vedere quello che non conosco, e che il cambiamento in atto si traduca in una programmazione che tenga conto dell’attualità della questione. Sarebbe bello pensare a un teatro meno reazionario, un teatro che si muove in avanti. E mi auguro che non spariscano i piccoli teatri.

Quand’è l’ultima volta che ti sei commosso?
Mi commuovo per un gesto atletico che desta stupore o capita che mi commuova per i progetti, alla fine, quando sono conclusi. L’altro giorno mi sono commosso vedendo una bambina che cercava di ingrandire con le dita un’immagine, su un fumetto, ho pensato che le cose non sono mai come erano ieri e in qualche modo mi sono commosso. O forse solo stupito?

Cosa significa per Renzo Martinelli lottare per il bene comune?
Come dicevo prima, per me vuol dire contribuire a un orizzonte culturale orientato a una sensibilità collettiva e a una biodiversità di pensiero.

Questo tempo di chiusura ci ha fatto capire che del teatro se ne può fare a meno! Quanto è vera questa affermazione?
Si può fare a meno di tutto. . . possiamo vivere in tanti modi. Certo che possiamo vivere senza teatro! Ma non possiamo vivere senza una fede, senza un’etica, in un tempo inutile perché privo di significato. O meglio, possiamo forse sopravvivere, non vivere. E il teatro serve esattamente a questo: se non fa sopravvivere di certo fa vivere.

Quand’è che hai sorriso l’ultima volta?
Sorrido tutte le volte che incrocio uno sguardo bello. Tutti i giorni. È una sana medicina, il sorriso, così come il pianto.

Chi dovrebbero essere le persone che gestiranno i teatri di domani?
Delle persone che abbiamo degli strumenti giusti, armati di pensiero, visione, senso critico. Persone in grado di leggere il presente, che è il tempo più difficile da mettere in scena ma anche l’unico che costruisce il futuro.

Per puntare sui giovani artisti, ci vuole più amore o più coraggio?
Nessuno dei due. Bisogna metterli alla prova e vedere cosa fanno. Ed è anche ora di superare il concetto di “giovane”. Non è una questione anagrafica, ma una questione di necessità, di volontà. Riconoscere ed accompagnare dei progetti artistici emergenti è un dovere.

Quando hai abbracciato l’ultima volta i tuoi genitori?
Li ho persi tanti anni fa. Erano molto anziani. Con il pensiero ogni tanto li abbraccio.

Per fare il lavoro fatto in questi anni, Renzo Martinelli ha avuto bisogno di più amore o di coraggio?
Solo un po’ di follia. Certo, sono innamorato di ogni forma artistica, ma tanta follia. E tra amore e follia è sempre un equilibrio dinamico.

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