Cari lettori e care lettrici continuo, con gioia, le interviste alle persone/personalità, del mondo culturale teatrale, che gestiscono un teatro a Milano, quindi come già scritto nelle interviste precedenti, mi limiterò a fare domande e risposte, senza la mia naturale propensione al drammaturgo/scrittore.

Serena Sinigaglia non ha bisogno di molte presentazioni, posso raccontare alcune cose che molti non sanno: sono sicuro che non si arrabbierà, se ve la presenterò a modo mio, ecco Serena:

è timida, ma tenace;
ama stare in mezzo alla gente, ma non sta sempre al centro;
è coraggiosa, ma non ostenta la sua forza;
è simpatica, ma mette soggezione;
studia molto (dai tragediografi a Shakespeare) e usa tante parole difficili, ma parla anche all’infinito quando qualche extracomunitario non capisce l’italiano (oppure quando dirige me in prova);  
dice sempre quello che pensa e si aspetta che lo si faccia con lei;
spesse volte ti saluta con “Hasta Siempre”;
è capace di dare forza a tutti perché sa che è una grande capitana, ma ascolta molto quello che dice il suo equipaggio… a proposito di marinai, mi ha promesso che ci sposeremo e avremo un figlio, intelligente come lei e simpatico come me, spero di non essere stato sedotto e abbandonato!

Ad Arianna Scommegna alcune volte dice che è una terrona (ovviamente usando questo aggettivo con scherzo e affetto fraterno per esaltare la naturale modalità dei meridionali a fare gruppo e a invitare gli amici a pranzare, tutti insieme, ad un grande tavolo, dalle ore 13 alle 18 con finale di cassata con canditi e baci e abbracci e la schiscetta per il giorno dopo fatta con gli avanzi della tavolata) ma Serena Sinigaglia non si rende conto che è più terrona lei di Arianna e di me, messi insieme!

Con il gruppo ATIR ha risanato, con la cultura e con il teatro, una delle zone più brutte di Milano e per tantissimi di noi, Serena e gli attori e attrici di ATIR sono un punto di riferimento e per tutti un modello da imitare; ha una mamma che è un monumento di simpatia e di gioia.

Serena Sinigaglia, cosa significa, per una comunità, non poter avere un servizio pubblico come il teatro?
Significa privarsi dell’unico spazio laico dove quella stessa comunità può riconoscersi e dunque esistere. Se l’unica dimensione possibile è quella privata e individuale, l’uomo resta completamente isolato e l’isolamento crea alienazione e disagio profondo. L’incontro “reale” (e pubblico) è il più potente vaccino che esista per la cura spirituale dell’uomo. Senza teatro non c’è comunità, senza comunità non c’è società. Senza teatro non c’è battaglia politica che tenga. 

Cosa manca in Italia affichè la cultura venga considerata un bene primario di ogni cittadino/a?
Un ripensamento radicale del capitalismo dominante. Con il crollo del muro di Berlino ha prevalso il liberismo più sfrenato, quello della libera concorrenza che altro non è che l’affermazione perentoria della legge del più forte. Senza neppure considerare se “il più forte” è tale perché ha rubato, ucciso, violato, maltrattato. Non si può pensare ad una moltiplicazione infinita della ricchezza, non si può aderire allo sfruttamento esponenziale delle risorse naturali. La natura ha un limite, come l’uomo del resto. Se lo violi, ti si ritorce contro. La brutalità del capitalismo rende ognuno di noi un logaritmo di consumo, nient’altro. Occorre tenere quanto più isolata e affamata la gente, in modo che la sola preoccupazione sia quella del “comprare” o del “vendere”, questa la legge del capitale. Un bene apparentemente solo spirituale e comunque non facilmente quantificabile come quello culturale ha ovviamente scarsissima importanza in un simile sistema. E qualora l’avesse, probabilmente sarebbe d’impiccio. Se pensi, scegli e più pensi meglio scegli. Quindi gli scarsi fondi destinati alla cultura, l’indifferenza dei più al suo destino, la chiusura di teatri e musei, sono tutte logiche conseguenze di un sistema che prospera laddove si smette di “pensare” e si torna allo stadio primitivo del puro bisogno di consumo.

Tu sei la Direttrice Artistica di un teatro, il Ringhiera, che per lavori di ristrutturazione era già chiuso prima della pandemia; particolare questa condizione di chiusura nella chiusura…
Chiusura nella chiusura, già. Direi che di prove importanti ne ho affrontate molte nella mia vita. Resto però fermamente convinta che la tua casa, il tuo spazio è un concetto che puoi realizzare ovunque: per strada, in un pub, allo stadio, in un altro teatro, in un hangar, in una scuola, in un carcere… ovunque. Tu sei il progetto, tu e tutte le persone che lo condividono e intercettano. Noi siamo il progetto e il teatro. Così come possono fermare i nostri corpi ma non possono fermare le nostre idee, noi siamo chiamati a restare creativi e ad affermare la nostra libertà anche se qualcuno o qualcosa ci vuole rinchiudere. Con la tenacia di Penelope che è coraggio e forza spirituale, affermazione di un gesto di ribellione consapevole e virtuosa.

Come sta rispondendo a questa assenza di teatro, Serena Sinigaglia la direttrice artistica di ATIR?
Studio. Studio molto, quanto più posso. Preparo regie e preparo progetti futuri. Costruisco e intesso nuove relazioni. Invento ibridazioni tra generi diversi, accedendo alle nuove e vecchie tecnologie. Preparo festival e manifestazioni nel presente e nell’immediato futuro estivo. Sogno il sol dell’avvenire!

Serena la regista, invece, come sta reagendendo a questa chiusura?
Serena regista e Serena direttore artistico coincidono abbastanza, la persona è sempre quella, no?! 

Quand’è che hai sorriso l’ultima volta?
Quanto mi piace ridere. Lo faccio quanto più posso, in pandemia o in assenza di pandemia. “Una risata vi sommergerà” non ricordo chi lo disse comunque lo condivido a pieno. Ridere è un atto liberatorio e vitale, un’alternativa all’odio e alla depressione, l’umile riscatto dell’uomo. La vita è un’avventura meravigliosa e terribile insieme, l’umanità l’ha spesso resa insopportabile, la leggerezza dunque è necessaria per non soccombere. Mai prendersi troppo sul serio.

Cosa vorresti vedere a teatro quando riapriremo i teatri?
Tutto. Bello e brutto. Tutto. Purché sia dal vivo.

Cosa significa per te lottare per il bene comune?
Costruire un sistema di valori condivisi: accoglienza, gentilezza, rispetto, solidarietà, empatia, condivisione… l’elenco è lungo.

Questo tempo di chiusura ci ha fatto capire che del teatro se ne può fare a meno! Quanto è vera questa affermazione?
Non è vera. Il teatro non è solo lo spettacolo. Il teatro è l’incontro di un uomo con un uomo. Facciamo continuamente teatro, continuamente ne siamo spettatori e attori. Perché il teatro siamo noi esseri umani. Finché esisteranno gli esseri umani esisterà il teatro. Speriamo piuttosto di non estinguerci!

Cosa vorresti lasciare ai tuoi nipoti per il loro futuro?
Un po’ di bellezza. Almeno un po’. E se ci riuscissimo, pure tanta tanta tanta!

Chi dovrebbero essere le persone che gestiranno i teatri di domani?
Persone migliori di noi. Mi sono sempre augurata di avere allievi che diventano più bravi di me. Io non dirigo un teatro, non ricopro nessun ruolo istituzionale nell’ambito del teatro, almeno fino ad ora. Però insegno in diversi contesti. E spero che quei giovani studenti che incontro sapranno superarmi e trasformare il mondo oltre le mie più rosee previsioni.

Per puntare sui giovani artisti, ci vuole più amore o più coraggio?
Entrambi, probabilmente.

Quando hai abbracciato l’ultima volta la tua mamma?
Non ricordo. Però diciamo pure che non siamo mai state molto abbraccione.

Per fare il lavoro che hai fatto in questi anni, hai avuto bisogno di più amore o di coraggio?
Assolutamente entrambi.

Quand’è l’ultima volta che Serena Sinigaglia si è commossa?
Quando ho visto la nave dell’Odissea progettata e costruita dai ragazzi di Brera e Maria Spazzi uscire in parata dal Piccolo Teatro occupato. Gli studenti delle superiori che tenevano chi un remo, chi la chiglia, chi l’albero maestro. E la vela dorata ergersi maestosa su un desiderio di libertà e bellezza che nessun virus potrà mai spegnere.

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