Continua la serie di bioracconti, come mi piace definirli, degli artisti della nuova generazione teatrale. Andrea Chiodi è anche un mio caro amico e per evitare di non traviare questa introduzione alle sue risposte, mi limiterò a dire che da sempre mi ha aiutato e sostenuto in tutto quello che ho fatto e con affetto gli auguro mille in bocca al lupo per la neo Direzione Artistica del Teatro Giuditta Pasta di Saronno.

Caro Andrea, se dovessi raccontare di te in terza persona, come ti racconteresti? 
Andrea Chiodi è un bambino degli anni ’80 nato e cresciuto con il desiderio di raccontare storie. Crescendo sono stati gli incontri con i grandi maestri della scena a trasformare quel bambino in adulto e far diventare i suoi sogni realtà. Tra tanti: Piera Degli Esposti, Lucilla Morlacchi, Gabriele Lavia e Elisabetta Pozzi. Un bambino cresciuto in una famiglia mezza ebrea e mezza cattolica in una commistione di lingue e tradizioni che l’hanno sicuramente reso curioso verso il mondo e le cose. Si laurea in Legge con Eva Cantarella. Ama il bello, ha cercato di portare il suo vissuto sulla scena, cercando di contraddistinguersi per l’eleganza degli allestimenti.  

Si sposa con la drammaturga Angela Demattè, hanno tre figli, Edoardo, Agnese e Gregorio, svezzati nei camerini di vari teatri e che hanno imparato a giocare a nascondino dietro le quinte di palcoscenici importanti. Ha all’attivo più di 40 produzioni con importanti istituzioni italiane e straniere, lavorando molto sull’adattamento e la rivisitazione ai grandi classici, ma sempre attento al legame con la tradizione. Raggiunge la sintesi di quel pensiero con la Bisbetica Domata e da lì inizia ad affrontare quasi tutte le commedie di Shakespeare per importanti palcoscenici, da ultimo saranno le Allegre Comari al teatro Romano a Verona quest’estate.

Quel bambino è cresciuto ma continua a vivere in molti suoi lavori e il sogno di raccontare storie a tanti è diventato il suo lavoro per importanti teatri e interpreti. Non ha ancora fatto una tragedia al teatro greco di Siracusa ma desidera tanto farla. Per i suoi primi quarant’anni lo chiama Raffaella Carrà per un “tanti auguri” speciali.

Andrea Chiodi: regista e direttore artistico

Che relazione c’è tra l’essere un regista ed essere un direttore artistico?
Credo che un per un regista poter dare una visione più ampia sia la cosa più bella, e la direzione artistica ti consente spesso di avere una casa, un laboratorio di idee, un luogo dove invitare artisti e far crescere realtà del territorio in cui ti trovi.

Quindi un regista può amplificare le sue vedute al di fuori dei suoi spettacoli. Per un regista come me, che ha a cuore il rapporto con il pubblico, diventa anche un’ occasione di confronto e socialità importante. Insomma credo che le due cose possano viaggiare insieme benissimo, anzi credo che una rafforzi l’altra. 

Cosa ha pensato Andrea Chiodi quando lo hanno chiamato a dirigere il Teatro Giuditta Pasta?
Ho subito pensato che era una bella avventura e una sfida nuova, e come sempre le sfide e i territori nuovi da incontrare mi danno una grande energia, mi sentivo forte di esperienze precedenti importanti come il festival del Sacro Monte o l’assistenza alla direzione del Lac di Lugano. Oliare l’ingranaggio di una macchina e farla ripartire con marce nuove è una cosa bellissima. Ecco ho pensato che in questo momento era il teatro giusto, il territorio giusto, e tutto avveniva perché mi avevano cercato senza che io né lo volessi, né lo sapessi.

Ci racconti in poche parole cosa vedremo quest’anno nella stagione “Un Nuovo Sguardo” al Teatro Giuditta Pasta? 
La Stagione Teatrale del Teatro Giuditta Pasta di Saronno non si limiterà all’ospitalità tout court di compagnie teatrali, bensì prevederà collaborazioni più profonde che sosterranno in maniera decisa il valore imprescindibile dell’arte dal vivo come azione collettiva, politica e poetica insieme, in grado di stimolare una visione plurale e costruire una nuova relazione con il pubblico, la città e la comunità locale e internazionale.

Gli spettacoli e le attività che tessono la tela dei cartelloni sono come fili che si intrecciano e intrecciano l’arte delle artiste e degli artisti, insieme alle lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo, per fondare una nuova identità del Giuditta Pasta disegnando i contorni di uno spazio dedicato all’immaginazione, inclusione e creatività.

Ampio spazio a talenti emergenti e ai segnali della contemporaneità, in cui si rintracciano nuove pièce accrescendo il valore creativo e investendo nella continuità della pratica artistica.

Nel mese di settembre il palco del Giuditta Pasta ospiterà l’artista e regista Rubidori Manshaft  il percorso di residenza nella sala saronnese andrà in scena in anteprima nazionale proprio al Teatro Giuditta Pasta, per poi debuttare ufficialmente al FIT di Lugano.

La stagione di prosa classica si aprirà in ottobre con la Compagnia Umberto Orsini che metterà in scena Le Memorie di Ivan Karamazov, si prosegue con il ritorno di un’attrice amata dalla platea saronnese, Anna Della Rosa in Accabadora di Michela Murgia con la regia di Veronica Cruciani.

Nel mese di dicembre si reciterà a soggetto con il Pirandello di Paolo Rossi. Gennaio si aprirà con una storia che parla di libertà, civiltà e riscatto; Ambra Angiolini sarà Oliva Denaro di Viola Ardone con la regia di Giorgio Gallione: lo spettacolo vedrà la sua anteprima nazionale proprio sul palco saronnese al termine di un periodo di residenza artistica. In occasione della Giornata della Memoria Angela Demattè sarà Etty Hillesum.

Un’altra residenza, questa volta la preparazione della tournée nazionale, abiterà il palco del Pasta: Andrée Ruth Shammah  che riallestirà La Maria Brasca di Testori che andrà in scena in febbraio. Di amore e di altri incantamenti si racconterà il 15 febbraio con gli Innamorati di Goldoni con la mia regia, per proseguire il 7 marzo con Supplici di Serena Sinigaglia.

Sempre nel mese di marzo Tullio Solenghi e Elisabetta Pozzi saranno i protagonisti di Maneggi per maritare una figlia e si conclude, con La dodicesima notte (o quello che volete) di W. Shakespeare produzione Lac regia Ortoleva. 

La stagione di prosa contemporanea è dedicata a Renato Palazzi, storico critico del Sole 24  ore e amico, scomparso lo scorso anno. Ci saranno, Anagoor – in scena con Rivelazione – e Babilonia Teatri in Pietre Nere, Cubo Teatro in SID – fin qui tutto bene con Alberto Boubakar Malanchini, Karakorum Teatro in Poco più di un fatto personale, Proxima Res  con Tindaro Granata in Poetica sulle poesie di Franco Arminio e  Marta Ciappina  in Gli Anni di Marco D’Agostin.

L’introduzione alla rassegna sarà curata da Rodolfo Di Giammarco di Repubblica. 

Non mancheranno i comici, i musical, e la musica classica e, una cosa a cui tengo molto, la presenza dell’artista Claudio Milani e la Compagnia Momom che saranno residenti al Teatro Giuditta Pasta di Saronno e daranno vita a numerose attività rivolte alla formazione di un gruppo permanente di dialogo attorno al teatro.

Sei diventato ciò che sognavi di diventare da ragazzo?
Direi di sì, ma non voglio smettere di sorprendermi, anzi ogni volta che inizio un lavoro o una nuova produzione ho sempre la stessa emozione e timore e mi dico: “mah davvero sono qua?”

Cosa abbiamo perso del teatro del passato?
Credo nulla, certamente tanti grandi artisti, tanti maestri, tanti studiosi importanti non ci sono più, ma la forza del racconto teatrale e l’esigenza dell’incontro tra pubblico e attori mi sembra sempre viva. Forse abbiamo perso un po’ di follia creativa, di spregiudicatezza e di libertà. 

Qual è la maggior preoccupazione quando pensi al tuo ruolo di direzione artistica?  Che tornino i conti e che la proposta culturale possa sostenersi anche economicamente senza troppi compromessi commerciali, lo so non è molto poetico ma in questo sono molto pragmatico e realistico.

Cosa vorresti che dicesse il pubblico che frequenta il tuo festival e la tua stagione? 
Vorrei che dicessero: ma guarda questo Andrea Chiodi, è riuscito a stupirmi un’altra volta, questo un po’ è successo con il festival Tra Sacro e Sacro Monte, spero succeda al Giuditta Pasta.

Cosa significa essere referente culturale di un territorio/ comunità di persone?
Questo è un compito molto delicato e importante; io credo che il ruolo del teatro in un territorio sia fondamentale, credo che sempre di più il teatro possa essere davvero il polo culturale di una città, il cuore pulsante e motore delle proposte culturali, non solo teatrali ma anche educative e formative. Ritengo che sia fondamentale, oltre la programmazione, una progettualità verso gli artisti emergenti, essere cioè volano di talenti, credo anche che il teatro di una città debba lavorare a stretto contatto con le amministrazioni e non solo con gli assessorati alla cultura ma anche quelli all’istruzione e ai servizi sociali, ma anche al verde pubblico e al commercio.

Il teatro al centro del progetto educativo e culturale della città è cosa antichissima e io credo sia di capitale importanza e laddove avviene si vedono frutti straordinari. Quindi se penso a questo essere referente culturale attraverso il teatro mi viene da pensare che ci vorrebbero giornate da sessanta ore e anni da quarantotto mesi per realizzare tutto quello che si potrebbe fare, e quindi mi spaventa un po’ ma con una buona squadra si può fare molto, e le squadre di lavoro sono una cosa preziosissima per raggiungere certi obiettivi.

Lo sguardo di Andrea Chiodi
su due grandi attrici

Hai diretto tantissimi/e artisti/e, tra i quali Piera Degli Esposti ed Elisabetta Pozzi, ci parli di loro? 
Piera è la grande maestra, l’amica grande incontrata da ragazzino, Piera è il teatro per me, quella attraverso cui è iniziato tutto ed è stata compagna di cammino proprio come una di famiglia, solo Dio sa quanto mi manca. Con lei nulla era scontato, tutto era sorprendente sempre, mi ha insegnato a leggere la poesia, a leggere Dante e Campanile, a studiare i copioni, ad analizzare i testi, a comprendere l’attore in scena e ad amarlo, ad analizzare cosa e come sapevo raccontare, a farmi conoscere Dacia Maraini e Lina Wertmuller, Ornella Vanoni e Roberto Erlitzka, e tantissimi altri personaggi e artisti da cui da ragazzo ho imparato molto. Piera è stata davvero fondamentale per la mia crescita umana ed artistica, lavorare con lei è stato sì un grande privilegio ma soprattutto starle accanto, vederla pensare, quello è stato il grande privilegio.

Elisabetta è l’incontro legato ad un salto importante nel mio lavoro, corrisponde di più alla mia maturazione artistica, è la più brava di tutte, è stata una scossa elettrica incontrarla e lavorare con lei, ha tirato fuori da me delle corde anche nuove, il desiderio di rompere e ricostruire di non mettere mai a posto le cose ma di spaccare per costruire, sento di dire che ci vogliamo bene, molto, di avere costruito alcuni spettacoli importanti insieme, penso al primo Giovanna D’Arco, e poi Medea, fino ad Ecuba e alla drammaturgia contemporanea inglese, l’ho diretta e abbiamo condiviso progetti dal 2010 per quindici produzioni, non poche. La Pozzi, come si dice in teatro, è l’attrice a cui devo di più per la fiducia e la stima che ha sempre avuto del mio lavoro e credo che la storia continuerà ancora e vi sorprenderemo.

Qual è il tuo desiderio, che non hai mai confessato?
Vincere tutti i premi più prestigiosi del teatro, tanto lo desideriamo tutti e non lo diciamo mai…quindi su datemi sti premi! E poi condurre un quiz televisivo..hahahaha 

Chi è il tuo punto di riferimento, oggi?
Mia moglie Angela Demattè, lei sa come non scendere mai a compromessi, lei ha sempre uno sguardo profondissimo sulle cose, senza di lei non avrei fatto nulla di tutto quello che ho fatto, non sarei l’uomo che sono, il padre che sono e il regista. I premi poi li vince tutti lei. 

Cosa si potrebbe fare, secondo te, per portare i giovani a teatro
Parlare con loro, incontrarli, aprire le porte alle prove e portarli a vedere la magia della creazione e sicuramente essere più fieri del fatto che in Italia siamo tra i migliori realizzatori di spettacolo dal vivo e la scuola dovrebbe farci i conti e divulgarlo di più. E non portarli a teatro la mattina a vedere orrendi spettacoli di compagnie semi amatoriali.

In cosa credi? In Dio.

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