La malattia di una madre che cura e svela le leggi dell’Universo
Cancro. Non un tumore, ma cancro. Erica Mou ci offre con "Una cosa per la quale mi odierai" una madre nei giorni della battaglia con la morte
Cancro. Non un tumore, ma cancro. Erica Mou ci offre con "Una cosa per la quale mi odierai" una madre nei giorni della battaglia con la morte
Ritrovare una voce che si è perduta o forse nascosta in fondo a quel groviglio di organi vitali e sentimenti. Una cronaca filiale detta a voce alta, quella stessa voce che dieci anni prima si è ridotta a silenzio e che oggi torna lievito madre per Le tre età di Klimt ridipinto da Erica, fra sua madre e sua figlia.
Quella voce che si è perduta e quella voce che si è rifiutata di cantare dopo la chiara fotografia di un corpo oltraggiato da una parola. Cancro. Non un tumore, ma cancro. Perché le parole dette a volte cercano alibi di sopravvivenza sfidando qualcosa che non c’è. Se non c’è divinità, non c’è fede e se non c’è fede è cancro e non tumore.
Ma c’è differenza nel chiamarlo cancro o tumore? Una puttana svolge il suo mestiere meglio di una prostituta. L’odore di un forno e l’acqua di colonia possono far tornare le persone che abbiamo amato, come una madre. La sua voce no, ma le parole scritte in un diario ne danno la consistenza lieve e resistente dei fiori, piegati dal vento o pestati da un’orma che ha la testa fra le nuvole. Ma quei fiori sono sempre capaci di rialzarsi.
Il secondo romanzo di Erica Mou (Fandango) Una cosa per la quale mi odierai è un racconto privato coraggioso che solo una figlia femmina in attesa di un’altra figlia femmina è capace di cantare. Non servono orchestre, si suona con tutto quello che si trova in cucina, in casa, in famiglia. Quella famiglia che ha il dono della verità, dello yin e yang.
Una madre possiede la metamorfosi di rimpicciolirsi, lo fa con le parole, con i gesti, con le intenzioni, per proteggere e prendersi cura dei figli. Una figlia che ha il talento del mestiere della musica sa farsi oceano di silenzio per tenere nelle sue mani quelle mani rimpicciolite di madre-bambina.
“In questa vicenda sono sola. Me lo si dice in ogni modo, è una cosa mia, è un problema mio. Gli altri hanno il diritto di continuare la propria vita normalmente. No, non lo accetto. Per mio marito no. Che faccia finalmente una scelta. Mi ama? Allora scelga di starmi accanto. Non a tempo, non con riserva. Incondizionatamente. Se non lo farà io non crederò al suo amore, è una farsa. Dare quando si ha tempo libero non è darsi”.
Questo è il dono che Erica Mou ci offre con Una cosa per la quale mi odierai, la possibilità di leggere frammenti dei pensieri di sua madre nei giorni della sua battaglia con la morte cercando di tenere puri i sentimenti di quella famiglia. C’è una strana mistica nel diario di sua madre. Non c’è spazio per la divinità, la preghiera, ma c’è una antica, necessaria ed urgente filosofia cosmica, una vocazione nel Bardo in una laico stato del libro tibetano dei morti.
E questo è vita. Vita per la letteratura, l’unica cura che riesce a far tornare chi se n’è andato. Tornare senza andarsene mai più perché solo i libri hanno quella semplice eternità senza bisogno di costruire chiese, accendere incensi e belle statue alte di gesso. E la voce che torna, finalmente resta e si fa Canzone – Madre, l’unica verità che ci rivela le leggi dell’universo.