E’ il romanzo più bello del mondo…” A.D’Orrico La lettura /Corriere della sera

Ho appena finito di leggere questo romanzo di Valerie Perrin.

Una narrazione delicata, divertente, misteriosa, ricca di spunti di riflessione. La definirei colta, per l’uso sapiente delle parole così ricercate e mai banali; nessun concetto espresso ci può lasciare indifferenti. L’autrice di Cambiare l’acqua ai fiori ha una grande capacità descrittiva che richiama immagini, sentimenti, luoghi e persino profumi.

Nel romanzo si parla di vita, di morte, di abbandono, di scelte, di amore, di amicizia, di rapporti umani in tutte le sfaccettature. Di risorse interiori, di fede. Di rinascita. Si descrivono varie personalità e s’impara a riconoscere il valore delle persone dai loro comportamenti e dalle loro reazioni ai casi della vita. Si apprende qualcosa in ogni pagina. A volte si sorride e ci si diverte per circostanze, battute e personaggi. E’ il racconto di una vita reale e questo ci fa sentire partecipi e parte della storia.

Cambiare l’acqua ai fiori è un bel viaggio

Quella di cui si parla è la vita di Violette, che inizia in salita negli anni ’70. E’ una bambina non desiderata, salvata dal calore di un termosifone. L’ostetrica che l’aiuta a nascere la chiama Violette per il colore cianotico e sofferente della sua pelle appena viene al mondo; e quando ce la fa, di quel brutto inizio, gli rimane il nome: Violette. Cresce in fretta in un orfanotrofio che si sente stretto addosso. Vuole essere indipendente e cambiare vita.

Nel bar dove ben presto inizia a lavorare, incontra l’amore: un ragazzo bellissimo e molto sensuale che la rapisce nel corpo e nell’anima. Scopre nel tempo che è un uomo egoista ed egocentrico, un manipolatore, che sceglie sapientemente la sua vittima e che sa sfruttare la sua dipendenza affettiva.

Violette dopo qualche anno si rende conto che 

“Non era la casa ad essere troppo piccola ma il loro amore”. 

Le parole fra loro sono come un rasoio sulla pelle. E intorno rimane solo un violento silenzio. Nella vita di Violette regna il buio; si illumina nuovamente quando diventa madre. E’ felice e la maternità le permette di cominciare un percorso di crescita interiore. La figlia nella sua vita rappresenterà la più grande gioia e il più insopportabile dolore. Sentimenti forti come urla.

La storia di Violette continua con un altro abbandono: suo marito all’improvviso sparisce senza lasciare nessuna traccia di sé. Lei però non lo cerca perché la sua vita ha cambiato finalmente colore. Inizia a vivere consapevolmente.

“Impara a dare assenza a chi non ha capito l’importanza della sua presenza”. 

Capisce che

“L’essere umano ha una capacità inaudita di ricostruirsi e cauterizzarsi, come se avesse vari strati di pelle uno sull’altro, vite sovrapposte e altre di scorta, e che i magazzini dell’oblio sono illimitati”.

Violette lavora come guardiana in un cimitero ed è serena: è il suo mondo, quasi un rifugio. Un luogo dove

“ i miei vicini non temono niente. Non hanno preoccupazioni, non si innamorano …. non piangono, non cercano …. né i figli né la felicità … non cambiano idea …. Non sono leccaculo, né ambiziosi, rancorosi, carini, meschini, generosi, gelosi, trascuranti, …. Violenti …. dolci, duri … I miei vicini sono morti. L’unica differenza che c’è fra loro è il legno della bara …”.

Violette ama le piccole cose, i fiori, la pulizia, tutto ciò che la circonda  profuma. Ha due guardaroba. Uno lo chiama inverno e l’altro estate  

“ … ma non c’entrano le stagioni , c’entrano le circostanze. L’armadio “inverno “ contiene solo vestiti classici e scuri destinati agli altri, l’armadio “estate “ solo vestiti chiari e colorati destinati a me stessa. Indosso l’estate sotto l’inverno e quando sono sola mi tolgo l’inverno.”.

Nel cimitero accoglie ogni nuovo arrivato come se lo ospitasse a casa sua. Lo adotta e si prende anche cura di chi rimane, animali compresi. Riflette a volte sulle solite cause che medici e congiunti portano come motivazione di un decesso: è morto perché fumava troppo

“non dicono mai che un uomo …. può morire per non essere stato amato, per non essere stato sentito, per aver ricevuto troppi conti da pagare … per una vita di rimproveri e musi lunghi … per averne avuto troppo spesso le palle piene”.

Violette ha dei colleghi e amici con cui condivide il tempo

“ la vita non è niente se non puoi condividerla con un amico”.

Condivide il Porto d’annata che beve con moderazione “a lacrime” perché

“una guardiana del cimitero beve solo lacrime”. 

Varie vicende s’incastrano nella vita di Violette, alcune che la riempiono di gioia e altre dolorose. Lei riesce a trovare sollievo imparando a curare i fiori e a coltivare ortaggi. Dalla terra e dalla natura impara la pazienza e il saper aspettare, a rispettare i ritmi delle stagioni e infine godere dei frutti.

All’improvviso nella sua vita tranquilla e solitaria irrompe un uomo, un poliziotto. L’incontro provoca in lei un gran turbamento e il suo cuore, vivo e sensibile, batte forte all’improvviso e “l’avvisa del pericolo …”.

L’uomo deve esaudire le ultime volontà della madre che ha chiesto che le sue ceneri siano deposte sulla tomba di un uomo a lui sconosciuto. Non sa chi sia. Chiede aiuto a Violette per scrivere un discorso di commiato alla madre, e lei accetta. Si rivedono più volte e così inizia la costruzione di un rapporto. L’uomo racconta a Violette la storia di sua madre e dello sconosciuto, appresa da un diario. La narrazione diventa misteriosa e molto intrigante.

Per Violette inizia un periodo pieno di nuove emozioni a cui cerca di resistere per paura, perché pensa di non essere più adeguata a provare i piaceri della vita condivisi; ma nella sua mente riecheggiano alcune parole di un amico

“ ….il passato somiglia alla calce viva, un veleno che brucia i germogli .. il passato è il veleno del presente … rivangare vuol dire un po’ morire”.

Così decide di non frenarsi, di lasciarsi andare e di ridere nuovamente 

“ignoravo l’esistenza di questo suono, di questa nota all’interno di me. Mi sento come uno strumento musicale con un tasto in più, un salutare difetto di fabbrica”.

La storia evolve e ha mille sfaccettature: storie di amore, di sesso, di amicizia, di rinascita. Tanti personaggi che parlano e altri tacciono per sempre. Cambiare l’acqua ai fiori è una bella storia, fino alla fine.

E nel nostro cuore rimane Violette. Una donna che decide di nascere tante volte, sempre più forte e più bella. Che riesce nel suo progetto di vita perché consapevolmente si circonda solo di persone positive.

La sua forza mi ha fatto pensare al cisto, detto anche rosa delle sabbie, una pianta selvatica che apprezzo nelle mie passeggiate nelle pinete e nei boschi. La trovo sempre.

Ricordo che, dopo il primo devastante incendio della pineta di Ostia nel 2000, che distrusse un terzo del patrimonio arboreo, la prima pianta che germogliò dopo mesi fu il cisto: non resiste certo al fuoco ma la germinazione dei semi che hanno subito il passaggio delle fiamme è 10 volte superiore a quella dei semi che non lo hanno passato.

Questo succede anche alle persone che non si arrendono alla vita.

Le esperienze, seppur traumatiche e dolorose, ci rendono migliori e ci fanno apprezzare maggiormente il futuro e le piccole cose.

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