Torna a dialogare con noi l‘isola Bisentina, nel lago di Bolsena, con una straordinaria mostra, intitolata La Memoria dell’Acqua, e dedicata all’acqua come elemento di connessione con il sacro e come elemento di conservazione della memoria. Il progetto espositivo vede protagonisti tre artisti contemporanei – Lisa Dalfino, Namsal Siedlecki e Alex Cecchetti – ispirati dal Lago di Bolsena come antico luogo di culto e pellegrinaggio.

Le opere d’arte dei tre artisti si innestano così nella storia dell’isola e del lago e ce la restituiscono piena di poesia e misticismo, creando un nuovo itinerario sull’isola che svela se stessa come uno scrigno di preziosità.

Nell’esposizione La memoria dell’acqua i tre artisti si sono confrontati con le recenti scoperte di un insediamento protostorico palafitticolo attualmente sommerso, i cui reperti, perfettamente conservati proprio grazie all’immersione nell’acqua del lago, testimoniano la vita quotidiana e le pratiche rituali delle antiche comunità locali, rivelandone la spiritualità e il rapporto con l’ambiente lacustre.

Il focus della mostra è l’acqua

L’acqua è la forza naturale che distrugge e insieme conserva, elemento di continuità tra passato e presente, tra memoria e vita.

Sono i luoghi più iconici dell’Isola Bisentina ad accogliere le opere site-specific pensate per l’apertura della nuova stagione culturale, che diventano così palcoscenico del genio creativo di giovani artisti contemporanei.

Alex Cecchetti e le sue
visioni subacquee

La Chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo ospita i lavori su carta di Alex Cecchetti, vertiginosi fondali lacustri che diventano una sorta di autoritratto del lago, in cui lo specchio lacustre appare ora tenebroso, ora ipnotico, ora calmo, ora agitato da tormenti tempestosi. E tra queste carte blu, intense e profonde, i reperti del sito archeologico del Grancaro, rinvenuti durante le esplorazioni subacquee del Servizio di Archeologia Subacquea della Soprintendenza di Viterbo, sembrano ritrovare la loro originaria ubicazione, esattamente nel fondale del lago dal quale sono stati recuperati, perché paiono specchiarsi proprio in quegli stessi profondi fondali.

Reperti del Grancaro, sulle pareti l’opera Underwater Visions di Alex Cecchetti – photo by Fondazione Rovati

Qui Alex Cecchetti presenta un lavoro intitolato Underwater Visions, che lui ama definire “un’opera creata in collaborazione con l’acqua”: infatti ha immerso le carte in una miscela di limone e minerali, lasciando che con il passare delle ore si riempissero da sole di colori e visioni. L’effetto è avvolgente: ci si sente immersi in queste acque silenziose e vorticose, quasi trascinati nelle profondità abissali del lago.

Namsal Siedlecki e il rito di lanciare
un oggetto nell’acqua

L’Oratorio del Monte Calvario e la darsena in stile liberty, recentemente restaurata dalla Fondazione Rovati ed oggi punto d’approdo dell’isola, ospitano le sculture alchemiche di Namsal Siedlecki, evocative di gesti propiziatori e pratiche votive. Forme apparentemente fragili e precarie che sembrano galleggiare sull’acqua o librarsi in aria, esprimono tutta la forza del qui e ora, dell’attimo fuggente. La prima opera, intitolata Trevis Maponos, mette in relazione il rito di gettare un ex voto in una fonte d’acqua ritenuta sacra, con il gesto di gettare una moneta nella fontana di Trevi.

Trevis Maponos di Namsal Siedlecki – photo by Lorenzo Breccola

Là una fonte in un bosco, qui una fontana urbana. In entrambe l’acqua diventa il tramite, l’elemento che mette in connessione l’umano con il divino attraverso il lancio di un oggetto. E così nasce l’opera: l’ex voto viene scansionato in 3D, viene riprodotto in cera, e poi coperto con la lega ottenuta dalla fusione di migliaia di monete recuperate dalla fontana di Trevi e acquistate dall’artista. Il risultato è un guscio di metallo che racchiude un’assenza, la forma di un ex voto ormai non più presente. In questo modo l’artista ferma l’attimo, immortala il rito del lancio della materia nell’acqua in un tempo sospeso, che diventa il tempo di connessione tra la dimensione umana e quella divina.

La seconda opera di Siedlecki, intitolata Sublimazione, trae ispirazione da una festa indù molto popolare nell’India Orientale e in Bangladesh, Durga Puja, dedicata alla dea Durga che sconfigge nel demone Maishasura il male stesso. E’ la battaglia finale tra bene e male, celebrata con il rito di gettare nelle acque dei fiumi migliaia di feticci di paglia e spago che rievocano le forme anatomiche della dea. L’artista ricrea uno di questi feticci in bronzo: l’effetto è spiazzante. L’opera ha l’apparente fragilità della paglia ma la solida durevolezza del bronzo, e si presenta ancora in formazione, non ha i piedi, non ha le mani né la testa.

Sublimation di Namsal Siedlecki – photo by Lorenzo Breccola

Coglie l’attimo della formazione del sacro, di nuovo il qui e ora. E al posto della testa compare una cavità quadrata, che richiama quella canonica delle pietre d’altare, all’interno delle quali, nelle chiese cattoliche, si custodisce una reliquia.
In questo vuoto si manifesta una sospensione: l’idolo è arrestato nel momento della sua formazione, sottratto al compimento. La reliquia non è più un frammento del sacro, ma l’attesa della sua formazione. Così, l’opera si fa soglia fra sistemi simbolici distanti, ma accomunati da un’esigenza universale: dare corpo all’invisibile.

Lisa Dalfino e le anatomie di vetro
cristallizzate tra buio e luce

La Malta dei Papi – il misterioso ipogeo scavato nelle viscere del Monte Tabor, probabilmente destinato a funzioni rituali già in epoca etrusca – accoglie l’opera di Lisa Dalfino chiamata Omphalos (ombelico) composta da delicati frammenti in vetro che richiamano la forma e il senso degli antichi ex-voto. Nell’unico fascio di luce che irradia la buia cavità, sono in sospensione mani, teste, piedi, gocce d’acqua, persino un cordone ombelicale.

Omphalos (dettaglio) di Lisa Dalfino – Photo by Fabio Murru

Frammenti anatomici che aprono una connessione tra l’alto e il basso, tra la luce ed il buio, tra la sfera celeste e la sfera terrestre. Anatomie umane, cristallizzate in un’unica linea di luce, prendono forma attraverso un materiale atemporale come il vetro, in un tempo che di nuovo appare sospeso tra passato, presente e futuro, e mirano a tracciare un sottile confine tra la visione sensibile e quella sovrasensibile, celata allo sguardo umano.

Omphalos (dettaglio) di Lisa Dalfino – Photo by Fabio Murru

La Memoria dell’Acqua – Scoperte archeologiche dal Gran Carro di Bolsena è un progetto realizzato in collaborazione tra Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria Meridionale, Fondazione Luigi Rovati e Isola Bisentina.

Al centro della riflessione del progetto è dunque il ruolo dell’acqua: forza naturale che distrugge e insieme conserva, elemento che collega passato e presente, memoria e vita. I reperti restituiti dal lago non solo raccontano la storia degli antichi abitanti del Gran Carro, ma ci interrogano su importanti tematiche dell’oggi, come il nostro rapporto con l’ambiente, la spiritualità, la comunità e il tempo. Su questi temi si interrogano gli artisti contemporanei per tracciare una riflessione moderna sull’importanza della memoria dell’acqua per gli esseri umani e l’ambiente.

Fino al 2 novembre sull’isola Bisentina (VT). Info e prenotazioni qui.

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