L’altro giorno mi è capitato di ascoltare per caso una serie di canzoni prodotte dall’intelligenza artificiale. Sorprendentemente, non ne ho skippata nessuna. È stata un’esperienza rivelatrice, soprattutto considerando che ormai non riesco più ad ascoltare la radio per più di pochi secondi senza sentire l’impulso di cambiare stazione.

La differenza più evidente non era tanto nella struttura dei singoli brani, quanto nella varietà del flusso musicale nel suo complesso. Mentre le radio commerciali tendono a proporre un susseguirsi di hit che seguono le mode del momento, il flusso dell’IA offriva un viaggio sonoro più variegato.

IA / Radio, creatività, sonorità

In una sola sessione d’ascolto, potevo passare da un’atmosfera dream pop a una psichedelica, per poi trovarmi immerso in sonorità country. Questa diversità non era frutto di una creatività straordinaria all’interno dei singoli brani, ma piuttosto della libertà dell’IA di attingere a un vasto archivio di stili e influenze, senza essere vincolata dalle tendenze del momento.

Ciò che mi ha colpito di più è stata la mia stessa reazione a questa esperienza. Mi sono reso conto che, sapendo che dietro quei brani c’era una macchina che imitava l’umano, e non un umano che imitava una macchina, ero più disposto ad ascoltare e a lasciarmi sorprendere.

Questa consapevolezza rendeva l’ascolto più sopportabile, forse perché mi liberava dalle aspettative e dai pregiudizi che solitamente accompagnano l’ascolto della musica commerciale. Nelle radio commerciali, i brani seguono spesso schemi prevedibili: l’ennesimo pezzo finto-punk, i grugniti meccanicamente programmati nell’ultimo tormentone trap, l’inevitabile influenza hip-hop su ogni singola canzone pop. È come se l’industria musicale avesse sviluppato degli algoritmi istintivi, meccanismi produttivi che per chi è musicista sono diventati assolutamente prevedibili.

Al contrario, il flusso generato dall’IA sembrava libero da queste costrizioni. Non cercava di seguire una moda particolare o di replicare il suono del momento. Invece, offriva un panorama sonoro più vario, permettendomi di riscoprire il piacere della sorpresa nell’ascolto musicale.

L’esperienza musicale e il contesto
in cui viene creata

Questa esperienza mi ha fatto riflettere su come la produzione musicale sia intrinsecamente legata al contesto in cui viene creata. Le canzoni radiofoniche sono il prodotto di un sistema che privilegia la prevedibilità e la ripetitività, mentre l’IA, libera da queste costrizioni, può esplorare un territorio sonoro molto più vasto. Alla fine, essendo è un puro gioco di forme, assomiglia paradossalmente alla definizione kantiana dell’opera d’arte.

Certo, non tutta la musica commerciale è di bassa qualità, e non tutta la musica generata dall’IA è necessariamente buona. Grandi artisti hanno dimostrato che è possibile creare opere d’arte che siano anche successi commerciali. Il problema non è fare musica per guadagnare, ma piuttosto come l’industria musicale sia diventata una macchina che produce tappezzerie sonore invece che esperienze di scoperta.

Ascoltando questi brani, ho avuto la strana sensazione di sentire echi della radio che fu. C’era qualcosa in questa esperienza che richiamava i giorni in cui girare la manopola della radio era un’avventura sonora, un viaggio attraverso mondi musicali sconosciuti. Questa funzione della radio è stata immortalata dalla canzone La Radio di Eugenio Finardi, un inno alla radio come esperienza di libertà e passione politica che invito il lettore ad ascoltare per apprezzarne quel senso di eccitazione e di crescita condivisa che sembra andata perduta

L’IA, paradossalmente, sembra aver catturato quello spirito di scoperta e varietà che caratterizzava le radio del passato, prima che la commercializzazione estrema e la ricerca ossessiva dell’hit perfetta prendessero il sopravvento.

Questa nostalgia tecnologicamente indotta solleva questioni interessanti. In fin dei conti, questa esperienza ci spinge a riflettere non solo su come potremmo rivoluzionare la musica, ma anche su come potremmo riconquistare quello spirito di avventura e scoperta che un tempo caratterizzava l’ascolto radiofonico. L’IA, in questo caso, non mi è apparsa tanto come una soluzione quanto come uno specchio che mostra ciò che abbiamo perso e ciò che potremmo ritrovare se osassimo ripensare il nostro rapporto tra musica e società.

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