Le donne hanno preso parte alla Resistenza, alla lotta dei patrioti italiani per la liberazione dal fascismo. Questo lo sapevamo. Ma non ne abbiamo parlato a sufficienza. A scuola non lo abbiamo insegnato e ricordato quasi a nessuno dei nostri studenti e, soprattutto, ce ne siamo dimenticati una volta avviato il processo costituente e fatto nascere la Repubblica.

Allora qualcuno ha pensato bene di colmare questa lacuna e di raccontarle, le donne. Ha scritto e pubblicato qualche libro che però ha avuto una diffusione piuttosto contenuta.

In questi giorni vediamo invece che l’argomento è stato preso in considerazione dalla bravissima Benedetta Tobagi che, per Einaudi, ha scritto La resistenza delle donne (pp 376, euro 22.00).

Non è escluso che qualche lettore pensi di avvicinarsi a questo testo aspettandosi il già noto. Storie di ragazze in bicicletta: le famosissime staffette partigiane che si assumevano un rischio pari solo all’importanza del loro compito.

Oppure si è fatto convinto di trovare una sorta di catalogo di figure coraggiose fino alla sfrontatezza che, in un modo o nell’altro, affiancavano gli uomini nella loro lotta.

Ma il libro di Benedetta Tobagi è completamente diverso e contiene una forza sorprendente che spazza via semplificazioni e luoghi comuni per restituire a tutti noi il senso di una complessità che raramente troviamo nel linguaggio pubblico e, a volte, neanche in quello storico e politico.

Vale la pena leggerlo attentamente questo volume.

La cosa più importante di un lavoro accurato e coscienzioso, compiuto da una storica che non rinuncia alla propria sensibilità di donna, è proprio il punto di vista. Il punto di vista femminile, anzi decisamente femminista.

Un elemento che è chiaro da subito, da quando leggiamo il sommario. La divisione in capitoli prevede aree tematiche e non suddivisioni storiche, geografiche o politiche. La maternità, i rapporti erotici e affettivi, il senso della cura, le torture e gli stupri da parte dei soldati fascisti e nazisti, la cura dei morti, l’uso delle armi e/o la scelta non violenta, il modo di vestire in città oppure in montagna.

A questo va sommato l’uso strumentale degli stereotipi femminili del fascismo: la donna casalinga, moglie, madre, la donna oggetto di piacere e la femminuccia svampita.

Tutto è stato utilizzato e messo in discussione dalle donne che hanno scelto la Resistenza. Una scelta vera e assolutamente volontaria. Infatti, mentre in molte occasioni gli uomini si sono trovati costretti nel bivio tra combattere per la Repubblica di Salò e, in alternativa, i campi di concentramento in Germania e quindi hanno scelto la lotta contro il regime, la ribellione e l’impegno clandestino. Per le donne tuto questo non si è verificato: chi ha scelto di combattere lo ha scelto secondo una sua libera volontà.

Ecco così che, per la prima volta, la lotta per liberare il Paese e il popolo italiano divenne anche lotta per la liberazione personale.

Il personale è politico è uno degli slogan più famosi del movimento delle donne negli anni Settanta. Benedetta Tobagi lo fa suo e lo ripropone dimostrando che anche le ricostruzioni storiche non sono date per acquisite una volta per tutte. Serve una chiave di lettura, serve un punto di vista.

In un libro struggente e emozionante ci sembra di fare una conoscenza profonda delle persone che ci si presentano, pagina dopo pagina. Vediamo le loro foto, osserviamo i loro corpi che non sembrano adatti alla guerra, ma che invece ci regalano delle sorprese di grande valore etico e politico.

Borghesi e proletarie, donne del sud e donne del nord, sofisticate donne di città come la romana Carla Capponi o donne abituate a lavorare in campagna come le partigiane delle Langhe, e non solo.

Ci sono le donne cattoliche come Tina Anselmi che impugna le armi con la certezza che solo così si riesce a difendere la vita.

Benedetta Tobagi

Nulla viene celato, compreso le molestie di cui furono oggetto alcune militanti dai loro capi partigiani. Nulla viene celato e tutto serenamente esposto, spesso con un sorriso, grazie alla forza d’animo di una convinzione profonda che ha molto da insegnare agli italiani di oggi che confondono, negano e addirittura tendono a replicare.

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