E’ stata l’estate più calda che io ricordi. In climatologia le impressioni personali non contano, ma se guardiamo a quanto è avvenuto tra metà maggio e metà agosto anche i dati oggettivi suggeriscono che si sia trattato di un periodo di caldo eccezionale, sicuramente nell’area mediterranea dove il mare ha raggiunto fino a 5°C in più del normale, i ghiacciai si sciolgono a ritmi mai visti e gli eventi eccezionali sono diventati norma, per cui gli amici di Modena non escono più con la macchina se il cielo è scuro e se non sono sicuri di poter parcheggiare al coperto per il rischio ormai comune che grandine grossa come palle da tennis distrugga carrozzeria e vetri. E non parliamo dei danni all’agricoltura.

Le elezioni sono alle porte, il prossimo 25 settembre, ma il tema del cambiamento climatico non sembra tuttavia interessare a nessuno. Alla destra non ne parliamo. Quelli vogliono solo ridurre le tasse ai ricchi, levare ogni misura di sostegno ai poveri e pigliarsela con i migranti. Al centro pensano invece a giocare a scacchi con le alleanze nella vana speranza di salvarsi. La sinistra non esiste da venti anni per cui è inutile parlarne. I ragazzi di Fridays for Future ci provano, occupano le strade, manifestano nelle piazze, ma per ora nessuno raccoglie il loro grido.

In più con la scusa della guerra sono già aumentate le spese militari, la cui potentissima lobby, come raccontavo in un precedente post, è riuscita a fare scorporare l’industria militare dalle limitazioni nelle emissioni di anidride carbonica previste dal protocollo di Parigi, e si parla ormai senza pudore di carbone e di nucleare, mentre il prezzo del gas e del petrolio è alle stelle e le quotazioni in borsa del comparto dei combustibili fossili viaggiano a gonfie vele.

La transizione ecologica
sarà una necessità

In questo quadro deprimente e preoccupante è necessario invece non scoraggiarci e continuare a creare idee, anche scomode, perché la transizione energetica ed ecologica non è un miraggio e prima o poi diventerà una necessità, speriamo non tardiva.

La cosa più importante è essere pienamente consapevoli di cosa comporti davvero una transizione di questo genere e di come ognuna e ognuno di noi possa contribuire. Non mi stancherò mai di dire che abbiamo un potere enorme come consumatori.

Oggi dovremmo tutte e tutti smettere del tutto e subito di comprare prodotti dalla grande industria della carne, rivolgerci invece ai gruppi di acquisto equo-solidale o alle piccole cooperative biologiche locali prodotti alimentari a km 0 e senza inutili imballaggi di plastica.

Dovremmo evitare il più possibile i grandi supermercati e i loro prodotti. La mia esperienza su questo è che cercando e scegliendo non è vero che si spende di più e l’impatto che possiamo avere è enorme.

Allo stesso tempo è necessario comprendere la complessità della sfida anche a scala più grande, dove su alcune scelte dovremo e dovremmo prenderci maggiori quote di responsabilità.

E’ di questo che voglio parlare con il mio amico e collega Luca Caricchi, professore ordinario di vulcanologia e direttore del Dipartimento di Scienze della Terra presso l’Università di Ginevra in Svizzera… sì, un altro dei nostri connazionali eccellenti che ha trovato all’estero riconoscimento e valorizzazione, peraltro ad un’età che qui da noi è per molti ancora quella della ricerca della stabilizzazione.

Luca tu sei un geologo ed un vulcanologo, ma ti stai occupando da tempo del tema della transizione energetica. Ci vuoi raccontare in che modo la geologia entra nel problema?
Ti rispondo nella maniera più diretta possibile. Intanto gran parte dell’energia che utilizziamo viene direttamente dalla Terra (idroelettrica, geotermica, ma ovviamente anche i combustibili fossili) o comunque dipende dalla conformazione della Terra (solare, eolico). Inoltre, tutti gli strumenti che utilizziamo per raccogliere le potenti energie che la natura ci mette a disposizione sono costituiti da metalli più o meno abbondanti sulla Terra. I geologi, studiando i processi fondamentali che controllano il funzionamento del nostro pianeta, non solo sono capaci di trovare sia le risorse energetiche sia questi metalli essenziali alla loro estrazione ed utilizzazione, ma traendo ispirazione dalla natura stessa possono creare nuovi approcci che permettono la loro estrazione con metodi sostenibili. Un esempio: i cavi elettrici sono fatti di rame e il 75% del rame è estratto da antichi vulcani estinti. I metodi di estrazione sono per il momento tutt’altro che a basso impatto ambientale. La comprensione dei fenomeni associati alle eruzioni vulcaniche ha ispirato dei colleghi dell’Università di Oxford con cui collaboriamo ad architettare un nuovo metodo di estrazione sostenibile del rame.

Di recente hai scritto un interessantissimo articolo divulgativo sul tema dei materiali per la transizione energetica. Ci dai un po’ di dati con i quali capire quanto il problema sia ben più complesso che acquistare una macchina elettrica?
Siccome le menzioni, utilizzerò le auto elettriche come esempio perché permettono di presentare il nucleo del problema. Un’auto elettrica richiede 5 volte più rame di un’auto a carburante, quindi se vogliamo liberarci dal giogo, anche geopolitico, dei combustibili fossili, avremo bisogno di molto più rame di quello che estraiamo adesso. Quanto ne estraiamo in Europa? Praticamente niente. Un recente articolo racconta che ne importiamo l’82%, e ne avremmo… ma nemmeno sappiamo precisamente quanto, perché i finanziamenti per cercarlo sono stati tagliati molti anni fa. Ora immaginiamo di aver raggiunto l’obiettivo di avere solamente veicoli elettrici, considerando la situazione attuale, invece di essere dipendenti dal petrolio, saremmo alla mercé dei paesi da cui importiamo rame, che in più lo estraggono con metodi sui quali non abbiamo alcun controllo e rimarrebbero ad alto impatto ambientale e sociale. Riciclare? Purtroppo ancora non basta, perché il rame è utilizzato molto a lungo prima di poter essere riciclato. Pensate ai cavi per infrastrutture come le ferrovie: il loro ciclo di vita è di decine di anni e non abbiamo decine di anni per realizzare la transizione energetica. Il litio di cui abbiamo bisogno per le batterie? Ci vorrebbero altre 10 pagine… ma un collega del CNR di Pisa, Andrea Dini, potrebbe aver trovato la maniera per estrarre questo elemento così importante in Italia ed in maniera sostenibile.

Quando parli di estrazione sostenibile non posso non farti una domanda davvero scomoda. Oggi abbiamo una direttiva europea sui critical raw materials, ossia proprio questi metalli essenziali alla transizione energetica, che impegna i nostri paesi a identificare ed estrarre queste risorse in casa, non solo per evitare la dipendenza ma anche e soprattutto perché uno dei lati oscuri del nostro sviluppo è proprio quello di andare a predare risorse lontano, nei paesi dove i diritti dei lavoratori e dell’ambiente vengono sistematicamente calpestati.

Ma in qualunque paese d’Italia (e d’Europa) si venga a sapere che si sta cercando una risorsa, ecco immediatamente sorgere comitati spontanei contro, usualmente in nome dell’ambiente, soprattutto per la paura, spesso giustificata ma a volte anche no, di subire danni irreparabili. Ora è chiaro che nessuno desidera avere sotto casa una miniera, una centrale elettrica, come una discarica o un deposito di scorie nucleari. Ma la pratica di utilizzare energia e produrre rifiuti facendo pagare ad altri il costo ambientale e umano del nostro sviluppo a me pare immorale.

La domanda è: la ricerca scientifica può contribuire davvero a rendere l’estrazione di risorse compatibile con l’ambiente umano e naturale, incluso il valore della bellezza che in Italia è un bene d’eccellenza, sia in termini di sicurezza che di impatto?
Ne sono convinto e l’esempio di cui parlavo riguardo all’estrazione del rame lo dimostra. Se andasse in porto il progetto su cui stiamo lavorando saremmo capaci di estrarre rame da un pozzo di qualche decina di centimetri di diametro invece che da gigantesche miniere di chilometri di diametro e centinaia di metri di profondità.

 So che molto lo deve fare la politica in termini di legislazione volta al bene comune e non all’interesse privato, di valutazioni inclusive e di monitoraggio, ma noi scienziati quanto e in che termini possiamo contribuire?
Una delle nostre responsabilità a mio avviso è quella di lavorare con gli amministratori per aiutarli a comunicare al pubblico quali sono i vantaggi e i potenziali problemi associati a delle azioni che devono essere intraprese per raggiungere l’obiettivo di una società equa e sostenibile. 

Il rischio maggiore in un periodo come questo è lo scoraggiamento. Mi racconti come stai affrontando tu questa sfida e cosa hai da dire ai nostri giovani perché continuino a lottare fino alla vittoria?
Il cambiamento climatico e la transizione energetica sono sfide da combattere per la sopravvivenza stessa della nostra specie. Lottare per inventare una società resiliente, equa e quindi sostenibile non è un’opzione, è la sola opzione. Non c’è tempo per scoraggiarsi. Personalmente questa sfida epocale mi ispira a spingere la mia ricerca al limite delle mie conoscenze per cercare di trovare qualsiasi soluzione che ci possa aiutare. Il mio contributo è scientifico, ma il contributo di chi protesta e combatte per passare il messaggio che ognuno di noi deve impegnarsi è ancora più importante. Sparse iniziative scientifiche non avranno effetti se tutti noi non siamo convinti di imbarcarci in questa sfida. Sì, è un momento difficile e intenso ma chi vuole restare a guardare? Io non spero che i nostri giovani risolveranno i nostri problemi: sono certo che passeranno alla storia come la generazione che ha salvato l’umanità.   

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