Fino a ieri i social network facevamo a gara a chi aveva le stories più belle. Oggi la guerra è a colpi di voce. Si sta affermando, negli ultimi tempi, un forte desiderio di esperienze vocali. Oltre gli emojj. Oltre i video. Oltre i testi.

Una prima motivazione potremmo trovarla in quella sorta di affaticamento da Zoom analizzata dai ricercatori della Stanford University: ossia quell’insieme di stanchezza, stress e straniamento che capita di provare dopo aver passato ore a parlare a uno schermo.
Ma non è solo questo. È sempre più forte l’esigenza di costruire connessioni online più profonde e intime.
In realtà, la voce è presente, è già da qualche tempo nelle nostre vite quotidiane. Pensiamo all’universo dei podcast che hanno avuto una crescita del 15% rispetto ai dodici mesi precedenti: si è passati dai 12 milioni di ascoltatori nel 2019, ai 13,9 milioni del 2020, un aumento di quasi due milioni di persone (dati Nielsen).
Ma i podcast, in realtà, si inseriscono nella linea comunicativa del dialogo uno a molti.
Al contrario il fenomeno a cui stiamo assistendo è la nascita e la moltiplicazione di tante stanze della conversazione orizzontali, da molti a molti, ma non troppi..

clubhouse

Il fenomeno Clubhouse


Il primo è stato ClubHouse – social network basato sull’uso esclusivo della voce.
Si tratta di una chat room virtuale, di solo audio, in cui le persone possono ascoltare e intervenire su svariati argomenti. Su questa chat room non ci sono né immagini né video, ma solo voce.
Un’app come questa offre un nuovo modo di comunicare, che non implica la rivelazione della propria identità, ma solo del proprio parlato. Teniamo presente che ha appena raccolto 100 milioni di dollari da alcuni dei più quotati investitori della Silicon Valley.
Uno tra i maggiori sostenitori del sonoro come futuro dei social è Jam Dorsey, CEO di Twitter. Questa piattaforma è pensata appositamente per esprimere in modo rapido pensieri e idee, ma questi si tramutano spesso in discussioni. Il consulente strategico per aziende globali business-to-consumer Peter Harengel, si chiede tra l’altro in un suo articolo per la rivista Entrepreneur

“se le persone potessero effettivamente sentirsi e parlarsi, non filtrerebbero molti insulti e attacchi maleducati?“


Così, nell’ultimo anno, Twitter ha iniziato a introdurre la possibilità di inviare tweet audio di 140 secondi: la funzione è ancora in fase di test, ma sembra che gli utenti la stiano apprezzando.
Altro caso molto interessante è quello del New York Times. La storica testata ha avviato una collaborazione con Locker Room, un’altra app audio, particolarmente dedicata a tifosi e appassionati di sport, per creare contenuti audio dal vivo. Vere e proprie chiacchiere da bar.
Lo scorso febbraio Spotify ha annunciato una serie di nuove partnership di podcast e nuove funzionalità per i suoi creatori di audio, tra cui l’acquisto proprio di Locker Room. Instagram, invece, ha aumentato il numero di persone che possono chattare, esibirsi e collaborare in una trasmissione all’interno delle sue Live Room – da due a quattro.
Anche LinkedIn ha annunciato la nascita di una piattaforma simile a Clubhouse, che sarà però a tema professionale.

E altri ne verranno, senza dubbio. Le persone sono pronte a integrare queste nuove possibilità audio nella loro vita quotidiana, in parte proprio perché sono molto meno invadenti dei social media tradizionali.
Ma davvero è così?


In realtà, i social vocali, se è vero che offriranno sempre più esperienze intime e spontanee spostando l’attenzione sulla necessità di community fortemente interessate alla discussione, d’altro canto rimarranno di nicchia, mentre la voce avrà dimensioni più ricche e immersive.
La voce dà vita ad un ecosistema mediale diverso da ciò a cui siamo abituati dove i social audio devono investire sulla qualità dei contenuti, sulla privacy e sulle modalità di consumo convergenti.

Ascolta. Si fa social!!

Hai provato esperienze di social audio? Le vuoi condividere nello spazio commenti?

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