L’equilibrio del critico: incontro con Stefano Coccia
Stefano Coccia è un critico teatrale come pochi, capace di usare il suo senso critico per selezionare lavori pieni di freschezza e originalità.
Stefano Coccia è un critico teatrale come pochi, capace di usare il suo senso critico per selezionare lavori pieni di freschezza e originalità.
Tra tanti attori, registi, autori che affollano le platee odierne c’è ancora qualcuno che dedica il proprio sguardo a scovare realtà inedite, a confrontarsi con il proprio senso critico fino a farne un mestiere vero e proprio: incontriamo il critico teatrale Stefano Coccia per scoprire i restroscena di questa attività in via di estinzione.
Esiste ancora la critica teatrale e cosa fa?
Questa è già una bella domanda! Da un lato, rispetto alla critica cinematografica, letteraria o musicale, quella teatrale mi si presenta così, con un’influenza reale orientata verso ambienti maggiormente ristretti e rivolta pertanto a un pubblico di appassionati veri. Sulla stampa tradizionale vengono pubblicati meno contenuti rispetto al cinema, in compenso gli articoli tendono nella media a essere più equilibrati, onesti. Nel mio caso opero su riviste che non sono esclusivamente di teatro, ma pubblicano anche pezzi incentrati su cinema, libri, mostre, concerti. Conosco però altre riviste e siti orientati esclusivamente verso la critica teatrale, che sembrerebbero operare bene. Così come operano bene diversi uffici stampa.
Come è diventato critico Stefano Coccia?
Negli anni dell’università, coerentemente coi miei studi, cominciai a scrivere recensioni, interviste e saggi cinematografici, prima per giornali di quartiere della mia città, Roma, poi per una storica rivista cartacea, Cinemasessanta, sulla quale esordii nella seconda metà degli anni ’90 con un saggio sulle prime pellicole di Michael Haneke. Le cose che pubblicai allora piacquero, destarono interesse, per cui decisi di continuare. Anche se le soddisfazioni economiche non erano esattamente quelle che mi sarei aspettato. Comunque, il mio debutto nella critica teatrale è avvenuto un po’ più avanti. Primi anni duemila. Scrivevo da qualche tempo su un sito di cinema, Cinemavvenire, che oggi non esiste proprio più, ma aveva all’epoca una piccola rubrica teatrale. La mia prima recensione (introvabile oggi al pari del sito, uno dei tanti casi di “damnatio memoriae”, proposti dalla precarietà del web e di quanto vi viene pubblicato) arrivò in seguito a una vicenda alquanto romanzesca.
Lo spettacolo in questione, molto intenso, risale al 2001 e aveva come titolo “Pasolini, Pasolini!”: una bella e sentita rilettura delle vicende giudiziarie del grande scrittore italiano, cui si era dedicato Paolo Mazzarelli per il CSS Teatro stabile di innovazione del FVG. Lo spettacolo dal Friuli venne portato anche a Roma. Come lo venni a sapere? Frequentavo già da qualche anno il Teatro Nuovo Giovanni da Udine, per un noto festival di cinema asiatico, il Far East, che si tiene tuttora lì. Mi ero preso una cotta per l’avvenente barista del teatro. E lei, nonostante fosse già impegnata, sembrava ricambiare… così, nel corso del nostro rapporto epistolare, mi disse che aveva visto a Udine questo spettacolo, che l’aveva emozionata molto; per cui, se avessi approfittato di quella trasferta capitolina per assistervi anch’io, sarebbe stato un bel modo di sentirsi uniti, anche a distanza. Io però non mi limitai ad “assistere”. Anche per prenderla in contropiede, impressionarla, volli proporre un articolo a Cinemavvenire, che in redazione piacque molto e da allora non mi sono più fermato.
Piccolo – ma necessario – passo indietro: in realtà già dalla metà degli anni ’90 ero uno spettatore teatrale abbastanza curioso, anche per via di una cugina più grande, che faceva all’epoca l’ufficio stampa di tanto teatro sperimentale. Grazie a lei ricevevo puntualmente biglietti omaggio per gli spettacoli di Giorgio Barberio Corsetti. E così fu lui, autore innovativo, importante, il primo vero amore a teatro. Tant’è che di certe sue cose ho un ricordo ancora parecchio nitido. Ad esempio mi esaltai per “La nascita della Tragedia. Un notturno”, suo spettacolo itinerante al quartiere Esquilino messo in scena nel 1996, con la partecipazione straordinaria di Franco Citti e un giovanissimo Filippo Timi nel cast.
Stefano Coccia ha al suo attivo anche una grande attività di organizzazione di rassegne, raccontaci le più importanti…
A livello teatrale non ho purtroppo mai organizzato nulla. Ben diverso, invece, il mio apporto in ambito cinematografico. Di rassegne, singole proiezioni e piccoli cineforum ne ho organizzati molti, in tempi e luoghi diversi. Oltre ad aver fatto parte di alcune giurie. Le esperienze più significative, in tal senso, sono rappresentate dall’aver presieduto la Giuria dei Giovani in ben due occasioni, al Genova Film Festival; come pure dall’aver fatto parte di giurie internazionali, soprattutto in ambito horror, altra mia grande passione. Tornando al versante organizzativo, l’impegno più grosso è costituito attualmente dall’essere Direttore Artistico di Indiecinema Film Festival, una rassegna internazionale di cinema indipendente totalmente autarchica, senza finanziamenti statali, senza sponsorizzazioni stabili, che si sta avvicinando in gran forma alla terza edizione.
Come ti rapporti con le situazioni che non puoi far altro che stroncare?
Sarò lapidario. Per quanto preferisca dedicarmi a quelle cose che mi hanno convinto, ispirato e motivato a scriverne in modo approfondito e partecipe, a livello filmico qualche stroncatura ci può tranquillamente scappare. Volendo anche feroce. Ma questo accade perché mi si propongono pure anteprime, presentazioni o altri eventi, al centro dei quali vi sono all’occorrenza produzioni cinematografiche alquanto commerciali, grossolane, modaiole, portatrici magari di messaggi ideologici stancamente conformisti e ruffiani, per cui può venirmi ancora più naturale mettere in guardia lo spettatore.
Con il teatro invece è diverso. Lì sono più io a scegliere cosa seguire, indirizzandomi verso spettacoli o rassegne che il più delle volte viaggiano lontano da quei palinsesti teatrali che prediligono semmai i grossi nomi (magari quelli resi già popolari dalla televisione), la risata facile, i contenuti alla moda. Assai difficile quindi che resti completamente deluso dalla maggiore originalità, freschezza e genuinità delle cose che, di volta involta, decido di seguire a teatro. Sono insomma selettivo in partenza. E questo non mi porta certo a stroncare con facilità.
Stefano Coccia spettatore quali platee occupa più volentieri?
Principalmente teatro off, teatro di ricerca, sanguigno cabaret o magari qualche serata di stand-up comedy.