Nel 2014 Whitney Wolfe Herd creava Bumble, la prima dating app che metteva le donne al centro. Herd veniva da Tinder, di cui è stata co-fondatrice e cui si dice abbia dato il nome, e voleva colmare non solo un vuoto di mercato, ma un vuoto sociale. Lo scopo era quello di creare, come Herd ha dichiarato in numerose interviste, uno spazio sicuro per le donne, in cui il potere di fare la prima mossa fosse saldamente nelle loro mani. Su Bumble sono solo le donne a poter mandare il primo messaggio.

A dirla tutta, su Tinder, come su Bumble, è possibile mandare messaggi solo dopo aver fatto un match con l’altra persona. Un primo filtro di questo tipo c’è su su ogni dating app. La questione di chi scriva per primo è tutto sommato poco rilevante – si tratta sempre di socchiudere una porta a una persona sconosciuta e saltare nel vuoto, e comunque, a differenza di quanto accada nella vita reale, quella persona può approcciare solo dopo aver ricevuto un cenno di intesa. Resta il fatto che Bumble, in gran parte grazie a questo twist, si sia costruito il brand di una dating app più sofisticata, rivolta a un pubblico attento.

Bumble, match tra AI e solo dopo un ok scatta l’incontro tra umani

Ma dal 2014 è passata un’era geologica, in termini digitali. Herd di recente ha fatto un intervento al Bloomberg Tech Summit di San Francisco, dove ha parlato apertamente di una certa stanchezza da parte delle donne sull’app: mandare tanti messaggi è estenuante. Aver fatto un match con una persona sulla base di qualche foto in cui quella persona mostra libri e dichiara di amare i viaggi non è sufficiente a predire il successo di un appuntamento. Qualsiasi bamboccione può posare in fronte a una libreria, e tutti in teoria amano i viaggi (chi è abbastanza onesto da ammettere che viaggiare è, nella grandissima maggioranza di casi, un tentativo fallito di fuggire dalla propria vita?) Per trovare il partner ideale abbiamo bisogno di più di questo. Per fortuna, ci aiuta la matematica.

E qui Herd mette in campo la sua visione utopica di un prossimo futuro, una visione cui, sembra di capire, Bumble sta già lavorando. Un futuro in cui creiamo un concierge in AI, che conosce i nostri sogni e le nostre pene, le difficoltà che attraversiamo, le emozioni che proviamo e quelle che vorremmo provare; e poi quel concierge digitale incontra altri concierge digitali. La nostra AI va a degli appuntamenti con altre AI, in tutta la città, fino a trovare quelle che corrispondono alle pochissime persone che davvero fanno per noi, e solo a quel punto ci scolliamo dalla sedia. 

Bello, eh? Quanto un calcio in faccia

Negli stessi giorni in cui Herd ha fatto il suo intervento, la Apple ha rilasciato una pubblicità per la sua nuova iPad. E’ il tipo di pubblicità che avrebbe scritto Lex Luthor. Una gigantesca pressa inesorabilmente schiaccia una massa di strumenti di creatività umana – strumenti musicali, colori, e quant’altro. Quando la pressa si rialza, quello che resta è finalmente ordinato, pulito, pristino. I colori sono scomparsi, il disordine non c’è più, e quello che resta è un’iPad – che permetterà, è l’implicazione, di ricreare tutto in digitale.

Dietro le dichiarazioni di Herd e la pubblicità della Apple c’è lo stesso nichilismo di fondo, un nichilismo che parte da buone intenzioni, forse – ma sappiamo tutti di cosa sia lastricata la via dell’inferno. L’idea, che è forse l’idea più pericolosa che stia girando in questo momento, non ha neanche tanto a che vedere con il mondo digitale di per sé. L’idea è che sia desiderabile, e possibile, rinunciare alle parti più incasinate, carnali, difficili, dell’esperienza umana.

L’idea è che sia desiderabile vivere in un mondo in cui i colori a olio non ci sporcano la casa, in cui i nostri esercizi al sassofono non disturbano i vicini. Un mondo in cui sappiamo in anticipo cosa aspettarci da un appuntamento, perché abbiamo studiato le variabili. Un mondo in cui nessuno fa battute fuori luogo, un mondo in cui, finalmente, sono tutti brave persone, e cioè, tutti come noi.

Ma non è così che funziona un essere umano. Siamo creature di carne. Sudiamo, sanguiniamo, ci sporchiamo le dita. Ci capita di avere del sesso formidabile con qualcuno appena uscito da Casa Pound; ci capita di non voler andare a letto con intellettuali straordinari. Prendiamo un libro di un’autrice che detestiamo e restiamo incollati a leggere fino al mattino. La vita non accade nonostante le imperfezioni, il caos, i disastri, gli errori. La vita è tutta lì.

Non voglio che delle AI si godano la vita al mio posto. Non voglio che vadano a letto con altre AI mentre io me ne sto su un divano a scrollare Instagram. E non voglio uno spazio creativo pulito, sterile come una sala operatoria. Voglio il caos. Voglio il disordine. Voglio i bicchieri di vino lanciati in faccia.

Voglio vivere, grazie tante

Il video con l’intervento di Whitney Wolfe Herd

Varrebbe la pena leggere David Abram, The Spell Of The Sensuous, un libro scritto da un antropologo americano, che parla di quanto l’esperienza sensuale sia al centro dell’esperienza umana e animale.

Condividi: