Riscoprire la visione poetica e multiculturale di Federico II nelle parole (attraverso lo sguardo) di Raffaele Nigro, che ha raccontato tante storie con la sua sapiente fantasia mista ad un neorealismo storico, civile, popolare. Questo accade leggendo il romanzo Il cuoco dell’Imperatore (edito da La Nave di Teseo).

Un primo Federico l’aveva portato a teatro con Giorgio Albertazzi negli anni Novanta, ma con “Il cuoco dell’Imperatore” (La Nave di Teseo) ha forse scritto il suo romanzo più potente.  

“Chiunque nasca qui, fin da ragazzo si impasta di Normanni, Bizantini, Svevi e briganti. Non ricordo quando sia nata precisamente la mia passione per Federico, ricordo però che da ragazzo passeggiavo a Melfi per il corso centrale che chiamavamo Santa Maria, alla fine del corso c’era il castello che si imponeva davanti a noi. Lo guardavamo con stupore, ogni volta e poi dall’altra sponda guardavamo le ragazze. A quei tempi a scuola eravamo separati, maschi e femmine, e nelle nostre passeggiate ci venivano gli occhi storti, da una parte le ragazze e dall’altra il Castello, guardavamo tutte e due con lo stesso stupore”.

Questo è Raffaele Nigro, ti può raccontare di storia, di imperatori, di un pittore, di un calzolaio, di un pescatore, di un rifugiato e di un episodio della sua educazione sentimentale e letteraria ma sempre con poesia cinematografica.

Raffaele Nigro, per raccontarci Federico, affida la narrazione al personaggio di Guaimaro, il cuoco ufficiale del giovane re di Sicilia, una voce popolare, quasi folk che mescola storie, magiche e maledette, ma anche quotidiane, a volte mitologiche altre religiose, facendo ricorso al linguaggio alla Nigro, permeato da quell’esperanto nato da cultura contadina arcaica e allo stesso tempo chisciottesca e poetica.

La storia: è il 1208 e Guaimaro delle Campane, originario di una famiglia di fonditori di Melfi, assiste all’uccisione di due carbonai ebrei. Preso dal panico, anziché aiutare i due feriti si dà alla fuga, arruolandosi al seguito della corte di Federico II di Svevia. Diventa un cuoco che si rivela anche un medico, capace di prendersi cura del corpo e dell’anima di Federico, avendo l’occasione di godere della sua corte animata da letterati, cantori, giuristi, scienziati e filosofi.

Guaimaro sarà al fianco di Federico per mezzo secolo vivendo e registrando la storia personale e pubblica dell’imperatore che si intreccia con la sua esistenza. Una scelta narrativa, quella di Guaimaro, che permette all’autore di raccontare Federico dal basso, nella sua quotidianità, raccontando allo stesso tempo la micro-storia personale con la cronaca generazionale del cuoco che incontra la macro-storia dell’imperatore e della Storia stessa.

Al centro del romanzo c’è una religiosità pagana e contadina, non un semplice residuo del cristianesimo, ma una religiosità che si è imbrattata nella cultura popolare, fra malocchio e fascinazione letteraria. Un romanzo antropologico che scrive la geografia della letteratura nella narrazione picaresca dei viaggi della corte di Federico, fra cavalli, libri, cartografie, cibo e soprattutto la poesia.

Federico era innamorato dei poeti che gli ricordavano i cantori dell’amore, da Norimberga a Gerusalemme passando per Palermo. Federico è stato un uomo completo nel bene e nel male, che ha aperto le porte a quell’umanesimo che sarebbe esploso poco dopo anticipando anche il Rinascimento di due secoli.

Cosa ha significato per il meridione Federico? 

Un visionario che ha immaginato un Mezzogiorno grande e per la prima volta, partendo dalla Puglia, dalla Sicilia, dalla Calabria e dalla Campania, l’idea di costruire l’Italia unita ed una Europa legata al Mediterraneo. Un uomo di Vitruvio steso su tutta l’Italia con le mani e la testa nella Germania europea e i piedi nell’acqua del Mediterraneo e in quella grandissima cultura araba che gli aveva permesso di portare a Salerno la conoscenza medica dell’anatomia, a Napoli la matematica e l’algebra (aveva conosciuto Fibonacci che si era formato ad Algeri).

La capacità di Federico di legarsi in un rapporto di amicizia con il sultano d’Egitto Malik al Kamil ha rappresentato una grande lezione politica: con il loro scambio, a distanza, con il loro confronto sulle quaestiones, i due uomini hanno fatto incontrare il pensiero e la storia di filosofi e scienziati di queste due grandi culture. Il Mediterraneo come ponte di ricerca continua, ricerca di pace, come nel caso di Gerusalemme. 

Ritratto di Federico II con il falco dal suo trattato De arte venandi cum avibus

Raffaele Nigro e le sue storie di Sud

Nigro ci racconta sempre di storie di Sud. Il suo è un invito rivolto soprattutto ai giovani del Mezzogiorno, a guardarsi indietro e a riscoprire che questa terra ha una grande storia intellettuale che va cercata soprattutto nella letteratura popolare, nelle architetture e in storie come quella di Federico II.

Non bisogna solo fuggire da questa terra, alla fuga deve seguire un ritorno, un Nostos quanto mai necessario per innamorarci ancora, difendere e curare i luoghi e le storie, per riconsegnare quella dignità intellettuale a un Sud che ha conosciuto e conosce grandi personalità.

Con il tempo uno scrittore assomiglia sempre di più ai personaggi dei suoi romanzi. Raffaele Nigro somiglia sempre di più ad Hemingway. Nigro ( Premio Campiello con I fuochi del Basento) con la sua scrittura è riuscito a curvare la direzione di un satellite, di un vento, di un mare, forse anche di un amore.

Ha ridato dignità alle terre dei Sud, ai briganti, ai contadini, a tutte quelle storie arcaiche rendendole a volte anche rock e quasi metalliche. È la curva la cifra stilistica di Raffaele Nigro, un piantatore di lune e di sogni in cui gli elementi si mischiano sino a fondersi. Nella linea della sua vita c’è scritto un nome. Livia.

Una donna epica, capace di sfidare fisica e ragione, fiera di un grande amore. Nigro è il maestro e l’uomo innamorato della vita. L’amico che mi ha insegnato la dolcezza della malinconia e la fantasia che piove sulla realtà.

Quando mi ha raccontato di aver consegnato ad Elisabella Sgarbi della Nave di Teseo Il cuoco dell’imperatore sembrava un bambino felice. Nigro mi ha fatto la promessa di venire al mio funerale, promessa fatta davanti alla sua Santa Maria delle Battaglie, la madonna del seicento in legno che lo protegge dalla letteratura stessa, che ne ha viste di storie e che ha scelto la casa e la fantasia di Raffaele Nigro per dimorarsi e proteggere per sempre.

Il cuoco dell’imperatore meriterebbe una fiction in prima serata sulla Rai, questo sarebbe un vero racconto del Sud, altro che filmetti di commissari e sostituti procuratori in salsa recita-parrocchiale. Ma forse arriveranno prima gli americani.

Raffaele Nigro con Cosimo Damiano Damato in uno scatto di Piero Lovero
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