Manifesto per una società senza barriere anagrafiche: 8 testimonianze e un film
Ageless significa "senza età", non è una negazione del tempo ma un modo di far comunicare le diverse stagioni della vita tra loro: Lidia Ravera lancia un Manifesto.
Ageless significa "senza età", non è una negazione del tempo ma un modo di far comunicare le diverse stagioni della vita tra loro: Lidia Ravera lancia un Manifesto.
“Per tutta la vita ho avuto paura di varcare la soglia delle vecchiaia. Era un territorio di sconfinata mestizia, dove la Malattia la Noia e la Morte, come tre mostri di antica bruttezza, scacciavano la vita, chiudevano le porte. O almeno così credevo” (Lidia, 1951).
“Ho tredici anni e tutti si aspettano che io non sappia niente. Mi fanno domande senza ascoltare le risposte. Il senso è sempre lo stesso: che cosa farai da grande? Nessuno si chiede che cosa faccio adesso. Soltanto i grandi “fanno?” (Giorgio, 2008).
“Ho vent’anni e devo sbrigarmi a essere felice. Dicono che ho tutta la vita davanti. E’ una frase minacciosa. Chissà se se ne rendono conto.Tutti citano la giovinezza ricordando quello che vogliono, quello che sperano di aver vissuto, quello che hanno deciso di rimpiangere” (Terry, 2001).
“Ogni sabato è un incubo: ho 18 anni e mi devo divertire, mi devo innamorare, mi devo sballare, devo ballare, devo provare emozioni e passioni. Devo approfittare della mia età come se fosse la stagione dei saldi. Devo comprare adesso. Subito. E il vestito mi deve calzare a pennello” (Tommaso, 2003).
“Ho 35 anni e sono appena sbarcato nell’età centrale della vita. In questi vent’ anni si gioca tutto. Il maschio bianco di età compresa fra i 35 e i 55 anni è il padrone del mondo. O almeno: così mi hanno detto. E io, come sono quotato? Sarò un fallito, uno sconfitto, un vincente? Che cosa ho combinato fino ad adesso?” (Cristian, 1986).
“Ho 40 anni e devo sbrigarmi a essere madre. Adesso o mai più. C’è qualcosa di sbagliato se non mi pongo il problema, c’è qualcosa di sbagliato se me lo pongo. C’è qualcosa di sbagliato anche se l’ho risolto” (Francesca, 1981).
“Ho 60 anni e sono innamorata. Mi sento ridicola. Mi sento fuori posto. Mi sento come l’imbucata a una festa. Pare che esista un’ età per innamorarsi e una per ricordarsi di quando si era innamorate. Ma chi l’ha detto?” (Lucilla, 1961).
“Ho ottant’anni e il mondo intero mi scansa, come un rifiuto solido umano. Tutta la vita che ho vissuto non è ricchezza accumulata ,ma usura degli organi, solitudine dei sentimenti, smemoratezza. Gli anni che mi restano da vivere, si deprezzano di giorno in giorno, e all’improvviso mi ritrovo fra le mani, soltanto moneta fuori corso” (Paolo, 1941).
Ho raccolto, e riscritto a modo mio, queste testimonianze, per dimostrare che ogni età, in ogni società, ha la sua croce finché la tua età la subisci, senza mai sporgerti sul prima o sul dopo, comunicando con chi lo sta vivendo, quel prima o quel dopo. Io mi sono rovinata giovinezza e maturità per la paura di invecchiare. Ora sono vecchia e felice come non sono mai stata. Piena di energia, libera, intelligente e leggera. Se qualcuno, qualcuno un po’ vecchio, una simpatica strega sulla settantina, mi avesse avvisata che la vecchiaia è creta morbida, che te la puoi modellare addosso e viverla come ti pare, sarei stata meno infelice.
Una società in cui le età della vita non comunicano fra loro è una società fragile, in cui tutti hanno paura del tempo. E quindi del racconto. Perché il racconto esiste soltanto se esiste il tempo. Tutte le storie incominciano così: c’era una volta…
Se vogliamo giocare col trascorrere del tempo dobbiamo mescolare le carte, disordinare le gerarchie, incontrarci. Fra diversi. Adolescenti e vecchi. Giovani e maturi. Maturi e vecchi. E se qualcuno riesce a testimoniare per noi dal momento del trapasso, bene. Grazie: avremo meno paura di vivere.
Sul tema, consiglio di rivedere Youth, un film del 2012 di Paolo Sorrentino sulla vecchiaia di due amici in un resort svizzero: Fred (Michael Caine), direttore d’orchestra di fama internazionale che è sprofondato in uno stato di apatia e Mick (Harvey Keitel), regista il cui obiettivo e ossessione è dirigere un testamento che sia anche il suo capolavoro.
Entrambi, immersi nella società contemporanea, sono agli sgoccioli della propria carriera: trascorrono il tempo passeggiando, ricordando, osservando gli altri, in un vuoto in cui testimoniano (e venerano) il simulacro del passato e della giovinezza. A trovare pace e accettazione sarà Fred: accolta la fine della giovinezza, riuscirà a immergersi compiutamente nell’unica cosa che non è soggetta al consumo nel tempo: la bellezza della (sua) musica.