La vita di Michela Murgia è stata fonte di ispirazione trasversale per moltissime persone, come anche occasione di ostracismo e critica ossessionata e continua da parte di altrettante!

La fase finale della sua esperienza terrena e la morte si stanno rivelando una profonda occasione di riflessione e consapevolezza per una parte della società che vuole guardare avanti in una prospettiva di contemporaneità nella necessità di superare le convenzioni date da modelli sociali, come il patriarcato, che hanno generato mostri come l’esclusione delle donne dalle “stanze dei bottoni” in politica, lavoro, istituzioni, o la repressione della libertà di amare per le persone LGBT+.

Anche il suo funerale è stato per tanti versi inedito: una celebrazione della vita di Michela Murgia, al presente, anzi al futuro come l’ha declinata l’amica di una vita, Chiara Valerio, proprio durante l’ultimo saluto.

Molto fecondo anche il modo in cui la morte di Michela Murgia sta interrogando l’intero mondo cattolico italiano.

Illuminante il messaggio con cui il cardinale Matteo Zuppi, presidente della CEI, ha deciso di ricordarla, e che è stato letto durante il funerale:

Desidero unirmi a voi in questa liturgia di saluto, quando sperimentiamo dolorosamente il limite della vita ma anche dove siamo aiutati a guardare oltre. Affidiamo a Dio Michela. Il libro della sua vita non è finito e le sue pagine continuano a essere scritte con lettere di amore in quella lingua universale dello Spirito che rivela la grandezza di ogni persona e l’eterno che è nascosto in tutti noi. Ed è un libro che Michela ha scritto con passione e esigente ricerca di assoluto, vissuta per davvero non per compiacimento di sé o perché aveva tempo da perdere. Non lo aveva e non lo ha avuto tempo da perdere.
“Ti ho pensato tanto in questi giorni delicati, pregando per la tua missione di pace e ringraziando che in questo tempo difficile cercate strade possibili per salvare vite. Prego per te e per chi anche stanotte avrà paura in un rifugio, con i suoi bambini. Fai il meglio che sai”. Così mi aveva scritto ancora pochi giorni fa sostenendo la missione di pace. E come risposta alla mia domanda sulla sua condizione aggiunse: “La qualità di vita è alta, non ho dolori e sono amata. Il resto è il lavoro del sorcio: rosicchiare ogni giorno un giorno in più”. Mi aveva colpito che si preoccupava degli altri in un momento così difficile per lei. Ma questo è il segreto dell’amore, che poi è il segreto di Dio. E Dio è libertà proprio perché ama e vuole essere amato non da servi, ma da amici, perché l’amore vero unisce, genera legami strettissimi possibili solo se è libero, gratuito. Anche quando non eravamo d’accordo Michela con la sua ricerca appassionata ci aiutava a trovare i veri motivi e a non essere scontati né supponenti. Oggi mi e ci sembra impossibile che tanta forza di vita, più forte di quella malattia che era sua (hai ragione, Michela, la fragilità è nostra, sempre dentro di noi, non è un alieno che ci ruba il benessere) sia finita. Michela alla fine, che è il suo inizio, “capirà” pienamente quello che cercava con tutta se stessa e troverà tutte le risposte. Certamente discuterà su qualcosa ma nell’amore pieno, senza riserve, senza paura. Capirà quello che Gesù ci insegna a vivere sulla terra, cioè ad amarci senza ideologia ma nel comandamento del suo amore, cominciando dai suoi fratelli più piccoli, i poveri, le vittime, i soli. Capirà che è proprio vero che “sarà una comunione continua, senza intervalli” e vivrà il passaggio dal “non ancora” al “già”. In pace. Michela, continua a pregare per noi.

Il testo del cardinal Zuppi esprime, a mio giudizio, la visione della Chiesa verso cui la sta traghettando Papa Francesco: una Chiesa casa veramente di tuttə, dove a volte si corre, a volte si zoppica ma poi ci si sostiene sempre a vicenda. Una Chiesa a cui non si aderisce supinamente come a una setta, senza farsi domande, o sottoscrivendo un regolamento come per un Club esclusivo.

Michela Murgia, durante la sua intera esistenza, è vissuta dentro la Chiesa intendendola proprio in questa accezione: una comunità di persone libere che camminano insieme. È  stata animatrice dell’Azione Cattolica e instancabile ricercatrice del rapporto tra l’umano e il trascendente inteso attraverso le relazioni tra le persone.

Non a caso nella elaborazione della sua visione teologica, presente in moltissimi scritti, si intravedono evidenti e costanti riferimenti alla teologia della liberazione, quel movimento nato in Sudamerica nel 1968 che, nelle parole di uno dei suoi fondatori, Gustavo Gutiérrez,

“ha tentato di interpretare la fede a partire dalla prassi storica concreta, sovversiva e liberatrice, dei poveri di questo mondo, delle classi oppresse, dei gruppi etnici disprezzati, delle culture emarginate”.

Questo afflato si rintraccia in una delle ultime pubblicazioni di Michela Murgia, God Save the Queer (Einaudi, 2022).

“Da cristiana confido nel fatto che anche la fede abbia bisogno della prospettiva femminista e queer, perché la rivelazione non sarà compiuta fino a quando a ogni singola persona non sarà offerta la possibilità di sentirsi addosso lo sguardo generativo di Dio mentre dichiara che quello che vede “è cosa buona”.

Con questo spirito, in una piovosa sera di gennaio di 6 anni fa, Michela Murgia volle incontrare a Roma, presso la Comunità Cristiana di Base di S. Paolo, i cristiani LGBT+ romani di Nuova Proposta e Cammini di Speranza.

La Murgia era già famosa, aveva vinto il Campiello ed era stata già protagonista di diversi programmi televisivi.

Eppure accettò di incontrare quelle persone, che per secoli erano vissute nascoste agli occhi della Chiesa, destinatarie solo di giudizi escludenti, in un contesto molto intimo eppure pubblico, senza nessuna enfasi mediatica, con la curiosità di conoscerle e di lasciare loro un invito alla vita.

Ho reincontrato Michela Murgia per lavoro altre volte, ma quella serata la porto nel cuore.

Insomma, Michela Murgia propone alla Chiesa un cammino comunitario in cui non ci sia spazio per il giudizio e ogni persona abbia diritto alla propria competenza esistenziale.

Questa visione libera e forte di appartenenza alla Chiesa (che sicuramente sarà al centro delle discussioni del prossimo Sinodo, come già si legge nell’Instrumentum Laboris, documento preparatorio recentemente pubblicato), non è condivisa ovviamente dall’intero mondo cattolico, soprattutto delle frange integraliste che, nei giorni scorsi, si sono fortemente ribellate all’idea che Michela Murgia possa essere addirittura definita cattolica in virtù dei suoi passaggi esistenziali (si è divorziata, ha scelto una sua famiglia queer di elezione, formata da persone che costituivano la sua rete affettiva, inclusi i 4 figli d’anima, si è sposata con rito civile in articulo mortis con Lorenzo Terenzi) o per la visione di società che propone.

Una singolare critica viene da un esponente di questo mondo integralista, Costanza Miriano, autrice di libri come  Sposati e sii sottomessa, o Quando eravamo femmine, recensito a suo tempo in modalità lapidaria dalla Murgia:

“Di questo libro era meglio l’albero”

Di fronte alla morte di una persona, si può scegliere di comportarsi in modalità diverse:

1) rimanere in un silenzio, rispettoso del dolore altrui;

2) cercare di capire cosa della vita di quella persona, come spunto di riflessione;

3) agganciarsi a uno specifico punto della narrazione esistenziale della persona in questione e partire da lì per rappresentare la propria visione ideologica.

La Miriano sceglie l’ultima delle 3 strade possibili, guidata da un probabile impeto narcisista, quello di chi sente l’impellente necessità di parlar di sé anche quando le circostanze porterebbero a fare luce sulla persona di cui parliamo:

Parte con un riferimento alla famiglia (definita problematica) di origine della Murgia (ricordiamo che la Murgia si allontanò dalla sua famiglia disfunzionale molto precocemente, a 18 anni e mezzo, per incompatibilità con la violenza e la coercizione agite dal padre) per ribadire che la famiglia ci vuole eccome.

Ma quale famiglia? L’unica possibile per la Miriano: quella composta da un uomo, una donna e figli che crescano con i genitori. In un esercizio di forte contraddizione, descrive appunto perfettamente la famiglia d’origine della Murgia: quella da cui è scappata per sua incolumità e per cercare di vivere e non sopravvivere! Probabilmente per la Miriano quel tipo di famiglia ha funzionato, per la Murgia no. Ognuno vive secondo le esperienze che accumula.

Il punto successivo è il giudizio sulla famiglia che la Murgia si è scelta e che la Murgia stessa ha definito famiglia queer spiegando molto bene il concetto: un nucleo di relazioni fondate  sullo ius voluntatis, sul diritto della volontà.

La Miriano liquida questa visione alternativa alla sua descrivendola “una comune di dieci persone nella quale i ruoli si cambiano di continuo tutti (nel senso che tutti vanno a letto con tutti?)”. In queste poche parole risiede il senso pieno di una visione giudicante, non accogliente e approssimativa.

La Miriano, che dopo la stroncatura del suo libro da parte della Murgia, dubitò che lo avesse letto, ci fa intuire di aver letto poco e nulla della Murgia, sicuramente non le interviste in cui ha spiegato molto bene la sua idea di famiglia.

Ma analizziamo nel dettaglio: una famiglia queer si differenzia da una comune perché quest’ultima (vedi la definizione dello Zanichelli) consiste in un “gruppo di persone che accomunano, spec. su base egualitaria o paritetica, abitazione e mezzi di sostentamento”.

Una famiglia queer è, invece, quella composta da persone che si scelgono a prescindere da legami legali e di sangue, appunto secondo lo Ius voluntatis, e che possono anche non condividere spazi ed economia.

Che in questa idea di famiglia i ruoli cambino continuamente è una idea della Miriano e non se ne trova traccia in alcuna dichiarazione della Murgia.

Perché parlarne? Evidentemente per dare sostegno alla propria visione ideologica di famiglia. Funzionale a questo scopo anche tirare in ballo l’ipotesi della sessualità indiscriminata e indifferenziata che è un azzardo assolutamente arbitrario della Miriano e che risulta anzi piuttosto inquietante perché sembrerebbe indicare che le relazioni tra persone adulte possano essere guidate solo dalla sessualità!

La conclusione del post “a noi interessa la nostra fede” è la coerente chiosa del ragionamento complessivo perché ritorna sul vero senso del post stesso: sostenere e diffondere la propria visione ideologica anche nel momento in cui si pretende di parlar delle idee di un’altra persona.

Chi nega a Costanza Miriamo il diritto alla sua fede? E perché alla Miriano non importa che altre persone abbiamo diritto alla propria visione di fede? Forse perché la propria visione di fede diventa per alcuni un elemento così identitario da rendere disgregante per l’identità stessa della persona che qualcuno metta in dubbio l’unica declinazione ritenuta possibile  di quella fede.

In questo senso Michela Murgia ci ha insegnato a vedere un mondo nuovo: dove ci sia spazio per tuttə e dove niente potenzialmente va in conflitto perché tutto accoglie e tutto è accolto.

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