La sentenza della Corte d’Appello di Torino del 31 marzo 2022  assolve un ragazzo che era stato condannato per stupro in primo grado. Lascio qui l’allegato della sentenza. 

I due ragazzi si conoscevano già dal 2019, era nato qualcosa di rapidamente finito. Poi si rivedono, e il giorno del loro incontro la ragazza si fa accompagnare in bagno da lui per tenergli la borsetta, lascia la porta socchiusa perché senza chiave, lui entra in bagno e la stupra, fa ricorso e viene assolto.

Scoppia un caso mediatico, soprattutto sulla credibilità della sua vittima.

Ho la sua stessa età, un’età che non basta per dimostrare la mia vicinanza o giudicare le mosse di quei 10 minuti in bagno in base a quelle della generazione z, ma per unire le voci alle urla messe in dubbio perché “nessuno ebbe ad udire”. (ogni frase in corsivo è ripresa testualmente dalla sentenza).

Dettagli scarni di una sentenza che mette nero su bianco un corpo senza immagine, una violenza senza sangue, perché è questo il problema, se non si vedono segni sulla pelle, non c’è. 

Assolto l’accusato per “mancanza di elemento soggettivo”.

Cercando nei meandri di una grammatica giuridica lontana da quella di quel bagno, ho scoperto che questo significava che il soggetto, l’uomo, tolto dal suo elemento soggettivo era un oggetto non sensiente che si muoveva inconsapevole nel mondo, non capendo che stava mettendo il suo elemento oggettivo in una vagina di una ragazza che non voleva.

Ma se non riesci a capire, il problema si risolve iniziando ad ascoltare.

Quanti semafori mancano dal commissariato alla credibilità? Perché dobbiamo dire la solita frase “cosa ci guadagnerebbe a dire il falso” per arrivarci? Ma facciamolo, ci guadagnerebbe un reato per falsa testimonianza, per lui invece dire il falso è diritto di difendersi. 

C’è una bella differenza no?

Analizziamo i fatti, due sentenze di esiti opposti. Non è forse la parola che conta più dei fatti? E’ questa la mia critica, si chiama cultura e il linguaggio la cultura ce l’ha eccome quando si descrivono i fatti in casi come questi, molto più delicati di una mano che ruba un portafoglio.

Ma non ti preoccupare, quando si chiude una porta si apre un portone, spero sia quella della Cassazione e non la consolazione di una frase fatta per la vittima.

Qualsiasi cosa potrà essere usata contro di te, anche una cerniera, chiudi la bocca con la zip prima dei pantaloni, soprattutto quando sei ubriaca. 

Non è in grado di descrivere, a causa del suo stato di alterazione”. 

Io invertirei in alterazione di uno Stato che non è in grado di descrivere i fatti zeppi di giustificazioni che si divincolano dall’origine e dalla responsabilità del problema, da una cerniera “di bassa qualità”, a lui che dopo l’ha trovata, anche se calpestata sotto la dignità di lei, alla conoscenza pregressa che l’ha avvisata dell’ irrefrenabilità ormonale di lui, di una vescica “sorprendente” per voler andare in bagno proprio alla yogurteria del ragazzo, di aver “lasciato intendere” per una porta non chiusa a chiave che lui potesse entrare dentro. Sorprende la sottigliezza sensibile di intravederci una tattica seduttiva però poi non capire la differenza di calibro emotivo tra entrare in una porta ed entrare in un corpo che passa il pene dell’inferno. 

E’ questa la retorica che provoca la sfiducia nelle nostre amiche di denunciare, che va oltre lo stabilire l’innocenza o la colpa dell’accusato, perché non è mio compito, anche perchè non ho gli strumenti per entrare nel merito e giudicare, ma da cittadina leggo tra le righe un atteggiamento che sposta il focus del problema e si sottrae ad una sensibilizzazione, oltre a non leggere tracce di norme giuridiche, tanto l’importante è non trovare traccia di sperma.

Serve un corso di educazione sessuale per insegnare che per avere un’erezione e per infilare un organo genitale duro come un martello e per considerarlo stupro, qualora la donna non fosse consenziente, non serve venire e completare la scultura immobilizzata con lo scalpello?

Ma poi è penetrato o no, quanto?, perché se ci ha solo provato, seppur facendo forza, allora non vale, non ci serve lo spray al peperoncino, ma un righello. E’ un po’ come un tappo sottovuoto, se provi ad aprirlo con tutte le forze, ma lo allenti solo, è come se non lo avessi fatto, solo perché non è aperto del tutto.

I centimetri sembrano cambiare le sorti, ma c’è un passaggio precedente, cambia la soglia di sopportazione, non quella del dolore. 

Quando si capirà che la violenza sessuale è in primis psicologica e poi entra nei muscoli? 

Leggendo la sentenza mi chiedevo, ma lei dov’è? Una protagonista assente.

Aspettavo di trovarla ad un certo punto nella sfilza di quelle parole grandi e formali cadute sopra lei piccola, ventenne, spogliata della formalità di ogni linguaggio, ma vittima anche di questo.

Come fanno i fatti a non considerare l’origine di conseguenze psicologiche, emotive, interiori che sono la causa di ogni processo? Nulla di tutto questo è presente, tutto asettico come si immaginano le pareti della mente bianca imparziale di un giudice. E’ perché non vede, colpa della Dike bendata di preconcetti radicati, vedere per credere, ma se si iniziasse a credere? Si inizierebbe a vedere qualcosa secondo me.

Allora cerchiamo questa vittima fantasma in tutti i fischi, le palpate in discoteca, i nostri volti che fingono nonchalanche quando si avverte una presenza che ti segue e altrettanta nell’abbassare lo sguardo che incrocia la sua ombra, in tutti i maschi stupendi a cui buttare addosso il pregiudizio di una colpa maschile, in tutti quelli che non vogliono capire che se prendessero parte in questa lotta sarebbero molto più liberi anche loro, in chi fraintende che indignarsi per questi fatti e queste parole non vuol dire disprezzare il gioco bellissimo dell’attrazione sessuale e dell’eros, ma il non consenso, del linguaggio del potere che sottovaluta il potere del linguaggio.

Sono arrabbiata in nome di quel popolo italiano scritto a capo di quella sentenza.

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