Dal 19 al 22 dicembre 2024, presso il il Teatrosophia a Roma in scena Nevischio, una delicata storia di tensioni familiari, drammaturgia Daniele Veroli ed Elena Cifola, regia Matteo Fasanella, con Carmelita Luciani, Nunzia Ambrosio, Marta Cherni, Lorenzo Martinelli, Antonio Buonocunto. Ne parliamo con una delle sue protagoniste: Nunzia Ambrosio.

In che senso questo testo parla di conflitti familiari?
Il testo di Nevischio parla di conflitti familiari in un senso profondo e universale, mostrando come i legami di sangue possano essere terreno sia di unione sia di scontro. Le dinamiche tra le tre sorelle evidenziano tensioni latenti, rivalità e incomprensioni accumulate nel tempo. Il testamento della madre diventa il catalizzatore di questi conflitti, poiché costringe le sorelle a confrontarsi, non solo con il loro passato condiviso, ma anche con le verità nascoste e i risentimenti mai espressi. Questo obbligo, inizialmente economico, si trasforma in un’opportunità – dolorosa ma inevitabile – per rivelare ci che ognuna ha sempre cercato di celare. In definitiva, Nevischio esplora la famiglia come luogo di conflitto ma anche di potenziale riconciliazione, interrogandosi su quanto siamo disposti a scendere a patti con chi ci conosce meglio e ci fa soffrire di più.

Lei che personaggio interpreta e che relazione ha con le altre protagoniste?
Interpreto Marta, la sorella mediana. È un personaggio complesso, che si distingue per la sua apparente serenità e capacità di mediazione. Nonostante sembri la più risolta tra le tre sorelle, Marta nasconde un segreto molto importante che custodisce da molti anni. Marta ha un ruolo centrale nelle dinamiche familiari: è quella che cerca di mantenere l’equilibrio e di mettere pace tra Valentina, la sorella minore, e Anna, la maggiore. È una figura che si pone come punto di riferimento, cercando di evitare che i continui litigi e scontri tra le altre due degenerino. Tuttavia, questa apparente armonia che cerca di creare è in contrasto con il conflitto interiore che vive, dovuto al segreto che porta dentro di sé.

In che tipologia di scena vi muovete?
In Nevischio ci muoviamo in una scena che rappresenta un ambiente domestico intimo e dettagliato, capace di evocare immediatamente l’atmosfera di una casa familiare. La scenografia è suddivisa in due spazi principali: la cucina e il salotto, che fungono da luoghi centrali per le interazioni tra i personaggi. La cucina, con i suoi oggetti quotidiani, richiama un senso di familiarità e tradizione, mentre il salotto, più formale, diventa il teatro dei momenti di confronto e delle tensioni più forti. Un elemento chiave della messa in scena è l’uso delle luci, che crea un forte contrasto tra l’interno e l’esterno. All’interno, le tonalità calde sottolineano l’idea di rifugio domestico, pur tra le difficoltà, mentre le luci fredde visibili attraverso la finestra evocano il gelo della tempesta di neve e, simbolicamente, la distanza emotiva che spesso separa i personaggi.

Di che tipo di nevischio si parla? Solo atmosferico?
No, in Nevischio il fenomeno atmosferico non è l’unico significato del titolo. Il nevischio, infatti, diventa una metafora potente che attraversa tutto lo spettacolo. Sul piano atmosferico, la tempesta di neve blocca fisicamente le sorelle nella casa materna, costringendole a confrontarsi e impedendo al notaio di raggiungerle. Ma il nevischio assume anche un valore simbolico: rappresenta la confusione emotiva, il freddo dei rapporti familiari e la difficoltà di vedere chiaramente attraverso il “ghiaccio” dei rancori e delle incomprensioni accumulati nel tempo.

Secondo lei fino a che punto siamo disposti ad accettare davvero coloro che ci sono vicini per il sangue? 
Accettare veramente chi ci è vicino per legami di sangue è una sfida che spesso mette alla  prova i nostri valori più profondi. Nevischio esplora proprio questa difficoltà, mostrando come le relazioni familiari, pur essendo radicate in un legame innegabile, siano spesso intrise di aspettative, giudizi e incomprensioni. Tuttavia, il sangue da solo non è sempre sufficiente a garantire una vera accettazione. Richiede un impegno attivo, il coraggio di affrontare i conflitti e una volontà sincera di vedere oltre il rancore e le maschere che ciascuno indossa. Personalmente, credo che il limite dell’accettazione si trovi nella capacità di riconoscere la complessità dell’altro, accettandolo nonostante i difetti, ma senza permettere che ci comprometta il proprio equilibrio emotivo. Il legame familiare ci sfida ad essere tolleranti e aperti, ma questo deve essere bilanciato con il rispetto per noi stessi.

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