Sempre più ragazze arabe stanno lottando contro luoghi comuni della società attraverso i social. Per riscrivere un sistema troppo ingiusto. E soprattutto pericoloso.

Secondo l’ultimo Report sul Gender Gap del World Economic Forum, i Paesi del Medio Oriente, insieme a quelli del Nord Africa, sono quelli rimasti più indietro sull’uguaglianza di genere. Iraq, Siria e Yemen sono i tre Paesi, tra i 156 presi in considerazione, con i tassi più bassi di partecipazione femminile al lavoro. In Libano, Kuwait, Oman, Yemen e Iran la percentuale di donne nei rispettivi parlamenti non supera il 6%.

In particolare Instagram rappresenta il social network attraverso il quale è possibile offrire una narrazione diversa della realtà e della società, grazie alla narrazione visual e per immagini, permettendo di andare oltre una società del silenzio e della solitudine. Grazie all’attivismo delle donne.

In passato (nel 2015) era successo che Rupi Kaur (2,3 milioni di follower), una poetessa indiana, avesse condiviso sulla sua bacheca Instagram una sua foto dove appariva sdraiata sul letto con indosso un pigiama macchiato di sangue come le lenzuola. Lo scatto, ha raccontato Rapi Kaur, apparteneva a un progetto fotografico per un corso di retorica visiva. Le segnalazioni arrivate a Instagram portarono alla cancellazione dell’immagine. Il social network poi, però, ha ripubblicato la foto e ha chiesto scusa.

rupi kaur

Nour Eman e il suo profilo Instagram
di educazione sessuale

Nessun Paese nella regione, poi, offre un’educazione sessuale adeguata, se non quella legata alla religione islamica e alla cultura patriarcale, e non è chiara la pronuncia di parole come clitoride o masturbazione. Secondo l’ultimo report Onu, solo il 56% dei Paesi ha leggi e politiche che supportano un’educazione sessuale completa durante il percorso scolastico, e agli ultimi posti troviamo Sud Sudan, Trinidad e Tobago, Libia, Iraq e Belize.

La prima sfida di Nour Eman, attivista cariota di 29 anni, è stata quella di aprire su Instagram Thisismotherbeing, una pagina di educazione sessuale rivolta proprio alle donne.

La giovane Nour Emam posta video in cui parla di sesso in modo informale (mentre sta cucinando, ad esempio) e realizza podcast che sfruttano la capacità della rete di sfuggire alle censure governative e abbattere le barriere di paura e diffidenza.
In poco tempo l’account ha raggiunto più di 327.000 followers. Su Tik Tok, piattaforma prediletta dalle attiviste, e per questo spesso censurata, 1.1 milioni. Nonostante la maggioranza egiziana, il 25% degli utenti proviene da altri Paesi, come Giordania, Iraq, Arabia Saudita ed Emirati Arabi.

Sfruttando la spontaneità e la disintermediazione caratteristica del social cinese, Nour Emam è riuscita in parte a colmare la voragine di disinformazione, errare notizie e vergogna che inghiotte ragazze inconsapevoli della propria anatomia. Una voragine che al suo interno comprende l’ignoranza frutto di un’educazione mancata.

#iansketIl MeToo è arabo

#Iansket vuol dire “non starò zitta”. A lanciarlo è stata l’influencer e fashion blogger Ascia al Faraj, 2,6 milioni di follower con il nome d’arte Ascia AKF, conquistati con i suoi tutorial su come nascondere i capelli sotto il velo in modo più glamour possibile.

In un video pubblicato in rete ha dichiarato:

“Ogni volta che esco, c’è qualcuno che mi molesta o molesta un’altra donna per strada. Abbiamo un problema di molestie in questo paese e io ne ho abbastanza”.

Anche in questo caso i social network servono per capovolgere una narrazione che vive di vergogna, che ricade sulla famiglia appena una donna inizia a parlare di violenze: la paura di disonorare i genitori fa tacere molte e spesso è la stessa polizia a non prendere sul serio tali abusi. Come accade su TikTok dove trionfa Nicole Al Rais che utilizza questo social per demolire pregiudizi, abbattere stereotipi e mostra la sua personalità senza filtri:

“Mi apro con la mia vita personale perché desidero che le persone siano connesse con me e le mie esperienze. Un modo per raggiungere tutto questo è anche attraverso l’interscambio nei commenti, dove abbiamo davvero grandi conversazioni”.

Grazie alla sua azione, il dialogo diviene un elemento prezioso di supporto per riscrivere l’humus culturale in una atmosfera collaborativa e far emergere donne musulmane emancipate e consapevoli.

In un momento in cui i social media sono sotto attacco per la diffusione di disinformazione e sembrano essere preda di critiche verso una limitazione alle libertà, queste donne utilizzano invece la rete per contrastare la cattiva informazione e la cultura ignorante (che non conosce), sfruttando la capacità dei social media di attraversare i confini di classe e nazionali per veicolare messaggi di inclusione, dialogo e rispetto per le differenze.

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