Erano gli anni ’80 e ricordo interminabili mattine al cimitero, a conoscere nonni e bisnonni dentro foto in bianco e nero, molto seri e impettiti. A ringraziarli per i regali e i dolciumi lasciati nella notte precedente. È un ricordo che odora di cioccolata e cannella, dolce come il pensiero che chi non c’è più possa tornare, per una sola notte, a far felici i bambini. I primi giorni di novembre, e non solo in Sicilia i giorni di Ognissanti, erano e per molti lo sono ancora, giorni magici. Dove l’impossibile diventava possibile. Senza paure, un mistero gioioso che si compie di generazione in generazione. Una tradizione che ha radici lontane e assai ramificate.

“Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi”.

Tratto da Il giorno che i morti persero la strada di casa da I racconti quotidiani 
di Andrea Camilleri (Qua e là per l’Italia – Alma edizione, Firenze 2008).

Negli anni 2000, un mondo nuovo, tecnologico e globale, ha portato a conoscere e importare altre tradizioni: sono apparse le zucche intagliate e i mostruosi travestimenti che appartengono alla tradizione anglosassone di Halloween. E immancabile, ogni anno a metà ottobre, parte il cicaleggio sulla moralità di questa festività straniera e le crociate per la difesa delle tradizioni nostrane. E puntualmente si cade in fallo.

Ogni cosa che si aggiunge e crea rituale, riflessione o divertimento, al di là delle bandiere d’origine, è scoperta e opportunità. Ma molti vedono un pericoloso attacco all’identità nazionale, una minaccia alla fede, e si lanciano in battaglie per la difesa delle origini. Battaglie vane. Perché basterebbe riflettere proprio sulle origini ramificate delle nostre tradizioni popolari.

Halloween, Ognissanti, Los dias de los muertos

La zucca che illumina la notte del 31 ottobre, nasce dalla leggenda irlandese di Jack O’lantern ma non è poi così lontana dal nostro Ognissanti. Culti pagani dell’antica Roma; rituali appartenuti alle antiche civiltà agricole che, con l’avvicendarsi dell’inverno, cercavano il contatto e il benvolere con l’aldilà per un miglior raccolto, per una fertile primavera. Culti pagani mai sopiti, diffusi dappertutto. Plasmati in chiave religiosa, con la festa dei morti in Italia o los dias de los muertos in Messico. Radici comuni quindi che, in un mondo interconnesso, viaggiano e si mescolano. E si fanno risorsa, se si sa come raccontarle.

Ognuno lo viva come meglio crede e vuole ma il comune denominatore resta lo stesso; vincere le tenebre, affrontare ed elaborare un tema difficile, quello della morte e dell’assenza. Un rito collettivo per esorcizzare la paura della fine. Un’occasione per trasformarla in magia, ritorno e festa. Soprattutto per i più piccini.

Zucche, fantasmi e pipistrelli

Ormai da qualche anno a casa, insieme alla mia bambina, intagliamo la zucca, addobbiamo casa e non lesiniamo su fantasmi, pipistrelli e streghe. Ci travestiamo, andiamo alle feste e la fatidica domanda dolcetto o scherzetto? non ce la toglie nessuno. Quando arriva novembre, la cucina odora di frutta martorana e di cioccolata e cannella. E nella notte tra l’uno e il due, il nonno e la zia tornano a farci visita e nascondono regali e dolcini. Proprio come racconta Andrea Camilleri, ma molti anni dopo.

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