Sanremo 2025 ci ha offerto l’occasione perfetta per riflettere sull’esclusione dai canali ufficiali di determinate artiste (o di modi di esserlo) a favore di un’uniformità estetica e performativa, andando ad alimentare un’idea monolitica e piatta del femminile.

Questa dinamica non riguarda solo le artiste, ma parla di come collettivamente costruiamo il valore artistico su modelli maschili. La musica che ascoltiamo e amiamo è influenzata da aspettative di genere che limitano la libertà creativa di chi la fa. Riconoscere questi meccanismi è il primo passo per cambiare le cose, e ognunə di noi ha un ruolo in questa trasformazione. Le nostre preferenze musicali non sono solo il frutto di gusti personali, ma anche di un contesto che ci ha insegnato a dare più valore a certe voci rispetto ad altre.

Il lavoro artistico, l’estetica

Quando valutiamo il lavoro artistico, la nostra percezione è plasmata da secoli di narrazioni che associano agli uomini il genio creativo e alle donne il ruolo di interpreti, muse o voci emozionali. Abbiamo reso naturale l’associazione uomo/contenuto e donna/contenitore per cui non ci rendiamo nemmeno conto del doppio standard che agiamo ogni volta che giudichiamo l’estetica (vocale e corporea) delle artiste e, dall’altra, gli artisti nella loro interezza.

donna alla console

Sappiamo benissimo quanto la pressione estetica sia forte per le persone socializzate come donne e quanto la bellezza sia fondamentale in termini di opportunità lavorative. Fin da piccole ci viene insegnato a dare estrema rilevanza all’opinione maschile e alla desiderabilità che dobbiamo suscitare in quanto femmine. Interiorizziamo noi stesse questo sguardo, senza bisogno di nessun sorvegliante che ci dica come essere gradevoli e piacenti, al punto da convincerci che preferirci belle e attraenti sia una scelta libera.

Le artiste non sono immuni a tutto ciò e molto spesso finiscono per confermare questa visione inserendosi perfettamente nel canone perché come diceva Michela Murgia

fin quando è l’occhio desiderante dei maschi a definirti tu ti conformi, perché spesso la tua accettazione sociale e il tuo ruolo derivano da quello: da quanto puoi essere desiderata”.

Succede così che nei canali ufficiali arrivino solo artiste che rispecchiano un’estetica standard, stereotipata e progetti artistici di cui non sono totalmente padrone. Sanremo ci insegna che le cantanti devono essere impeccabili, affascinanti, carismatiche ma mai troppo sovversive, per non incrinare l’immagine ideale che il sistema vuole perpetuare.

Come cambiare le cose?

Per cambiare davvero le cose è quindi necessaria una presa di coscienza collettiva: il pubblico può educarsi a riconoscere e decostruire i propri bias, i media possono smettere di perpetuare narrazioni stereotipate e le artiste stesse possono cercare di spezzare le catene dell’autocensura, allontanando lo sguardo e l’orecchio maschile che è in loro, facendo autocoscienza.

Se le interpreti e le cantautrici non fossero cresciute con l’idea di dover essere sempre esteticamente impeccabili, come userebbero il loro corpo nell’arte?
Se non avessero dovuto adattarsi a modelli estetici precisi per essere accettate, di cosa scriverebbero? Se nell’industria non ci fossero problemi di accesso per persone con corpi non conformi, quanta varietà musicale ci sarebbe rispetto ad ora?

Se i pubblici fossero davvero liberi da bias culturali, chi vincerebbe Sanremo?

Federica Pezzoni è autrice del testo Musicarpia (le plurali editrice, 2025) e insieme ad Alice Mammola ha avviato il progetto “Suonare in grande”, un manifesto femminista e intersezionale.

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