Ti è mai successo di sentire un brano o una canzone che entra subito in contatto con te, con la tua energia? Spero proprio di si, altrimenti ti saresti perso delle belle emozioni.
È incredibile come ci siano delle canzoni che sentiamo immediatamente nostre, quasi potessimo averle scritte noi. È quello che mi è successo sentendo One More Second di Matt Berninger. Come sempre non potevo non raccontarvi questa storia.

Oggi vi parlo di Matt, cantautore americano, ex frontman del gruppo The National, che ha pubblicato il suo primo album da solista, che mi ha molto colpito. 

One More Second è un brano che fin dall’inizio sviluppa elementi di attesa, una sorta di evocazione alla danza che viene sempre ritardata e bisognerà attendere fino a due minuti e tredici secondi per sentire le intense strofe: 

Give me one more second to dry my eyes / Give me one more day to realize / Smoke’s in our eyes or in the distance / Either way, we’re gonna miss it /Give me one more year to get back on track / Give me one more life to win you back.

La canzone racconta i buoni propositi dell’innamorato sulla volontà di riconquistare l’amore quando ormai sembra essere troppo tardi e implora dicendo: dammi un’altra vita per riaverti con me. 

A proposito di questa canzone Matt Berninger scrive:

“Ho scritto One More Second con Matt Sheehy (Lost Lander, EL VY) con l’intenzione che fosse una sorta di risposta a I Will Always Love You di Dolly Parton (che molti di voi conosceranno nella splendida versione di Whitney Houston) o una sorta di altra parte di quella conversazione. Volevo solo scrivere una di quelle canzoni d’amore classiche, semplici e disperate che suonano alla grande nella tua macchina”.

Se volete dunque partire da questa canzone per assaporare il senso musicale di Matt, sappiate che non sbaglierete, e se vi piace allora potrete continuare l’ascolto con il resto di questo album che si intitola Serpentine prison.

Un album sicuramente ispirato, minimalista, essenziale, ma con una strumentazione articolata.

I suoni del disco sono tra il semi-acustico e il vellutato con ampia presenza di tastiere, organi in stile vintage, pianoforti, oltre che archi e fiati.

Il cantautore ha scelto come produttore Booker T. Jones, importante figura della musica statunitense, che con grande abilità è riuscito a dare dei sound sempre interessanti e mai banali a volte strizzando l’occhio al blues o svoltando verso un romanticismo dark alla Nick Cave oppure con l’elegante utilizzo orchestrale, per esempio su All For Nothing. Il tutto mantenendo una linearità stilistica, anche per merito dell’inconfondibile voce di Matt Berninger.

Devo dire che mi è piaciuta molto anche la registrazione, non si parla spesso della difficoltà di trovare un suono e un equilibrio dal punto di vista tecnico, da ascoltatori lo diamo spesso per scontato, ma dietro c’è un lavoro enorme da parte dei fonici. 

Matt ha studiato grafica e pubblicità presso l’Università di Cincinnati, dove incontrò uno dei membri della sua futura band, Scott Devendorf. I due diventarono rapidamente amici e formarono i National nel 1999. La band, era composta dal cantante Matt Berninger e dalle due coppie di fratelli Aaron e Bryce Dessner e Scott e Bryan Devendorf.

Berninger, a questo punto, lasciò la sua carriera nella pubblicità per dedicarsi interamente alla musica. Ha detto al The Telegraph: “Stavo andando bene [nella pubblicità]. Ma, a un certo punto, ho pensato che non avrei mai potuto sedermi di nuovo in sale conferenze con MasterCard per discutere ancora di annunci web.”

Quindi Matt Berninger sicuramente riscrive la sua vita in perfetto stile Rewriters per inseguire il suo sogno di esprimersi attraverso la musica e lo fa nuovamente con Serpentine prison ritrovando se stesso in questo album, che lo vede per la prima volta protagonista come solista. 

Vi consiglio di ascoltarlo di sera con luci soffuse.  

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