Ho deciso di richiamare in questo blog il titolo dello spettacolo di una mia cara amica, che vidi 13 anni fa in una piazzettina di Manciano. Sto pensando a lei e ai cari compagni dei tempi in cui facevo teatro, perché tra i settori maggiormente penalizzati dal lockdown c’è quello dello spettacolo. Per centinaia di migliaia di attori, artisti di strada, cantanti, registi, ma anche le maestranze, tecnici, fonici, montatori, non c’è differenza tra fase 1, 2 o 3, il settore è al collasso e il ridicolo sussidio di 600 euro, se viene riconosciuto, tarda pure ad arrivare. Ma non solo, le disposizioni e i relativi protocolli di sicurezza, sommati all’incertezza dell’andamento della pandemia, rendono la vita impossibile a chi soprattutto sinora si è arrangiato in spazi piccoli perché ha puntato più sull’impegno sociale che sul proprio tornaconto.

Con Elena Guerrini io e mia moglie Silvia abbiamo collaborato volentieri per realizzare il logo del suo Teatro col Baratto, ci affascinava la sua idea di non far pagare un biglietto agli spettatori ma di far portare ad ognuno la propria sedia e una cassetta di verdure o una bottiglia di olio o di vino in cambio. Lei definisce la propria arte come “teatro ecologico-civile che sa di terra e di pane, che parla di rivoluzioni e campi di grano, dando spazio alla memoria, ai proverbi, alle barzellette e alle ricette della nonna. Che parla della natura, di locale e globale, della scomparsa delle api, dei semi scambiati tra ortolani e di quelli delle multinazionali….”.

Ma penso anche ad un gruppo davvero impegnato da tanti anni nel complicato tessuto milanese, alla compagnia Alma Rosé che pratica dal ‘97 un teatro che racconta il presente sviscerando temi scottanti, radicato e diffuso in un contesto urbano difficile e che incide profondamente l’identità e la funzione del Teatro nel territorio. In tema con questo blog il loro Concerto tra gli orti, che parla di orti in città, nelle scuole, nei quartieri, nei parchi, dentro il carcere o sui balconi. Dagli orti trentennali degli immigrati meridionali, agli orti comunitari gestiti collettivamente e pacificamente da milanesi e neoimmigrati, a quelli della città di Rosario in Argentina, dove molti agricoltori hanno dovuto lasciare la campagna a causa dell’avvelenamento provocato dai fertilizzanti per la monocoltura della soja, e si sono trasferiti in città alla ricerca di un po’ di terra da coltivare per sopravvivere.

Comunque è certo che gli orti sono uno dei pochi luoghi in cui generazioni diverse si incontrano sullo stesso terreno e si confrontano, come nel caso del Teatro di Paglia del mio amico Nicholas che inizialmente sperimenta sotto casa sua uno spazio all’aperto fatto di balle di fieno appena portate dai campi per guardare un film in TV. Fino a giungere poco dopo alla costruzione di un vero e proprio teatro greco, dalla classica forma semicircolare. E’ nato così uno spazio impermanente che ispira al massimo la partecipazione collettiva, sia nella fase di montaggio che in quella della rappresentazione, a cui ho partecipato volentieri in una delle primissime edizioni. Il tutto nello spirito della coincidenza scenica, per cui professionisti e pubblico possono intervenire liberamente per condividere monologhi, improvvisazioni, canzoni, ricette, conferenze e chi più ne ha più ne metta. Chi fosse interessato a realizzarne uno può contattare la Rete dei Teatri di Paglia.

Pier Paolo Pasolini, un anno prima che io nascessi scrisse: Quando il mondo classico sarà esaurito, quando saranno morti tutti i contadini, tutti gli artigiani, quando non ci saranno più le lucciole, le api, le farfalle, quando l´’ndustria avrà reso inarrestabile il ciclo della produzione, allora la nostra storia sarà finita“. Ebbene credo che gli orti insorti e i teatri di paglia facciano parte di un’enorme schiera di anticorpi destinati per forza a resistere a questa narrazione catastrofista che accompagna la mia vita: sfatiamola una volta per tutte!

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