Uscire di casa presto la mattina, quando fuori è ancora buio, e caricare in macchina una tavola da snowboard o un sacco carico di rinvii, per poi salire sopra una montagna e scendere i suoi pendii o salire le sue pareti, ha talvolta qualcosa che lo rende più che un semplice esercizio sportivo. Ci sono attività infatti che sono tutt’altro che innocui passatempi; per i ragazzi di Outdoor Manifesto, lo snowboard, l’arrampicata e il trekking possono essere una via per una riflessione sul ruolo dell’essere umano.
Questi tipi di sport, nella loro forma più pura, hanno molto a che fare con la ricerca di qualcosa che permetta di leggere con occhi diversi l’ambiente che ci circonda. Creare un mondo nuovo, unico e particolare, questo è l’obbiettivo.

Snowboarder, surfisti, skater, arrampicatori, attraversatori di corde sospese e camminatori condividono, spesso in maniera inconsapevole, questa realtà mitologica.
Qualche tempo fa ebbi a dire che partire, macinare chilometri, cercare lo spot giusto, perdersi in discussioni infinite sull’attrezzatura, su dove andare, su come camperizzare furgoni, macchine e persino moto – se fosse possibile – dormire poco, dormire male, alzarsi presto, andare a lavoro sfatti, con la salsedine nei capelli o i calli sulle mani, emozionarsi per un’alba, un tramonto, un pendio, un’onda, una parete, un sentiero e condividere quell’emozione con pochi e selezionati compari fosse il centro della questione. Tutt’ora penso che stia tutto qui, un’idea semplice tutto sommato, ma che rischia di finire schiacciata dalle logiche di mercato e dalla devastazione dell’ambiente, un’idea che i ragazzi di Outdoor manifesto hanno deciso di difendere con le unghie e con i denti.

Photo by Alice Russolo

Outdoor manifesto è un collettivo composto da 12 persone, snowboarder, sciatori, runner, climber, ciclisti e trekker che hanno provato a cercare sé stessi all’interno degli ambienti naturali e che riconoscono questo processo come fondamentale per la crescita della cultura umana. In un manifesto che è anche una dichiarazione di intenti i ragazzi affermano “di voler dare un impulso di consapevolezza ecologica al mondo dell’outdoor, un impulso che parta dal basso, che possa essere condiviso, sottoscritto e impugnato da chiunque abbia voglia di contribuire alla presa di coscienza ambientale della nostra comunità e che sia pronto ad intraprendere le azioni necessarie per difendere gli ambienti naturali”.

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Luca Albrisi, membro fondatore del collettivo.

  • Partiamo dalle basi, cos’è OUTDOOR MANIFESTO, come nasce e perché?
    E‘ nato quando un gruppo di persone che si conoscevano e appartenevano a diverse comunità si sono sedute a un tavolo per discutere del ruolo dell’outdoor nel mondo ambientalista. Da qui il bisogno di stilare un manifesto, trasmettere una visione e creare un movimento che fosse condiviso e non calato dall’alto.
  • Quanto bisogno c’è, nel panorama italiano, di realtà come la vostra e perché ce n’è bisogno?
    All’inizio ci siamo chiesti se c’erano delle realtà esistenti a cui poter fare riferimento, ma ci siamo resi conto che nessuna sembrava calzare a pennello con la nostra visione. Mancava un collettivo o un movimento che riuscisse a riflettere sul legame tra outdoor e ambiente naturale e che non ragionasse soltanto sui cambiamenti climatici in generale, ma che partisse da problemi reali cercando di sviluppare dei ragionamenti e proporre soluzioni. Il nostro è un percorso di crescita dal basso.
  • Quando dite che lotterete per diffondere una cultura outdoor che si ponga in prima linea per riavvicinare l’uomo alle proprie origini, cosa intendete?
    Uno dei cardini del manifesto è una visione biocentrica del mondo, che si contrappone a quella antropocentrica imperante nel mondo moderno. L’uomo deve considerarsi parte del sistema naturale, non qualcosa al di sopra di esso e le attività outdoor possono avvicinare l’uomo a questa visione. Outdoor come via per una consapevolezza ambientale biocentrica.
  • Qualcuno dice che l’Ambientalismo senza lotta di classe è soltanto giardinaggio, è vero?
    Parlare di ambientalismo senza parlare di eguaglianza sociale è un controsenso, purtroppo però viviamo in un sistema capitalistico e con quello ci dobbiamo confrontare. Parlare di lotta di classe è per me abbastanza anacronistico, oggi la lotta si può fare attraverso le scelte personali consapevoli che possono aiutarci a far cambiare davvero le cose.
  • Quali sono le radici culturali nelle quali vi riconoscete?
    Siamo un gruppo eterogeneo, io personalmente devo molto all’idea della Deep Ecology del filosofo norvegese Arne Næss, è inutile che l’uomo faccia ambientalismo fino a che non è pronto a riconsiderare se stesso.
  • Infine lo snowboard, come cultura, è morto, moribondo o sta bene?
    Ci sono molte assonanze tra surf e snowboard, hanno seguito un percorso molto simile, come avete sottolineato su Rewriters a proposito della surf culture . In Italia lo snowboard come cultura forse non è mai nato, è stato una moda negli anni novanta e duemila, adesso, dopo un percorso complesso, spero che sia in una fase che ci prepara a una sua rinascita, anche culturale.
Photo by Matteo Pavana

Non tutti gli ambientalisti amano la Deep Ecology e il Biocentrismo, il filosofo anarchico ed ecologista Murray Bookchin ha avanzato serie critiche al concetto di Biocentrismo, precisando – tra le altre cose – che considerare l’umanità intera come la responsabile del disastro ecologico sottragga i soggetti colpevoli – che sono reali e hanno nomi e cognomi – dalle loro responsabilità; il dibattito è quindi aperto.

Un suggerimento, leggete L’ecologia della libertà di Murray Bookchin e Let my people go surfing di Yvon Chouinard alpinista, surfista, ambientalista e fondatore di Patagonia..

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