Il recente Summary report dell’IPCC (20 marzo 2023) ci ricorda, per l’ennesima volta, l’estrema urgenza di agire per affrontare la crisi climatica e le sue conseguenze, che sono sia ambientali (sconvolgimento dei cicli climatici attuali, siccità, livello dei mari, ondate di calore) che socio-economiche (carestie, fame, migrazioni, aumento diseguaglianze, danni da eventi climatici estremi, crisi filiera agroalimentare, costi sanitari).

La nostra società sta andando a creare nuove forme di povertà e di sfruttamento, nuovi proletariati come il proletariato dei precari o il proletariato energetico. E ciò avviene sia per i contrasti tra le classi sociali all’interno di un Paese sia per i conflittuali rapporti internazionali tra diversi Paesi e/o blocchi.

Tutti i conflitti (e sono tanti) sono momenti in cui esplodono le tensioni cumulate nel tempo, esattamente come succede per i terremoti e le eruzioni vulcaniche. Non possiamo concentrarci sull’effetto (il conflitto) ma dobbiamo eliminare le cause (le tensioni).

Ma le tensioni derivano dalla competizione per le risorse necessarie a garantire produzione e consumi infiniti con risorse finite: poiché questo non è possibile, nasce la competizione per accaparrarsi le risorse, e ciò avviene a diversi livelli: tra blocchi, tra Paesi, tra classi sociali. Basti pensare al fatto che i MAPA (Most Affected People ad Areas) subiscono la maggior parte delle conseguenze del riscaldamento climatico pur non avendolo causato.

Il prezzo del capitalismo

Qualcuno direbbe: “è il capitalismo, mio caro, e il capitalismo ci garantisce crescita e benessere”. Ma a che prezzo? Possiamo addirittura affermare che la crisi climatica è l’espressione finale di alcuni aspetti della teoria marxista: le crisi cicliche di sovrapproduzione del capitalismo rispetto alle necessità sono state mascherate dall’induzione di nuove necessità, ma la crisi ambientale attuale è una crisi di sovrapproduzione talmente grande da rischiare di distruggere la società come la conosciamo.

Lo sfruttamento della forza lavoro è immediatamente estendibile allo sfruttamento delle risorse naturali, allo sfruttamento dell’ambiente, che è l’insieme dei beni comuni a tutti gli esseri viventi, animali e vegetali, che vengono sottratti a tutti per garantire il profitto di alcuni (proprio come la forza lavoro).

Il problema è che la crisi finale del modello capitalista coincide con la crisi finale del mondo come lo abbiamo conosciuto. E quindi dovrebbe essere affrontata in modo molto forte e risoluto, non balbettando o esacerbando i conflitti.

Le CERS sono semi di pace

Cambiare il modello socio-economico basato sullo sfruttamento del lavoro, delle risorse, dell’ambiente è il presupposto per eliminare le cause di conflittualità. Per questo le CERS (Comunità Energetiche Rinnovabili Solidali) sono semi di pace (non gli unici, ovviamente).

Le CERS sono un esempio che ci consente di declinare alcuni termini fondamentali della nostra narrazione: beni comuni, condivisione, socialità. Esse eliminano alcune delle cause scatenanti i conflitti che, come sappiamo, nascono essenzialmente per il possesso delle risorse: se elimino la necessità delle risorse fossili elimino anche la competizione per accaparrarsele.

Inoltre, considerando che le risorse rinnovabili sono di tutti, un bene comune, vengono eliminate anche alcune delle modalità di produrre (extra)profitti. E la riduzione dell’inquinamento, oltre a portare la speranza di salvezza dal collasso climatico, porterà anche una vita più serena, in un ambiente più pulito e piacevole.

Infine, le CERS sono l’occasione per sviluppare la socialità e l’amicizia tra le persone, sentimenti che nascono quando si perseguono obiettivi comuni, si discute su come realizzarli e si è quindi stimolati a “lasciare in condizioni migliori di come l’abbiamo ricevuto il mondo che abbiamo preso in prestito dai nostri figli”.  Per questo diciamo che

“la pace è rinnovabile e la guerra è fossile”,

slogan che in poche parole esprime i sentimenti che ci guidano nella volontà di cambiare il nostro approccio all’energia cambiando anche il nostro approccio alla vita.

La visione che si vuole trasmettere delle Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali è quella di una realtà che creerebbe una forma di socialità-risocializzazione, valorizzando l’energia rinnovabile come bene comune e collettivo. Le CERS, quindi, come seme di pace, sia a livello globale (emancipazione dalle fonti fossili e dai colossi energetici, causa di inquinamento, guerre e instabilità), sia a livello locale.

Consigliamo di controllare il sito del Ministero dell’Ambiente, perché è prevista a breve la pubblicazione del decreto attuativo delle CERS.

di Guido Marinelli per conto di Valeria Belardelli

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