Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Grand Public, Palazzina Laf è l’esordio alla regia di Michele Riondino, un film di denuncia e impegno sociale. Palazzina Laf è tratto dal libro Fumo sulla città di Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista che avrebbe dovuto firmare la sceneggiatura ma che purtroppo è mancato durante le lavorazioni. 

Palazzina Laf, la trama

Taranto, 1997. Caterino Lamanna (Michele Riondino) è un operaio dell’acciaieria Ilva, un uomo semplice e ingenuo, a tratti gretto, sicuramente non una cima, la cui più alta aspirazione è di lasciare la squallida casa di campagna dove vive e trasferirsi in città insieme alla sua fidanzata. L’occasione arriva quando la direzione dell’Ilva, nella viscida persona di Giancarlo Basile (un incredibile Elio Germano) gli offre uno scatto di carriera trasferendolo nella Palazzina Laf, il reparto in cui sono state confinate alcune tra le menti più brillanti dell’acciaieria nel tentativo celato di spingerle a dare le dimissioni. Ingegneri, architetti e informatici sono stati demansionati e fisicamente relegati nella fatiscente palazzina, in cui le giornate scorrono lente e la noia la fa da padrona.

Per Caterino essere pagato per non fare niente è una grande opportunità, soprattutto adesso che è diventato l’uomo di fiducia di Basile: è a lui che riporta tutto ciò che vede all’interno della Palazzina Laf, senza rendersi conto di essere l’ultima pedina di un enorme sistema che si sta muovendo alle sue spalle. 

Michele Riondino era appena ventenne quando l’acciaieria più grande d’Europa era in fase di smantellamento. Tarantino di nascita, l’attore-regista è da sempre impegnato nella battaglia per la difesa dell’ambiente e della salute dei suoi concittadini, e il suo esordio alla regia non è altro che la conferma della sua giusta rabbia. È lo stesso Riondino a rendere noto che ADI (Acciaierie d’Italia) ha tentato più volte di bloccare le lavorazioni del film non tanto per il racconto di alcuni fatti avvenuti nel suo perimetro, piuttosto per le tecniche e le modalità di ripresa, che a loro parere mettevano a rischio la tutela dell’ambiente e la sicurezza dei lavoratori. Come a dire: oltre il danno, la beffa…

Un film volutamente politico, ideologico

Un film volutamente politico, ideologico e di parte, come ha dichiarato lo stesso Riondino, che racconta con verità e spirito grottesco un disastro ambientale dalla prospettiva distorta di un protagonista tanto vero quando bugiardo, che veste con genuinità disarmante i panni di un traditore persino davanti al banco di un tribunale. Con il suo esordio alla regia, Riondino strizza l’occhio al cinema di Elio Petri in una pellicola che porta la classe operaia dall’inferno al paradiso, per poi rimetterla al suo posto naturale: il purgatorio. 

Non si può parlare della Palazzina Laf senza affrontare il tema della componente identitaria del lavoro, che Riondino tratta con intelligenza e umorismo, evidenziando le contraddizioni di un mondo in cui le menti più brillanti vengono umiliate, confinate e sottoposte a mobbing. Rimane, ancora una volta, aperto il sempre dibattuto quesito: lavoriamo per vivere o viviamo per lavorare?

Palazzina Laf si conquista a pieni voti il suo posto in prima fila tra gli esordi alla regia di quest’anno che ricorderemo, di fianco a C’è ancora domani. Esordi di cui, da italiani, non possiamo che andare fieri, che dimostrano che il grande cinema è vivissimo e ha ancora tanto da dire. 

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