Nelle ultime settimane si è di nuovo acceso il dibattito sulla legge 194 e sul diritto delle donne italiane all’interruzione volontaria di gravidanza. L’emendamento al disegno di legge per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che dà legittimità a livello nazionale all’ingresso delle associazioni antiabortiste nei consultori, presentato da Fratelli d’Italia e approvato ad aprile, dimostra una volta di più come non sia necessario abolire la legge che regola l’accesso all’IVG per minare il diritto alla libera scelta. Basta svuotarla di efficacia. 

Abbiamo visto infatti sia la Ministra Eugenia Roccella che molteplici politici di ogni livello appellarsi a un articolo, proprio della legge 194/78, per giustificare l’ingresso delle associazioni anti-scelta nei consultori; l’articolo citato, tuttavia, parla di associazioni che dovrebbero assistere madre e figlio dopo il parto, se economicamente in difficoltà, quindi in un momento specifico ben lontano da quello in cui la donna deve decidere se portare avanti la gravidanza o meno. 

E si è dovuto assistere allo spettacolo di sette uomini sulla prima rete nazionale a discutere il diritto delle donne a ricorrere all’IVG. In effetti, anche i parlamentari e i politici regionali che devono – o meglio, dovrebbero – far applicare la 194, sono in grande prevalenza uomini. Tuttavia, c’è un piano in cui l’uomo non ricorre mai, nella discussione sul controllo e la pianificazione delle nascite: la responsabilità

Anche quando certe forze politiche decidono di adottare termini forti e spesso offensivi nei confronti delle donne che decidono di usufruire dell’IVG – come ad esempio quando si parla di aborto usato come contraccettivo, senza peraltro prove statistiche in merito – per mancanza di responsabilità o di maturità, l’unico soggetto contro cui è puntato il dito istituzionale è sempre la donna.

Eppure, per quanto la narrazione ci voglia multitasking, ancora non riusciamo a concepire da sole. C’è un solo elemento che concorre all’inizio di ogni gravidanza nel mondo, voluta o meno: l’eiaculazione di un uomo.

194, IVG e responsabilità: ciò che non si può dire ancora nel 2024

Sembra ancora tuttavia impossibile – in questo Paese come nel resto della società occidentale – parlare di responsabilità maschile nella pianificazione delle nascite e nel contrasto all’IVG a discapito del piacere dell’uomo sembra impossibile, un tabù inscalfibile. 

Come spiega in modo molto chiaro e comprensibile Gabrielle Blair nel suo saggio breve Eiaculate responsabilmente! (Feltrinelli, 2024), un uomo in salute è fecondo 365 giorni l’anno e potenzialmente potrebbe concepire anche più volte al giorno con donne diverse. Sa con certezza quando è fertile (ogni volta che eiacula) e può prevenire il rischio con l’applicazione di un contraccettivo economico e facile da applicare, che non comporta alterazioni al suo equilibrio ormonale né psicofisico. Anche se decidesse di optare per una soluzione chirurgica, la vasectomia è un’operazione più rapida e meno invasiva della legatura delle tube femminili, con anche una percentuale di reversibilità molto più alta. 

Le donne, d’altro canto, sanno di essere fertili per circa 24 ore al mese, ma non possono dire con precisione quando effettivamente sta avvenendo l’ovulazione (e bisogna tenere conto che lo sperma può sopravvivere fino a cinque giorni nel corpo femminile). Possono portare avanti al massimo una gravidanza in un anno solare, e devono ricorrere a opzioni per la contraccezione ben più invasive e complesse e non necessariamente risolutive per ogni donna: i contraccettivi ormonali, ad esempio, possono perdere molta efficacia per chi è in sovrappeso, perché sono testati e dosati su una taglia media. 

Blair spiega anche che la maggior parte degli uomini ricorre al coito interrotto lo fa nel modo sbagliato. Sarebbe una statistica interessante sapere quante IVG sono partite da un

“tranquilla, sto attento”. 

Malgrado la scienza ci offra tutti questi dati, il mito che il preservativo tolga piacere all’uomo nel rapporto sessuale vince sul rischio di innescare una gravidanza. Eppure, se proprio si deve parlare di responsabilità, bisognerebbe proprio ripartire da qui. 

Esempi di contraccettivi disponibili sul mercato, per lui e per lei.

Costruire una società egualitaria vuol dire pari diritti, ma anche pari responsabilità

La politica italiana sembra però più interessata a limitare la libertà delle donne in uno dei pochi ambiti della vita dove il potere è interamente nelle loro mani. Forse è proprio questo che disturba tanto, nell’interruzione volontaria di gravidanza legale? Che le donne possano decidere senza il consenso del marito, del compagno, del partner di una notte?

Per questo, probabilmente, la donna che decide di ricorrere all’IVG nella narrazione dei partiti contrari a questa libertà di scelta è sempre giovanissima, scapestrata, che ama divertirsi, promiscua… E tuttavia, nove volte su dieci, se il suo partner avesse tenuto un comportamento responsabile, non si sarebbe trovata a dover prendere questa decisione. 

Tale responsabilità non può ricadere unicamente sulle donne. È fondamentale, se si vuole lavorare per ridurre le interruzioni volontarie di gravidanza, impegnarsi a diffondere una cultura della responsabilità nella propria sfera sessuale e affettiva condivisa tra i partner, sia che si parli di incontri occasioni che di relazioni stabili, piuttosto che rendere impossibile la realizzazione della legge 194. Anche perché, è bene ricordare, un preservativo è l’unico contraccettivo che previene anche dalle malattie sessualmente trasmissibili.

L‘Unione Donne in Italia, che ha contribuito alla legge 194 (che questa settimana compie 76 anni!), rimane ferma nelle sue posizioni: la libertà della donna deve rimanere insindacabile e l’interruzione volontaria di gravidanza deve essere garantita nei consultori e negli ospedali pubblici.

Condividi: