“Primmammore”. Storie di bambini abusati
L’ultimo romanzo di Titti Marrone, "Primmammore" ci rende evidenti come la lettura di tutti i fatti narrati abbia come protagoniste le donne.

L’ultimo romanzo di Titti Marrone, "Primmammore" ci rende evidenti come la lettura di tutti i fatti narrati abbia come protagoniste le donne.
L’ultimo romanzo di Titti Marrone, Primmammore (Feltrinelli, pp 304, euro 19.00), si nutre senza sosta della perizia e della tecnica giornalistica di cui l’autrice è una riconosciuta e accreditata esponente. Ma non assomiglia a un racconto-reportage. Titti Marrone infatti fa capire da subito che ha bisogno della letteratura per raccontare quello che ha necessità di dire: fatti intensi e gravi, molto forti, drammaticamente forti, forse insostenibili come dice lo stesso Marco giovane giornalista costretto a scrivere un pezzo di cronaca sulla terribile morte di una bambina a Caivano volata da un balcone dell’ultimo piano di un palazzone popolare.
Marco si rivolge a sua madre Costanza, maestra elementare e vera protagonista di tutto il romanzo, ma è come se lo dicesse al lettore quando si appresta a sfogliare le prime pagine del libro.
Tutti ricordiamo quel terribile fatto di cronaca che certamente sconvolse Napoli, ma che riguardò l’Italia intera. Le indagini della polizia e quelle dei giornali legarono facilmente quel fatto a un altro episodio di cronaca avvenuto un anno prima nello stesso luogo con le stesse modalità, che riguardava però un maschietto. Si arrivò in questo modo a scoprire un terribile giro di pedofili degli stessi abitanti di quel palazzo composto anche da amici e parenti dei bambini convolti.
Un vero orrore di cui Titti Marrone non ci risparmia nulla. Perché? Perché vuole vedere il male nel profondo degli occhi. Perché vuole alzare il velo di ogni sogno e immagine di bontà degli esseri umani. Perché vuole capire se nonostante l’orrore del mondo sia ancora possibile continuare a sperare. E arriva alla conclusione che, per sperare, bisogna sapere dove si trova il male: il male è ovunque, anche molto vicino a noi.
Seguiamo pertanto Costanza riflettere sulle persone coinvolte nella vicenda di cronaca nera e scoprire che alcune di loro sono state conosciute nel periodo indimenticabile e luminoso della cosiddetta Mensa dei bambini proletari che a Napoli ebbe un grandissimo consenso e che mobilitò giovani e meno giovani da tutto il paese. Ricordi felici e memorabili, personaggi famosi e di grande spessore umano e intellettuale. Poi le lotte, la politica, il femminismo, i contrasti con i minuscoli gruppi dogmatici del marxismo-leninismo che mal sopportavano l’idea di una emancipazione delle donne e della loro autonomia militante di movimento, fino a episodi decisamente grotteschi a volte addirittura violenti. Le donne povere che all’epoca aiutavano la giovane e attiva Costanza, povere erano e povere sono rimaste, anche a distanza di diversi decenni.
Il romanzo ci rende evidenti come la lettura di tutti i fatti narrati abbia come protagoniste le donne. E’ donna la mamma del giornalista Marco a cui egli affida le sue angosce nel ricostruire il fatto di cronaca. Sono donne le madri e le mogli omertose che pur conoscendo le malefatte dei loro mariti fanno finta di non vedere o addirittura sono complici dei crimini contro i bambini, i loro figli. Sono donne le militanti dei movimenti giovanili che solo tardivamente riescono a ribellarsi al sessismo dei loro compagni maschi e si organizzano nel movimento femminista. Sono donne le operaie che lavorano in fabbrica e si ammalano per i miasmi della produzione. Sono donne le figure attive nelle piazze di spaccio. E sono donne anche coloro che si nascondono e che denunciano. Quelle che fuggono da Napoli per cercare disperatamente altrove una vita migliore. Sono donne le persone che infine riescono da sole a farsi una nuova vita e a conquistarsi un futuro.
Se gli anni del passato personale, a cui guarda Costanza, furono comunque anni di lotta, gioia e autodeterminazione, pur con i tanti problemi. Gli anni della recente storia di Napoli, la sua città, hanno attraversato anche il dramma del colera, a metà degli anni Settanta, e quello del terremoto del 1980. Forti di quelle dure esperienze, Costanza e le sue compagne, ormai non più giovani, cercano comunque di mettersi in gioco e lottare innanzi tutto contro una convinzione diffusa sintetizzata in una frase che sa di sconfitta prima ancora di reagire.
E’ la stessa terribile frase che una madre dice alla figlia abusata: poi ti passa.
Ma non è vero, perché quella violenza non si scorda mai…