Un po’ bambino, un po’ burattino: PUPO, spettacolo coreografico di Sofia Nappicoreografa e danzatrice internazionale, fondatrice e direttrice artistica della compagnia della Komoco – arriva a Roma (Sala PetrassiAuditorium Parco della Musica) il 17 febbraio, per la sua prima italiana, dopo il debutto mondiale a Colonia.

Il nuovo lavoro si inserisce nel contesto della diciottesima edizione del Festival Equilibrio, festival romano di danza contemporanea e palcoscenico della coreografia cosmopolita. Dal 9 al 24 febbraio 2024 grandi nomi della danza europea (come Benjamin Millepied, Wayne McGregor, Anne Van Den Broek, Marcos Morau e Sofia Nappi e Damiano Bigi) si esibiscono all’Auditorium Parco della Musica e in alcuni teatri della capitale per quattordici serate, celebrando il rinnovamento di questa arte universale.

PUPO – Sofia Nappi / foto © Thomas Schermer

Sofia Nappi e Pinocchio, il burattino più famoso di tutti i tempi

Sofia Nappi, ispirandosi a un grande classico della letteratura italiana, riscrive la narrazione de Le avventure di Pinocchio: nasce PUPO. Sette danzatori della compagnia Komoco (Arthur Bouilliol, Leonardo de Santis, Gregorio Dragoni, Glenda Gheller, India Guanzini, Paolo Piancastelli, Julie Vivès) interpretano sette personaggi del racconto originario, portando in scena una danza che attinge alla figura del burattino più famoso di tutti i tempi che sogna di diventare un bambino vero.

Lontano da una narrazione didascalica, PUPO è al contempo metamorfosi fisica e spirituale: indaga il tema della crescita e della consapevolezza, passando dall’innocenza all’interazione con il mondo, in continua relazione con l’altro e con sé stesso e i propri limiti. La scrittura coreografica di Sofia Nappi è una moderna poetica del fanciullino che combina il flusso selvaggio e libero della danza con un repertorio di movimenti che spaziano dal tremolio folle di un burattino a seducenti passi di tango.

Nappi guida lo spettatore in una lettura simbolica della storia di Pinocchio, per arrivare alla consapevolezza di poter scegliere chi essere, nel tentativo di diventare – ciascuno, sempre – la versione migliore di sé stessi. PUPO è un invito a non dimenticare il fanciullino che è in noi, il burattino di legno che tutti siamo stati. Così il simbolismo danzante di Sofia Nappi attraversa le piccole cose, fino agli abissi sconfinati della parabola umana.

PUPO – Sofia Nappi

“PUPO” è una danza ispirata alla figura di Pinocchio, celebre opera di Collodi sulla metamorfosi della marionetta che sogna di diventare bambino. Perché, tra tutte le favole, ha scelto quella di Pinocchio?
Ho letto “Le avventure di Pinocchio” di Carlo Collodi da bambina, mi incuriosiva fosse una favola di cui tutti parlavano. Mi ha molto spaventata e non l’ho mai finito, fino a poco tempo fa, quando l’ho trovato nella libreria della casa di campagna dei miei nonni: l’ho riletto e mi ha affascinato moltissimo. La figura di Pinocchio è ricca, come il messaggio ‘between the line’, tra le righe, che non è esplicitato nelle versioni edulcorate e popolari come il film di animazione (Walt Disney, 1940, ndr).

Quest’anno ricorrono i 140 anni dalla pubblicazione della favola di Collodi: desideravo fare un tributo a questo racconto, essendo anche originaria Fiorentina. Pinocchio parla dell’umanità e di tutti gli aspetti della nostra società, anche i più crudi. Ho scelto il titolo ‘PUPO’ e non ‘Pinocchio’ perché non si tratta della narrazione delle avventure di Pinocchio. La coreografia si ispira a sette personaggi della storia e ne crea un viaggio suddiviso in varie fasi, passando anche per quelle caratteristiche molto buie dell’umano e della società, attraverso il movimento. Il pubblico non deve aspettarsi la storia di Pinocchio ma un’impressione del viaggio di questo burattino, giovane ragazzo.

Il titolo si riferisce sia al bambino che al burattino. C’è un dualismo proprio del racconto di Collodi. Che cosa c’è del bambino e che cosa del burattino nello spettacolo?
Le due figure non sono distinte e divise, ma unite. Pinocchio non è un semplice burattino, vive le sue avventure e viene quasi mangiato da Mangiafuoco. Il libro è molto crudo, le sue sono ‘life experiences’, prove di vita, prove esistenziali di un burattino che non è fatto di mero legno. In “PUPO” le caratteristiche del burattino si rintracciano alla qualità del movimento, alle gestualità delicate unite all’isolamento delle articolazioni, che rendono il movimento più morbido e che restituiscono personaggi presenti e sensibili, quasi fluttuanti nello spazio. Insieme ai danzatori ho ricercato proprio la delicatezza del gesto con una grande consapevolezza della qualità del gesto, a partire del volume, dalla consapevolezza di quando attivare i muscoli. La chiamo ‘flesh’ (‘carne’, ndr). Nei personaggi si nota un elemento marionettistico, come fossero attaccati a dei fili. Ballano come fissati al loro centro: emerge il piacere di danzare, la carnalità e il desiderio di seguire i propri istinti, passando dal minimalismo del gesto a una forma più primordiale e più potente. La marionetta si connette al bambino. E sia nel burattino che nel bambino c’è un aspetto legato all’io fanciullo. Poi crescendo si perde l’impulsività. Questo poi emerge anche con l’utilizzo delle maschere…

Che cosa rappresentano le maschere (già in “Reva” o “Ima”)?
Volevo stereotipare i personaggi. In qualche modo sono tutti Pinocchio, questa ‘maschera’ di legno. Ho scelto sette personaggi molto specifici. Non volevo caratterizzare il gatto, per esempio, con le orecchie o la coda, ugualmente ho voluto renderli riconoscibili: ho giocato con le maschere, ispirate alle Commedie dell’Arte, sottolineando il senso satirico del racconto con l’intento di stereotipare, appunto, il carattere. C’è molta ironia nel racconto, è leggero ma a tratti drammatico. La maschera serve a indagare un concetto molto profondo che ha una superficie che lo rende misterioso, a volte ironico, a volte esteticamente bello, senza rendersi conto che c’è qualcosa di abissale sotto. Mi sono ispirata alla Commedia dell’Arte proprio per questo: i personaggi sono riconoscibili ma in maniera molto delicata, quasi impercettibile. Le maschere sono un modo per definire il personaggio.

PUPO – Sofia Nappi / foto © Thomas Schermer

Come si distinguono quindi i sette danzatori e i loro ruoli?
Sicuramente dal viaggio che inizia con un assolo e poi dai costumi e dalla narrazione che accompagna tutte le fasi della metamorfosi del burattino. Si distinguono nella danza e nel movimento. Il gatto e la volpe hanno costumi dal colore bianco sporco e sono ispirati alle figure di Pulcinella ed Arlecchino: insieme ne combinavano di tutti i colori. II personaggio si intuisce dalle maschere, dallo sguardo felino e dalla gestualità dei danzatori. C’è un filo conduttore che li accompagna e li unisce tutti.  E si riconoscono pian piano il grillo, Pinocchio, il gatto e la volpe, Lucignolo, Mangiafuoco e la Fata.

La scelta di sette personaggi è da ricondurre ai sette vizi capitali?
Ci ho pensato, inizialmente. Però rendeva la storia troppo didascalica. Mi piacciono molto i numeri dispari, come se con questi avessi la possibilità di riorganizzare il caos. I numeri dispari fanno in modo che ci sia sempre una sorta di pedina che creare entropia, per poi arrivare all’ordine: a livello coreografico il numero sette è quello che mi ispirava di più. È un numero molto circolare, spirituale.

Nella coreografia si coniuga il gesto più rigido tipico del burattino e la spontaneità del gesto tipica dell’età infantile e quindi del bambino. Come ha lavorato sul movimento, in particolare su quello infantile, difficile da riacquisire da adulti?
Come le due figure del bambino e burattino, anche le qualità di movimento non sono separate. Per replicare il gesto infantile abbiamo decostruito la nostra forma, le nostre abitudini, come ci poniamo parlando di braccia, gambe, torso. Anche a livello verbale intendiamo dividere ogni parte e riconoscere parzialmente il corpo, cerchiamo di sfatare questo mito. Proviamo a sentire il nostro corpo come unico, tornando all’ascolto del peso: è un ritorno al pavimento.

“PUPO” rappresenta l’interconnessione con la terra e da lì nasce l’idea del bambino, proprio come congiungesse la zona che si trova tra l’ombelico e quella sessuale, ispirata alle letture di Osho: il nostro cervello non è dove lo indichiamo noi, ma è dove siamo. La più grande intelligenza è il cervello, il nostro istinto e dobbiamo ascoltarlo di più. Partiamo da un movimento quasi fetale, molto connesso alla terra e ricostruiamo la nostra forma verticale, totalizzante a livello di sensazione, più collegato al flow del corpo: si tratta di un aspetto ‘creaturistico’ del movimento che parte dal centro fino arrivare all’estremità, è una texture particolare che attraversa il corpo, alla ricerca di una rinascita. Il movimento animale ci riconnette al subconscio.

La delicatezza del gesto è un gioco teatrale che viene dall’interno, il movimento è verso l’esterno, ci si connette alle memorie. È una gestualità che non ha solo a che vedere con le mani ma anche con la faccia, i piedi, con le estremità più lontane dal centro che riguardano noi e che costruiscono un personaggio. Sono piccoli strati di storia riconoscibili. È una completa rinascita che porta a una consapevolezza della forma che rende riconoscibile la gestualità. Nella mia coreografia racconto una storia, partendo dai danzatori, dalle loro storie, dalle loro abitudini e dal loro training. C’è tantissimo di loro.

PUPO – Sofia Nappi / foto © Thomas Schermer

Lo spettacolo è con adulti e per gli adulti. “Pinocchio”, quindi, è una storia più per adulti che per bambini?
“Pinocchio” è più una storia per adulti, che ci ricorda i bambini che siamo stati. Ci fa capire anche quanto la società ci plasmi, ci porti a fare delle scelte. È il prezzo del diventare adulti. Nel mezzo ci sono l’adolescenza, le conoscenze, le amicizie che poi ci conducono a determinate scelte. Questo racconto è un viaggio. “PUPO” è la mia interpretazione di Collodi che alla fine del racconto ha inserito quei tre punti di sospensione. Ha concluso il libro in maniera molto melanconica: Pinocchio voleva veramente diventare un ragazzo vero? Ho esplorato questa metamorfosi e soprattutto giocato sul suo viaggio, spaventoso, carnale, drammatico. Non dovremmo mai dimenticare il bambino in noi, il burattino di legno impulsivo e giocoso che una volta eravamo, il desiderio esuberante e irrefrenabile di danzare che una volta avevamo. “Il legno da cui è tagliato Pinocchio è l’umanitas, l’umanità” – così disse il filosofo italiano Benedetto Croce sulla figura iconica del piccolo burattino di legno che tanto desidera essere un ragazzo.

“PUPO” è un viaggio nella consapevolezza, ma anche un tentativo di diventare la versione migliore di sé stessi. C’è un motivo per cui ha scelto di lavorare a questa storia proprio in questo momento?
Penso proprio di sì. Sicuramente ha contribuito a questa scelta anche il forte cambio generazionale che stiamo vivendo: i giovani oggi sono esposti a tanta pressione dalla società. Con i social non si può sbagliare, bisogna raggiungere obiettivi sempre più alti e se non li raggiungi? È molto pericoloso a livello psicologico per i giovani, di cui faccio parte. Sento sempre la pressione in questo mondo ipertecnologico. Come sento che non siamo connessi veramente con quella naturalezza che ci caratterizza da quando siamo bambini. Ma non è colpa nostra, è il momento storico particolare, pieno di stimoli, che in qualche modo aliena. C’è tanta disinformazione e altrettanta voglia di collaborazione. Attraverso “PUPO” e il movimento che crea ho voluto esprimere la gioia di riconnettersi col proprio corpo, per condividere e trasmettere al pubblico la voglia di danzare.

PUPO – Sofia Nappi / foto © Thomas Schermer

PUPO
Ideazione e coreografia Sofia Nappi 

con i danzatori Arthur Bouilliol, Leonardo de Santis, Gregorio Dragoni, Glenda Gheller, India Guanzini, Paolo Piancastelli, Julie Vivès

assistente alla coreografia Adriano Popolo Rubbio

musiche Dead Combo, Jean du Voyage, Irfan, Frédéric Chopin

sound design Ed Mars & Sofia Nappi
luci Alessandro Caso
costumi Judith Adam
coproduzione Burghof Lörrach (Germania), Danse Danse Montreal (Canada), ecotopia dance productions (Germania), Escher Theater (Lussemburgo), MART Foundation (USA), ROXY Ulm (Germania), Sosta Palmizi (Italia), Tanz Köln (Germania), Theater Winterthur (Svizzera), Tollhaus Karlsruhe (Germania)
tour management ecotopia dance productions
con il sostegno residenziale di ResiDance – azione del Network Anticorpi XL / Centro di Residenza della Toscana (Armunia – Capotrave/Kilowatt); Istituto Italiano di Cultura di Colonia e del MiC-Direzione Generale Spettacolo, nell’ambito del programma di residenze internazionali della NID Platform

Durata 55′

TOUR
24 gennaio 2024 – Stagione Tollhaus, Karlsruhe (Germania)
17 febbraio – Auditorium Parco della Musica, Roma (Italia) | biglietti acquistabili qui
20 febbraio 2024 – Teatr Wielki, Poznan (Polonia)
28 marzo 2024 – Belgrad Dance Festival, Belgrado (Serbia)
29 e 30 aprile 2024 – CRR Concert Hall, Istanbul (Turchia)

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