Fu Marie Bonaparte, pronipote di Napoleone e principessa di Grecia e Danimarca, sua paziente ed allieva, a presentare a Sigmund Freud Jofi, quella che sarebbe diventata la sua inseparabile compagna dal 1930 fino al 1937. Compagna cagnolina. Lui in una lettera scrisse a Marie: “Un affetto privo di qualsiasi ambivalenza, la semplicità della vita libera dai conflitti della civiltà così difficili da sopportarsi, la bellezza di un’esistenza perfetta in se stessa”. Parlava proprio di Jofi il signor Freud, sostenendo che ciò che permette all’essere umano di provare sentimenti così intensi per un animale è appunto il fatto che le emozioni che essi provano sono prive di ambivalenza, e dunque la relazione che abbiamo con loro è libera dai conflitti insopportabili della cultura.

Di esempi dell’intensità di questo ménage è pieno l’immaginario collettivo: Freddie Mercury ha dedicato ai numerosi gatti con cui viveva il suo album “Mr Bad Guy”: con loro parlava al telefono durante i tour che lo tenevano lontano. Negli ultimi giorni della sua vita volle accanto solo i suoi gatti, e ad una delle sue gatte dedicò “Delilah“. Audrey Hepburn viveva in simbiosi con il suo cane (Mr. Famous) e con un cerbiatto di nome Pippin (detto Ip) da cui non si separava nemmeno per fare la spesa. Ernest Hemingway popolò di gatti la sua casa di Key West, ma la sua preferita era Snowball, gatta polidattile che compare in molte delle foto presenti nella casa-museo. Italo Calvino dedicò ai gatti “Il giardino dei gatti ostinati“, un’ode all’astuzia dei piccoli felini. Frida Kahlo, fortemente influenzata dal mondo della natura e da quello animale, ha ritratto 55 animali su 143 tele; nel giardino di Casa Azul, il suo grande amore Diego Rivera costruì un serraglio a forma di piramide per ospitare tutti gli animali di Frida. Anche Andy Warhol condivise il suo appartamento di New York in Lexington Avenue con ben 26 gatti, assoluto soggetto d’arte per tutta la prima fase della sua carriera (ben pochi conoscono il libro, pubblicato nel 1954, interamente dedicato ai gatti e intitolato “Venticinque gatti di nome Sam e uno di nome Blue Pussy”. Il libro venne stampato e pubblicato tutto a sue spese e venne venduto in un grande negozio e ristorante della 58ma strada di New York, il “Serendipity”).

Sembra che finché non si ama un animale, una parte della nostra anima sia dormiente. Come se esistesse, dentro di noi, una parte riservata proprio a quel tipo di amore, alla possibilità di godere dell’amore incondizionato che un animale sa dare ma anche del nostro di amore incondizionato che, per evocazione e riflesso, è ugualmente privo di ambivalenza, dunque perfettamente libero.

Del resto disabilità, depressione, solitudine, disregolazione emotiva, sono solo alcune delle situazioni di disagio su cui una relazione guidata con un animale può intervenire. A dirlo è la psicoterapeuta Giusy Mantione, socia didatta dell’Associazione per la Ricerca sulla Psicopatologia dell’Attaccamento e dello Sviluppo fondata da Giovanni Liotti, docente alla Scuola di Psicoterapia Cognitiva, fondatrice del Centro Clinico De Sanctis di Roma, ma anche presidente dell’Associazione no-profit Una zampa per Birillo e curatrice del libro “Il corpo della terra. La relazione negata” (Castelvecchi 2020), che il 20 ottobre verrà presentato alla Settimana del Pianeta Terra a Senigallia: “Alla base del mio lavoro c’è l’idea che l’interazione con gli animali possa alleviare alcuni aspetti dolorosi della condizione di disabilità, di solitudine, di disagio psicologico e sociale e di emarginazione – spiega. Credo che vada valorizzato il legame tra la persona e gli altri esseri viventi, perché ogni essere ha una propria peculiarità che trova la sua più autentica espressione nella rispettosa interazione reciproca”.

Di sicuro non è indifferente quale animale si sceglie: “Chi ama i gatti – prosegue Mantione – ricerca la sensazione di essere stato scelto. Il gatto infatti è autonomo e non cerca un capobranco, come il cane. Così come chi preferisce i cani, probabilmente avrà una personalità che ricerca la sensazione di sentirsi autorevole”.

Dal mio punto di vista, però, la vera differenza la fa il tipo di amore che si esercita nel ménage: come tra esseri umani, anche con un animale c’è chi intende l’amore come rifornimento e chi come donazione. C’è chi ama cani, gatti e compagnia in modo richiedente, cercando rinforzi e conferme (appunto sul piano dell’autorevolezza, del potere, della forza, oppure su quello dell’amabilità, dell’accettazione, dell’accoglienza), e chi ama in modo donativo, adattandosi ai bisogni dell’altro (dell’animale). Chi intende l’amore come affermazione ed espressione di sè e chi lo intende come devozione, sacrificio di sè. C’è chi gode nel comando, nel farsi seguire, nell’educare, nell’addomesticare, e chi nell’accudimento, nella cura.

Posso dirvela, la mia, fuori dai denti? Guardate un animale negli occhi e ascoltate la vostra pancia: avete una sensazione predatoria o cooperativa? Sarò tranchant: non esiste amore che preda. Con gli animali (non era questo il focus?) l’unico amore possibile è quello in cui si coopera. Il resto racconta un’altra storia.

Film della settimana: L’uomo che sussurrava ai cavalli.

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